A Tunisi, Kaid Saied ha vinto le elezioni presidenziali più dubbie - e meno contestate - degli ultimi dieci anni. Dopo la vittoria che, nel 2019, gli aveva consegnato l’esercizio del primo mandato, il giurista originario della capitale tunisina ha imposto rigide limitazioni alle libertà politiche degli oppositori, che hanno deciso di boicottare in massa il voto.
Alle urne, infatti, si è recato soltanto il 27,7% della popolazione, con evidenti differenze tra le varie fasce d’età. Tra i 18 e i 35 anni, come riportato dall’Alta Autorità Indipendente per le Elezioni, la percentuale di voto è stata unicamente del 6%, per poi salire fino al 65% tra i 36 e i 60 anni e per scendere nuovamente al 29% tra gli over60. Il dato complessivo, in ogni caso, è crollato nettamente se comparato al 48,9% del primo turno nel corso delle elezioni del 2019.
La vittoria, in ogni caso, sembrava pressoché annunciata tanto che lo stesso Saied, pochi minuti dopo la chiusura delle urne, ha enunciato il suo piano per ripulire il paese da personalità corrotte e dai cospiratori che tramerebbero contro la sua figura. Un processo di occultamento degli avversari politici che, a onor del vero, è già iniziato da tempo. Dalla tornata elettorale del 2019 a quella odierna, infatti, gli sfidanti sono scesi da 26 a 3. Di questi, l’industriale Ayachi Zammel ha ottenuto il 6,9% dei voti mentre l’ex deputato Zouhair Maghzaoui, alleato dello stesso Saied e fantoccio utile per costruire una parvenza di sfida democratica, ha conquistato ben il 3,9% delle preferenze.
La deriva autoritaria di Saied
La popolazione tunisina, appartenente all’unica democrazia in grado di proliferare dopo le primavere arabe del 2011, ha eletto per la prima volta Saied in un contesto di profonda crisi economica, della quale il giurista si professava panacea. A partire dal 2019, però, il docente di diritto costituzionale ha iniziato ad accentrare su di lui ogni potere, di fatto azzerando il ruolo del Parlamento e del Governo.
Le opposizioni, oltre a disertare in massa il voto popolare, hanno accusato Saied di aver intrapreso una pericolosa “deriva autoritaria”. Una tesi corroborata dai numerosi arresti nei confronti di giornalisti, sindacalisti, politici e figure di spicco della società civile tunisina che, da anni, interessa ogni livello burocratico e istituzionale. Secondo Human Rights Watch, infatti, oltre 170 persone sono attualmente nelle carceri della capitale per motivi sociali, politici o, come specificato dalla stessa associazione, “solo per aver esercitato i propri diritti fondamentali”.