Referendum e firme digitali, giuristi e parlamentari Pd tirano il freno, +Europa non ci sta. Le due velocità di politica e paese reale

di ETTORE MARIA COLOMBO
19 settembre 2021
referendum

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Prima i costituzionalisti, nonché ex giudici della Consulta, Giovanni Maria Flick, che critica a fondo gli aspetti “seducenti e problematici della digitalizzazione” e Vladimiro Zagrebelsky (“il rischio delle firme digitali è di essere ‘facili’, sottoposti all’occasione intervento di influencer”), nomi di certo importanti, altisonanti, con due interventi pubblicati, in rapida sequenza, sul Foglio e su La Stampa. Poi i costituzionalisti-deputati della Repubblica come Stefano Ceccanti (Pd), una di quelle ‘teste d’uovo’ che una ne fanno e cento ne pensano, sempre pronti a ‘metterci una pezza’, con una proposta di legge, un codicillo, una norma, quando e se ‘serve’. . Infine, i dubbi serpeggianti anche tra molti altri partiti, Pd in testa, ma non solo. Potremmo anche chiamarli i ‘cacadubbi’, con un termine forse un po’ scurrile, ma non certo improprio. La verità è che un pezzo della classe dirigente italiana – quella che ‘ausculta’ gli umori dei Colli più alti (Quirinale e Consulta) e quella di un Parlamento ‘lumaca’, ma che non vuole essere esautorato nella sua funzione (teorica), e cioè ‘fare’ le leggi (che ‘non’ fa) – ha deciso che, davanti alle impressionanti, cavalcanti e improvvise, raccolte firme sui referendum, quelli di tipo abrogativo, bisogna ‘mettere un freno’ o, come si usa dire, ‘darci un taglio’, ecco.    

Nel mirino, subito, la 'norma Magi'

    Nel mirino, in particolare, è finito l’emendamento a prima firma Riccardo Magi (+Europa) che, con un vero colpo di mano, nel senso che in pochi capirono esattamente cosa stavano votando (e il parere contrario del governo), a luglio scorso, è riuscito a inserire, nel decreto Semplificazioni, una semplice, elementare, norma: permettere, ai cittadini italiani, di apporre la loro firma in calce a un referendum abrogativo non solo nei famosi ‘banchetti’ in piazza (i Radicali ne hanno fatto, dei ‘banchetti’, una scuola e pure una religione), grazie allo Spid, cioè alla firma ‘autenticata’, senza neppure il disturbo di dover uscire di casa.    

Il boom inaspettato di ben tre referendum

    Risultato? Un boom incredibile nella raccolta firme di referendum che, da vari mesi, già andavano bene con gli strumenti ‘tradizionali’ (firme ai banchetti ma anche firme autenticate presso i comuni e i loro appositi uffici, spesso però assai improbi da trovare liberi e disponibili), e cioè i sei quesiti sulla ‘giustizia giusta’, promossi dalla Lega e dai Radicali, e il referendum sull’eutanasia ‘legale’, avanzato, invece, non da partiti politici, ma solo da una associazione, ‘Luca Coscioni’, galassia radicale, associazione da anni impegnata su questo fronte. Un milione di firme già raggiunte, in soli 3 mesi, sull’eutanasia, e quasi un milione sulla giustizia. Infine, il ‘capolavoro’ referendario, quello sulla legalizzazione della cannabis500 mila firme raccolte, a razzo, in meno di una settimana, per un referendum appoggiato da partiti minuscoli (sempre i Radicali, ma anche Sinistra italiana) o da movimenti fuori dal Parlamento (‘Possibile’).

 

Ora Grillo lancia il referendum sulla caccia

    Inutile dire che i 5Stelle, da sempre inclini a usare lo strumento del referendum, pur rimasti, negli anni, alla finestra, ora ci hanno preso gusto. Beppe Grillo ha lanciato un referendum contro la caccia, dal suo blog, e poco importa che Conte – e gli altri big del Movimento – non lo sapessero. Il fondatore del M5S, in un post sul suo blog, chiede di firmare il referendum “Sì aboliamo la caccia”, anche online, entro il 20 ottobre, per raggiungere quota 500 mila, un quesito che – ricorda Grillo - “Nonostante il pressoché totale silenzio da parte della maggior parte di tv e giornali, dal I luglio ha raggiunto 300 mila firme.

 

Le insinuazioni di Gasparri e l'incubo astensioni

    A questo punto, ovviamente, è scattato l’allarme. Ma al netto di quello di senatori ‘giureconsulti’ improvvisati, come Maurizio Gasparri (Fi), che – essendo ‘contro’ tutto (le droghe, l’eutanasia, etc) ha parlato di “algoritmi” (sic) che “firmano al posto degli esseri umani, una pratica indecente”, resta che si stanno levando molte voci contrarie. Quelle, come abbiamo visto, di Zagrebelsky e Flick, che insinuano dubbi sulla ‘validità’ delle firme digitali, quelle raccolte tramite Spid, ma anche di Ceccanti, che ‘non’ insinua, ma che propone, con una proposta di legge, una sorta di ‘disarmo bilanciato’ tra istanze referendarie e istanze parlamentari e, dunque, del ‘Sistema’. La proposta, spiegata in una intervista pubblicata il 19 settembre su Quotidiano nazionale, è questa: “Non vogliamo affatto frustrare la partecipazione. Infatti, il punto non sono i referendum già indetti, che viaggiano con i termini fissati dalla legge istitutiva dei referendum (la legge è del 1970, ndr.), ma quelli che si terranno in futuro. I problemi sono due e sono successivi alla raccolta delle firme. Il primo è il giudizio di legittimità del quesito. da parte della Consulta, che rischia di frustrare le istanze dei richiedenti perché applica sempre criteri molto rigorosi nel vagliare i quesiti”. “Il secondo problema – continua Ceccanti – è il numero degli elettori fissato per legge, la metà più uno degli aventi diritto al voto, affinché un referendum abrogativo sia valido, una cifra che è troppo alta. Tu puoi anche raccogliere uno o due milioni di firme, ma poi devi portare a votare circa 25 milioni di italiani, altrimenti il referendum non è valido. Una regola fissata nel 1948, quando però gli aventi diritto al voto erano solo 30 milioni, mentre oggi sono almeno 50 milioni. La campagna per l’astensionismo, più l’astensionismo endemico, rischia di farli fallire, come è già successo molte volte, in passato”.    

La proposta Ceccanti: aumentare le  firme,  abbassare il quorum

    “Al primo problema – spiega ancora Ceccanti - si ovvia inserendo un controllo di costituzionalità della Consulta dopo la raccolta delle prime 100 mila firme, un numero congruo per indicare una chiara volontà popolare su uno specifico quesito”. “Al secondo problema si rimedia abbassando il quorum di validità del referendum alla metà più uno degli elettori che hanno votato alle ultime elezioni politiche: nel 2018, per dire, ha votato il 76% dell’elettorato, quindi il quorum sarebbe fissato al 38% degli aventi diritto al voto. Il quorum per la raccolta firme, però, va alzato, almeno a 800 mila elettori per essere congruo”. In buona sostanza, Ceccanti non è contrario a “Rimuovere gli ostacoli burocratici alla raccolta di firme, compresa la novità della firma digitale, ma – nota - vedo in giro troppi referendari pieni di sé e che credono che, su ogni referendum, basti raccogliere le firme per avere successo. Invece, servono gli elettori. Ecco il perché della mia proposta di legge, già depositata in Parlamento: aumentare le firme a 800 mila e abbassare il quorum dei votanti”.    

La controreplica di Magi che ‘si arrabbia’…

    A Luce! proprio ‘l’inventore’ della firma digitale, Riccardo Magi, si sfoga, trattenendo a stento la sua ‘rabbia’: “E’ molto interessante il dibattito che si è aperto sulle ipotesi di revisione dell'istituto referendario, ma è un dibattito mal posto se parte dal paventato squilibrio tra ‘Popolo’ e ‘Parlamento’, a danno di quest'ultimo, mentre dovrebbe partire, invece, dall'unico reale e storico squilibrio che è a danno dell'iniziativa popolare. Basti pensare che su legalizzazione della cannabis, legalizzazione eutanasia, separazione carriere, ius soli, legge Bossi Fini, solo negli ultimi dieci anni, sono state depositate decine di leggi di iniziativa popolare accompagnare da centinaia di migliaia di firme. Per non essere volgare non ti dico cosa ne è stato in Parlamento di queste proposte per volontà dei principali gruppi e partiti politici. Con quale credibilità ora dicono di voler modificare istituto referendario per favorire la partecipazione?!”. “Ma voglio ‘calmarmi’ – conclude Magi - e dico semplicemente che ogni tentativo di garantire l'equilibrio tra ‘Parlamento e Popolo’ non può non fondarsi sulla consapevolezza del vero squilibrio che nel nostro Paese ha visto fregarsene del tutto dell'iniziativa legislativa popolare come concepita nella Costituzione più bella del mondo".  

“Il Parlamento se n'è 'fregato  dell’iniziativa popolare, e ora mordacchia ai referendum?”

    Fuori dallo ‘sfogo’ di Magi, e ‘in chiaro’, sempre il deputato ex radicale, presidente di +Europa, dice: “Il referendum sulla cannabis, con le sue 500 mila firme raccolte in meno di una settimana, ha dimostrato che le persone non sono disinteressate alla politica quando la politica si occupa della vita delle persone. Questo successo, legato anche all’innovazione della firma digitale, sta sollevando un dibattito sul futuro dell'istituto referendario.  Ben venga, ma paventare lo ‘squilibrio tra popolo e Parlamento’ a danno di quest'ultimo non è corretto se non si riconosce che fino ad oggi è stata svuotata di valore e stracciata l'iniziativa legislativa popolare prevista dalla Costituzione” dice Magi sui social. “È questo lo squilibrio a cui bisogna innanzitutto rimediare prima di avanzare proposte di riforma dello strumento referendario. Altrimenti apparirà solo come l'ennesimo tentativo di tenere alcuni temi fuori dal dibattito e dall'agenda politica e istituzionale”, conclude sempre Magi.  

Il Parlamento ‘lumaca’ superato dai cittadini

    In effetti, come si fa a dare torto a Magi? Del resto, come Luce! ha scritto in più occasioni, durante l’estate, lo ‘stato dell’arte’ è questolo ius soli non ha neppure superato l’esame della commissione Affari costituzionali; la proposta di legge  sull’eutanasia – su cui sempre Ceccanti dice che “il referendum è pericoloso perché legalizza l’omicidio del malato, mentre il testo di legge no” - è ferma da mesi in commissione Affari sociali; la legge sulla cannabis è stata approvata nel suo testo base, ma Dio solo sa quando andrà in Aula; il ddl Zan, come si sa, si è incartato al Senato; solo la riforma della Giustizia, a marca Cartabia, è diventata legge, dopo infiniti ‘tiri e molla’. Morale, il Parlamento ‘lumaca’ è indietro, come pure il Paese ‘legale’, mentre il Paese ‘reale’ è assai più avanti, lo dimostra il boom della raccolta firme sui referendum. Prima o poi, anche sugli ‘alti Colli’, si accorgeranno della distanza.