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Regioni, una sola donna presidente su venti, assessore una su quattro. E appena tre si occupano di sanità"

di SOFIA FRANCIONI -
12 giugno 2021
Donatellatesei

Donatellatesei

Se la composizione delle giunte regionali fosse l’unico termometro per misurare lo stato di salute delle pari opportunità nel nostro Paese, dal colore delle sue quote rosa, il responso sarebbe: malsano. Scorrendo frettolosamente i brevi elenchi degli assessori che formano gli organi di governo delle 20 regioni italiane, non può infatti non sfiorarci un pensiero: “Sono tutti uomini”. Contandoli poi, si corregge il tiro: “Sono quasi tutti uomini”. Spesso ricoprendo incarichi ritenuti meno strategici, le donne che da assessora siedono nelle giunte regionali sono infatti appena il 24,7% del totale: 45 su 183. Leggermente di più rispetto  alla media delle donne elette irettamente dalla popolazione nei consigli regionali Leggi l'articolo  Ma, a differenza di quanto accade per gli enti comunali o i consigli regionali, nelle giunte il principio del riequilibrio di genere viene rimesso ai singoli statuti e alle specifiche leggi regionali, che non prevedono una quota rosa da raggiungere, pur richiamandosi al principio della “promozione del riequilibrio tra entrambi i generi”.   Nella mappatura del divario di genere, che Luce! ha restituito nella tabella qui sopra, fa da guida la Toscana, che ha eletto in giunta 4 assessore su 9 membri, raggiungendo così il 44,4% di presenze femminili sul totale. All’estremo opposto, la Sicilia vede invece la presenza di un’unica assessora donna su 13 membri, registrando il record negativo del 7%. Non va troppo meglio per Basilicata, Trentino Alto Adige, Marche, Molise, Abruzzo e Valle d’Aosta che, in percentuali diverse, presentano comunque una sola assessora donna sull’intera giunta. Tornando alla cima, sul podio salgono il Lazio di Nicola Zingaretti, che si attesta al 36,3% di presenze femminili, insieme Emilia Romagna, Veneto e Umbria con il 33,3% di assessore sul totale dei membri. A scendere, nella fascia centrale, troviamo la Sardegna (30,7%) con 4 assessore su 13 membri, la Lombardia (29,4%) con 5 assessore su 17, la Calabria (28,5%) con 2 donne su 7 in giunta, il Friuli Venezia Giulia, la Campania e la Puglia pari merito (27,2%) con 3 assessori su 11, il Piemonte e la Liguria (25%).  

Cinque vice rosa e tre assessore alla sanità

Mettendo da parte il dato numerico, il divario comunque resta. Ed è sostanziale. Le donne che ricoprono il ruolo di vicepresidenti nelle giunte regionali italiane sono cinque: Elly Schlein per l’Emilia Romagna, Letizia Moratti per la Lombardia, Stefania Saccardi per la Toscana, Elisa De Berti per il Veneto e Waltraud Deeg per il Trentino Alto Adige. Guardando invece più prosaicamente al "portafoglio", tra gli assessorati non c’è dubbio che quello alla Sanità sia il più strategico per la capacità di spesa, dato che investe la maggior parte delle risorse che le Regioni hanno a disposizione. Ebbene, se si guarda a questo incarico, sono solo tre le donne scelte per ricoprirlo: sempre Letizia Moratti per la Lombardia, Manuela Lanzarin per il Veneto e Nicoletta Verì per l’Abruzzo. Infine, a spostare lo sguardo sui presidenti di Regione eletti, quella dell’Umbria, Donatella Tesei, è l’unica "lei" in campo. Chissà se preferisce essere chiamata presidente o presidentessa.  

Tesei (Umbria): "Chiamatemi presidente"

Donatella Tesei, presidente Regione Umbria

“No no, va bene presidente”, risponde sicura al telefono. Da ottobre 2019 è alla guida della Regione che da oltre vent’anni viene governata da sole donne, Tesei, 62 anni, ha una lunga carriera politica alle spalle: per dieci anni sindaca del comune di Montefalco, nel 2018 diventa senatrice nel collegio uninominale di Terni. Intervistata, non nega che il problema di genere esista, ma sicuramente non la riguarda: di fronte al fatto di guidare una giunta che vede un’unica assessora tra 4 uomini, commenta: “Lo ritengo un equilibrio corretto. Non ne faccio solo una questione di azzurro e rosa, la faccenda è più articolata”. Presidente, è l’unica donna a guidare una Regione in Italia: crede di aver fatto più difficoltà ad accedere a questo ruolo rispetto ai colleghi maschi? “Mah. Chi sceglie è la comunità. Si accede a questo ruolo attraverso una candidatura e in seguito a una campagna elettorale. Io le ho fatte entrambe e la mia elezione è stato il risultato. I miei concorrenti erano tre uomini, ma alla fine i cittadini umbri hanno scelto me. E spero non lo abbiano fatto perché ero una donna”. Ma è la sola, per gli altri 19 presidenti non crede che abbia contato anche il fatto di essere uomini? “Bisognerebbe vedere caso per caso, si tratta di elezioni libere. Forse il problema dovrebbe essere spostato a monte, vedendo se i due sessi hanno pari possibilità di candidarsi. E comunque ci tengo a dire una cosa: nell’ambito della conferenza delle Regioni, con i miei colleghi presidenti ho un rapporto alla pari. Assolutamente corretto e non vedo differenze di trattamento.” Lei approverebbe il vincolo delle quota rosa in giunta regionale? “Io credo che le donne vanno valorizzate, perché meritano”. Nel suo consiglio regionale siedono sette donne su 21 membri, elette dai cittadini. Mentre per la giunta regionale è lei a scegliere gli assessori. E su cinque, soltanto una è donna. Come mai? Non c’erano altri nomi spendibili? “L’equilibrio è corretto. Non si guarda alla percentuale, si guarda alle competenze. Non ne faccio una questione di rosa o azzurro. Comunque l’assessore che è in giunta, Paola Agabiti, ha deleghe molto importanti (Programmazione europea, bilancio e risorse umane e patrimoniali. Turismo, cultura, istruzione e diritto allo studio ndr), quindi c’è sicuramente la valorizzazione della capacità delle donne”. Il divario di genere nella politica italiana è un problema? “Sicuramente, vediamo che le percentuali non sono a favore delle donne. Su questo bisogna fare una riflessione: le donne hanno delle competenze, hanno delle capacità e devono essere messe in condizioni di poterle esprimere, anche nell’interesse della politica e del Paese”. E il problema, secondo lei, va risolto da un punto di vista normativo o la direzione deve essere quella culturale? “Le leggi ci sono state e ci sono, lo vediamo anche per quanto riguarda le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società. Quindi quest’attenzione già c’è. Il problema credo sia culturale e, come ho già detto, si risolve valorizzando le competenze femminili”.