La legge sul fine vita non passa in Veneto: polemiche nella Lega, centrodestra e nel Pd

Sedici su 30 consiglieri a favore, compreso Zaia. Contrari FdI e Forza Italia. Si spacca anche il Pd con la consigliera cattolica Bignon che sceglie di astenersi "per libertà di coscienza"

di ETTORE MARIA COLOMBO -
17 gennaio 2024
consiglio regionale

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Scontro nella Lega, tra il governatore del Veneto, Luca Zaia (favorevole), e il leader del partito, e ministro, Matteo Salvini (contrario). Scontro nel Pd, tra il partito nazionale (favorevole) e una consigliera dem locale (cattolica, ergo contraria). Scontro, ovviamente, anche dentro il consiglio regionale, tra una maggioranza (FdI-FI-Lega, in parte) contraria e una minoranza (leghista) favorevole che vota, forse per la prima volta nella storia, colle opposizioni. La legge regionale del Veneto sul fine vita non passa, e per un solo voto, tra le polemiche e una vasta eco nazionale.

I fatti: la bocciatura della legge regionale sul fine vita

Ma prima di perdersi nel batti&ribatti delle polemiche, meglio riepilogare i fatti, nudi e crudi. Non passa la legge di iniziativa popolare (9 mila le firme) sul suicidio medicalmente assistito. Questo è successo, l’altro giorno, in seno al consiglio regionale.
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In Veneto sono state raccolte oltre 9mila firma per la petizione Liberi Subito

Il voto della norma, proposta dall'associazione Coscioni, non ha passato i primi due dei 5 articoli complessivi che richiedevano il sì della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea (maggioranza, ovviamente, tutta di centrodestra). Il secondo, in particolare, era un articolo fondamentale della legge. Il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti, ha proposto il rinvio in commissione, decisione poi approvata dall'assemblea. La discussione e il voto hanno visto la spaccatura del centrodestra, con Fdi e Fi contrari, il governatore e parte della Lega favorevoli, come pure le opposizioni di centrosinistra. Sia il primo che il secondo articolo hanno in particolare ottenuto 25 voti favorevoli, 22 contrari e tre astenuti, che, per statuto regionale, valgono come voti contrari. Il presidente Ciambetti, dopo una breve riunione dell'ufficio legislativo del Consiglio, ha quindi messo ai voti il rinvio in Commissione del testo, poi approvato con 38 sì e 13 assenti. Il progetto di legge, ha spiegato Ciambetti, diventerà "ordinario" e non avrà i tempi contingentati, come invece prevede lo Statuto a proposito delle proposte di iniziativa popolare. Morale, la proposta di legge popolare è stata, in via sostanziale, affossata. Resterà in commissione. Una vera beffa. La legge regionale avrebbe dovuto regolamentare quanto già stabilito dalla Corte Costituzionale, e cioè che un cittadino ha diritto a scegliere se morire, in presenza di quattro requisiti: patologia irreversibile, trattamenti di sostegno vitale; sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili; e che sia in grado di esprimere un libero consenso.

Una manifestazione per il fine vita dell'Associazione Luca Coscioni

La Regione Veneto poteva essere la prima in Italia a stabilire nel concreto i tempi e i modi, ma così non è stato, dopo una giornata di discussioni, dichiarazioni, ambiguità varie, e caccia all’ultimo voto. Sostenuta dal presidente leghista, Luca Zaia, ma osteggiata da gran parte del centrodestra, la legge è stata affondata.

Il voto decisivo della consigliera cattolica del Pd

Con lo zampino, però, del Pd. Infatti, mentre Zaia esprime il "Massimo rispetto per i consiglieri. Soprattutto su un tema etico è fondamentale che tutti abbiano libertà di pensiero e di espressione. La mia parte politica ha lasciato totale libertà di pensiero e di espressione, penso che lo si potrà evidenziare dalle votazioni", la segreteria nazionale del Pd, in linea con tutta l’opposizione, aveva invece dato un’indicazione chiarissima: sì alla proposta di legge. Ma la consigliere regionale dem, Anna Maria Bigon (veronese e cattolica), ha deciso di astenersi, in nome "della libertà di coscienza che è prevista dal mio partito". Bigon che, nel suo intervento, ha sottolineato l’importanza delle cure palliative e degli hospice, e lì tutti avevano capito che ogni sforzo di farla votare sì, o di uscire dall’aula in modo da abbassare il quorum, era fallito. E nonostante le molte telefonate romane ricevute ("Non la Schlein, non mi ha chiamata"), ha resistito. Infine è praticamente fuggita verso il motoscafo della Regione che l’avrebbe portata in stazione, inseguita da molte contestazioni e polemiche di colleghi di partito e non.
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Anna Maria Bigon

Dopo, cioè ieri, si è giustificata parlandone a Repubblica.it: "Mi sono astenuta perché il Pd è un partito plurale, in coerenza con la mia coscienza, il mio è stato un voto etico, il diritto civile per me è morire con le cure palliative, se vogliono punire me e non vedere le contraddizioni nella Lega facciano pure, io sono a posto con la mia coscienza". Nel partito nazionale non l’hanno presa bene, anzi: ora al Nazareno si lamenta la “brutta figura rimediata” su un testo che il Pd avrebbe potuto rivendicare come una sua vittoria, visto che, causa la spaccatura della maggioranza, i voti decisivi per farla approvare sarebbero stati proprio i suoi.

Anche la Lega si è divisa. Salvini critica di fatto Zaia

Ma c’è anche già chi vede uno Zaia “bocciato” dalla sua maggioranza: 16 leghisti su trenta hanno votato sì, due si sono astenuti, il resto ha votato no, cioè ben 12. La Lega, dunque, si è ritrovata divisa, nella libertà di pensiero concessa. Fratelli d’Italia s’è opposta, così come Forza Italia, senza lasciare margini di mediazione. "È la democrazia", sospira Zaia, che pure si è speso per far approvare la legge, anche se poi assicura che "da domani mattina i pazienti terminali potranno comunque chiedere l’accesso al fine vita, alla luce della sentenza della Consulta del 2019. Perché questo progetto di legge non serviva ad autorizzare il fine vita, ma stabiliva solo i tempi delle risposte ai malati e le modalità di coinvolgimento delle Asl". Infatti, in Veneto una persona ha già ottenuto il suicidio medicalmente assistito, lo scorso luglio (era una donna e si chiamava “Gloria”), e un altro caso si è concluso con il riconoscimento di questo diritto: Stefano Gheller, vicentino di 50 anni, malato di distrofia muscolare.
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Il presidente Luca Zaia, nel corso della discussione in Consiglio regionale sulla proposta di legge popolare sul fine vita

A ottobre l’Ulss 7 Pedemontana lo ha autorizzato a procedere con il suicidio assistito, decisione che prenderà quando lui vorrà, "per una scelta personale di libertà", le sue parole. Dunque, è già possibile, come spiegava ancora una volta, davanti alla sede del Consiglio regionale, lo psichiatra Diego Silvestri dell’associazione Luca Coscioni. "I consiglieri veneti possono decidere se agevolare i pazienti, i famigliari, e anche la sanità". Sottolineando che "i malati sono abbandonati, spesso ignorano i loro diritti", e le famiglie sono nella disperazione. I medici? Pure loro chiedono regole certe. E c’è il rischio "di ritrovarci la Svizzera in casa", cioè che chi può (chi ha i mezzi per farlo) trova una soluzione alla propria sofferenza, e chi non può muore tra sofferenze atroci e non per modo di dire. Ma anche nella Lega le posizioni sono assai lontane tra loro. Per uno Zaia favorevole ("Io dico sì, è immorale che a gestire questo tema sia la Consulta") c’è Salvini contrario. "La mia posizione è assolutamente chiara: la vita va tutelata dalla culla alla fine, bisogna garantire tutte le cure necessarie alle future mamme e a coloro che sono in difficoltà alla fine dei loro giorni però senza arrivare ai livelli olandesi. Il Consiglio regionale veneto ha votato, hanno vinto i no, dal mio punto di vista avrei votato anch'io in quel senso lì", sentenziava ieri vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ad Agorà.
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Il vicepremier Matteo Salvini soddisfatto per il no alla legge sul fine vita in Veneto

Le possibili ripercussioni politiche sul futuro della Regione

Ma la spaccatura in seno al consiglio regionale veneto ha anche un forte retrogusto, dolceamaro, politico. Luca De Carlo, senatore uomo forte di FdI in regione, dice: "Zaia ha sempre avuto questa posizione, che lo pone in un'ottica incomprensibile al centrodestra o a una sua parte”. De Carlo è la figura su cui Meloni intenderebbe puntare per cercare di scalzare l'attuale governatore dalla guida della regione locomotiva economica del Nord-Est. Che sta governando il suo terzo mandato da governatore e ora vuole puntare al quarto, ma serve la modifica della legge attuale. Una riforma ad oggi congelata proprio perché ha innescato forti contrapposizioni nel centrodestra; mentre il presidente, finora rieletto con percentuali bulgare e con i voti anche di area Pd, è finito sotto il fuoco incrociato del suo stesso partito e degli alleati di FdI. Insomma, anche una legge ‘etica’ come quella sul fine vita, e il suo relativo affossamento, potrebbe diventare un modo per scalzarlo dalla sua posizione attuale e detronizzarlo, una volta per tutte, dal ruolo di doge veneto per la felicità del partito di Meloni e forse pure di Salvini…