Via libera al disegno di legge sull’autonomia differenziata, approvato dopo una lunga maratona notturna che ha visto numerosi parlamentari abbandonare gradualmente gli scranni nel corso dell’iter di approvazione: 172 gli onorevoli a favore del provvedimento, 99 i contrari e un astenuto. Sono questi i numeri di chi, fino all’ultimo momento, ha partecipato al lungo dibattito che ha preceduto, prima delle 8 di stamani, la votazione che potrà potenzialmente rendere l’Italia un paese ancora più spaccato.
Troppe le lacune nel testo di legge, molti i punti lasciati in sospeso o demandati alla decisionalità governativa, ma alcuni punti fermi che, nelle ultime settimane, hanno acceso il dibattito sull’eventualità di concedere maggiori poteri e risorse alle regioni che ne faranno richiesta. Una possibilità ad oggi divenuta realtà. Il disegno, apparentemente promotore di un mero modello di allocazione di risorse e decisionalità diverso da quello attuale, nasconde al suo interno un complicato meccanismo che rischia di vedere le regioni meridionali in profondo svantaggio.
Alla gioia della maggioranza di governo, contraddistinta dalle esultanze di Calderoli, promotore dell’iniziativa, nonché di Salvini e Meloni, è tuonata a gran voce la contrarietà delle opposizioni, ma non solo. Anche i deputati calabresi appartenenti ai partiti della coalizione, capitanati dal forzista Roberto Occhiuto, hanno votato contro il provvedimento, allarmando la maggioranza sui rischi relativi alle disuguaglianze che il testo attuale può inasprire.
I Lep, oggetto di contesa delle opposizioni
In seguito all’attuazione del ddl le aree più ricche, dotate di una base fiscale più solida, potranno beneficiare maggiormente delle nuove competenze, migliorando i servizi pubblici e le infrastrutture locali. Al contrario, le regioni più povere, con risorse limitate, potrebbero non avere fondi a sufficienza per garantire i servizi pubblici essenziali. Una disparità che rischia di minare la coesione sociale e territoriale, aggravando tensioni già esistenti.
Ma il disegno di legge, parzialmente conscio di questa eventualità, è stato dotato di un meccanismo che, secondo gli ideatori, dovrebbe garantire l’elusione di questo scenario. Nel testo, infatti, trovano ampia trattazione i Lep, Livelli di prestazione essenziali che ogni regione, nonostante l’approvazione dell’autonomia differenziata, dovrebbe continuare a garantire.
Nonostante le buone intenzioni, però, risultano essi stessi il fulcro delle proteste. L’individuazione stessa dei valori Lep, incaricati di “non lasciare nessuno indietro”, è destinata a creare numerose problematiche. Se tali limiti minimi non verranno individuati entro un anno dalla richiesta di allocazione delle risorse da parte delle singole regioni, i Lep verranno individuati tramite media della spesa pubblica regionale effettuata nel corso degli ultimi tre anni. Un numero in valore assoluto, dunque, che non tiene certo conto delle differenze di spesa tra regioni del nord e regioni del sud, da sempre svantaggiate in termini di possibilità lavorative, nonché di qualità della vita e dei servizi.
La “secessione dei ricchi”
Uno scenario, quello che si sta profilando in seguito al voto parlamentare, definito dalla Presidente della Regione Sardegna, Alessandra Todde, come la “secessione dei ricchi”. Una prospettiva che rischia di acuire sentimenti regionalisti, indebolendo il sentimento di unitarietà nazionale alla base del meccanismo redistributivo tra regioni.
La vera sfida per il futuro sarà trovare un equilibrio che minimizzi le criticità, assicurando che ogni regione possa riuscire a garantire un livello adeguato nell’erogazione dei servizi pubblici.