Trump e le offese alle donne democratiche: “Kamala Harris e Nancy Pelosi pazze”

Nel corso del suo ultimo incontro in Michigan, il candidato repubblicano ha offeso ripetutamente Kamala Harris, Joe Biden e Nancy Pelosi, dimenticando cosa siano educazione ed etica politica

di MARCO PILI
22 luglio 2024
Donald Trump durante il comizio in Michigan (ANSA)

Donald Trump durante il comizio in Michigan (ANSA)

Truffatore, pazza, rabbiosa come un cane. Quello andato in scena sul palco di Gran Rapids, in Michigan, è stato uno dei peggiori Trump che un convegno di propaganda abbia mai ospitato, dal momento in cui lo ha visto pronunciare questi e altri epiteti al di fuori di ogni dibattito costruttivo e politicamente orientato. Una serie di offese personali e frasi puramente offensive, prive di una qualsivoglia dietrologia politica rilevante.

Gli attacchi personali, perdurati alcuni minuti e ripescati a più riprese nel corso dell’evento, sono stati rivolti innanzitutto all’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, definito dal tycoon un truffatore. La più lieve delle offese, dopotutto, se consideriamo che Kamala Harris, recentemente indicata dallo stesso Biden come futura candidata dem alle elezioni di novembre, è stata definita “pazza” solamente a causa del modo in cui ride.

Anche Nancy Pelosi, per ben due volte speaker della Camera dei Rappresentanti americana, è stata definita “pazza” sulla base di un appellativo diffuso dagli scranni repubblicani che, a più riprese, avevano appellato la dem italoamericana “crazy Nancy”, la pazza Nancy. Un epiteto rilanciato dallo stesso Trump nel corso di una convention in California nell’ottobre del 2023, coronando un clima d’odio attorno a Nancy Pelosi e suo marito Paul che, nell’ottobre del 2022, aveva visto un cospirazionista di estrema destra forzare l’abitazione della coppia e fratturare il cranio del marito, fortunosamente sopravvissuto all’attacco.

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Ma nella politica statunitense, fatta di eccessi e attacchi spesso personali, non è raro imbattersi in offese che ledono la persona, atte unicamente a intercettare la parte di elettorato meno informata e maggiormente reazionaria. Queste strategie comunicative sono utili, in particolar modo, ad interagire con l’elettorato che, di pancia, offre il suo supporto a chi sente - a pelle - più vicino alle sue istanze o alle sue impressioni, spesso rifacendosi a caratteristiche fisiche (secondo molti analisti politici, Kamala Harris sarebbe svantaggiata nella corsa alla Casa Bianca a causa del suo essere donna e delle sue origini) o, al contrario, a fatti eclatanti come l’attentato perpetrato da Thomas Crooks ai danni di Donald Trump.

Ed è proprio in merito a fatti come questi, generati probabilmente da una recrudescenza della violenza dovuta allo scontro elettorale, che solo pochi giorni fa Joe Biden si era espresso a favore di un abbassamento dei toni utilizzati nel corso dello scontro politico. Un appello prontamente ignorato dal suo (ex) sfidante, Trump, il quale, fiero del supporto incondizionato dei suoi elettori e delle sue elettrici, non ha certo perso l’attimo per scadere in ripetute offese personali.

Epiteti privi di contenuto, paragoni con animali rabbiosi e appellativi fisiognomici non meriterebbero di venire proferiti su nessun palcoscenico, e non dovrebbero tantomeno costituire parte integrante del programma e della comunicazione politica di un candidato alle elezioni presidenziali statunitensi. Diminuire il tasso di odio nei discorsi pubblici e politici è una misura da implementare obbligatoriamente e al più presto nei dibattiti che, quotidianamente, i principali esponenti partitici si trovano a dover affrontare, consentendo finalmente alla politica di tornare ad essere (o di diventare per la prima volta) l’alveo dei contenuti, dell’oggettività e dell’analisi dei dati, senza sfociare in ridicole offese che non fanno altro che inquinare e fomentare azioni violente in un ambiente di fondamentale importanza per la società civile.