La politica riparta dall’intelligenza emotiva e ritrovi l'umanità nel caos contemporaneo

In un mondo diviso da paure e risentimenti, la capacità di comprendere e vivere le emozioni è rimasto l'ultimo baluardo per costruire una società più giusta e consapevole

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
18 settembre 2024
Intelligenza emotiva

Intelligenza emotiva per il benessere sociale

L'odio e la rabbia non nascono mai per caso. Piuttosto, sono il risultato dell’accumulo di frustrazioni, incomprensioni e, troppo spesso, di una deliberata manipolazione delle emozioni collettive. In un’epoca dominata dalla velocità e dall’interconnessione, il confine tra personale e collettivo sembra essersi irrimediabilmente dissolto, lasciando spazio a una spirale che alimenta risentimenti mai risolti e incomprensioni reiterate. Le premesse parlano chiarissimo: quello di una società sempre più arrabbiata è un problema dalle dimensioni inestimabili. Il linguaggio dell'odio che dilaga ovunque è solo la punta dell’iceberg. Capirne le cause profonde è l’unico modo per tentare qualcosa per rimettere insieme i pezzi di un presente che rischia di andare in frantumi.

Il punto è che, purtroppo, troppo spesso anche la politica cavalca questi sentimenti. Il disagio sociale viene trasformato in slogan, il malcontento diventa la benzina che alimenta un circolo vizioso di polarizzazioni. Il risultato è una società che fatica a parlare di sé, che ha paura del confronto e in cui l'empatia, intesa come la capacità di mettersi nei panni altrui, sembra diventata un esercizio impossibile. In questo contesto, l'intelligenza emotiva pare essere l’unico antidoto, una soluzione concreta a un problema che appare insormontabile.

Parlare di intelligenza emotiva significa proporre un nuovo modo di intendere la politica e il vivere civile. È il tentativo di ricostruire una società capace di dialogare, di comprendere profondamente le proprie ferite e, soprattutto, di non farsi dominare dalla paura. In un mondo in cui la competizione è esasperata e il successo è spesso misurato in termini di annichilimento dell’altro, la capacità di riconoscere e gestire le emozioni può sembrare un’utopia. Eppure, non lo è. Le recenti vicende politiche, tanto a livello nazionale quanto globale, mostrano come la carenza di una cultura emotiva stia portando a una deriva pericolosa. Dalla retorica nazionalista in aumento in Europa alle tensioni sociali alimentate da Est a Ovest, tutto sembra girare intorno alla mancanza di comprensione reciproca. La politica, che dovrebbe essere l'arte del possibile, si è trasformata nell’arte della divisione. Il ritorno a una gestione consapevole delle emozioni appare, quindi, l'unica via d'uscita per una società che sembra sempre più chiusa in sé stessa.

Nel dibattito attuale, l’idea è che siano davvero in molti a ignorare quanto sia cruciale sviluppare una capacità emotiva collettiva. Il problema non è solo nelle dinamiche interpersonali, si cela piuttosto in quelle strutturali. Le istituzioni stesse sembrano incapaci di offrire uno spazio di ascolto e confronto reale, mentre i media si concentrano sull’alimentare scontri e creare un pubblico sempre più arrabbiato e polarizzato. La necessità di un radicale ripensamento del modo in cui viviamo e percepiamo le nostre relazioni con gli altri è evidente.

Non è una questione di debolezza, ma di forza. Avere il coraggio di riconoscere la propria vulnerabilità e quella degli altri non significa arrendersi, ma aprire una porta verso un nuovo tipo di resistenza. Una resistenza che non getta le proprie basi sulla sopraffazione o sull'annullamento dell'altro, ma sulla capacità di creare legami significativi, di capire che dietro ogni paura c'è una storia, dietro ogni pregiudizio una ferita. Solo in questo modo, la politica potrà riscoprire il proprio lato più umano (e meno strategico), ponendo al centro delle sue azioni non solo gli interessi economici o geopolitici, ma le persone in quanto tali.

Riflettere su questi temi è urgente non solo per il benessere individuale, ma per la tenuta stessa delle nostre democrazie. Se non si impara a gestire le emozioni, se non si capisce che dietro l'odio c'è sempre una mancanza di ascolto e comprensione, il rischio è di cadere in una spirale di disumanizzazione dalla quale sarà sempre più difficile uscire.

Riconnettersi con il Paese reale è sempre la cosa giusta da fare, populisti permettendo.