Ucraina, l'Italia invia armi e missili a Kiev. Ecco perché l'articolo 11 della Costituzione non lo vieta

di ETTORE MARIA COLOMBO
1 marzo 2022
Armi Italia Ucraina

Armi Italia Ucraina

Una scelta storica ed epocale. La Svezia e la Germania inviano armi all’Ucraina. La Svezia, paese neutrale per eccellenza (lo fu in entrambe le guerre mondiali, come la Svizzera), rompendo una tradizione pluridecennale per cui non inviava mai armi a Paesi in guerra (l’ultima volta che lo aveva fatto aveva inviato aiuti alla Finlandia, nel 1939, peraltro proprio a causa dell’aggressione dell’allora Urss a quel Paese), ha annunciato la decisione di spedire 5.000 armi anticarro all'Ucraina. Una scelta storica e sofferta.

Anche la Repubblica federale tedesca si è messa alle spalle decenni di cautele, rischi misurati e riluttanza a far coincidere il suo peso economico con il suo impegno strategico. Il governo di Berlino ha varcato il Rubicone delle forniture d’armi all’Ucraina, autorizzando la consegna di 1.000 armi anticarro e 500 missili terra-aria Stinger. E, fatto più importante, parlando al Bundestag, il cancelliere Olaf Scholz (socialdemocratico) ha annunciato lo stanziamento di 100 miliardi di euro per la Bundeswehr, l’esercito federale, da usare "per investimenti necessari e nuovi sistemi d’arma". Da ora in poi, ha spiegato Scholz, "la Germania investirà ogni anno più del 2% del prodotto interno lordo per la difesa". È una decisione storica. Per anni, la Germania – paese sconfitto della Seconda Guerra Mondiale, a lungo smilitarizzato e che ha operato, in operazioni internazionali, da quando è entrata nella Nato (1955) solo con operazioni e impegni minimali - è stata l’ultima della classe all’interno della Nato, rifiutandosi di aumentare le spese per la difesa fino alla soglia del 2% del Pil, obiettivo sottoscritto da tutti i Paesi membri dell’Alleanza. Ma ora, come ha detto il cancelliere davanti al Parlamento, "viviamo un cambio di stagione e il mondo non sarà più come prima".

Quante (e quali) armi invia l'Italia all'Ucraina?

E l’Italia? L’Italia anche ha deciso, come mai prima d’ora, di fornire non solo “armi non letali”, ma anche “armi letali” all’esercito ucraino. Si tratta di missili Stinger antiaerei, missili Spike controcarro, mitragliatrici Browning, mitragliatrici Mg, munizioni. Il decreto del governo è pronto, è stato approvato ieri e la novità riguarda proprio il rapporto diretto con Kiev. Gli armamenti saranno ceduti "alle autorità governative ucraine", come è specificato nel provvedimento. La Nato dovrà occuparsi soltanto della consegna logistica.

Un segnale forte che arriva mentre i primi 1350 militari italiani sono pronti a partire per l’Ungheria e la Romania (entro il 30 settembre saliranno fino a 4 mila), nell’ambito del dispiegamento di forze Nato sul fronte dell’Est, così come il materiale bellico. Una scelta fatta con il via libera dell’Unione Europea e dopo i colloqui del premier Draghi con il presidente Zelensky, che ha visto l’Italia ad essere tra i primi Stati Ue a chiudere lo spazio aereo alla Russia.

Il provvedimento sulle armi da guerra italiane fornite all’Ucraina, preparato dal ministero della Difesa e che ieri è stato approvato dal Consiglio dei ministri, previa autorizzazione del Parlamento, stanzia 12 milioni di euro per materiale bellico, ma soprattutto si basa sugli articoli 3 e 4 del Trattato nordatlantico che consente agli Stati "di resistere a un attacco armato" agendo insieme "ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata". È appunto quanto sta accadendo all’Ucraina e per questo ogni Paese provvede alla cessione delle armi a Kiev. Sarà la Nato a organizzare il ponte aereo per trasferirle fino alla frontiera e poi consegnarle con un convoglio terrestre.

L’articolo 11 della Costituzione: "L’Italia ripudia la guerra"

E qui si pone, però, un problema che viene fuori ogni volta che l’Italia partecipa a un conflitto. Il "moloch" sta nell’articolo 11 della Costituzione. Il quale recita così: “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Il costituzionalista Stefano Ceccanti, 61 anni

Il costituzionalista Stefano Ceccanti: "L'art. 11 non impedisce l'impegno contro gli aggressori"

Tornando all’articolo 11, il parere del deputato del Pd, e costituzionalista, Stefano Ceccanti, è che “L’articolo 11 è scritto per consentire l’impegno contro gli aggressori, non per impedirlo. Il sostegno dell’Ucraina aggredita, compresi gli aiuti militari, in raccordo con i Paesi Ue, non è affatto impedito dall’articolo 11 della Costituzione, che è scritto sulla base delle culture dell’interventismo democratico per combattere insieme gli aggressori. L’articolo 11 – ricorda Ceccanti, citando i lavori preparatori dell’Assemblea costituente - era partito nella Prima Sottocommissione della Costituente come somma di due commi diversi, uno sul ripudio della guerra (nella versione iniziale "rinunzia alla guerra") e l’altro sulle cessioni di sovranità, ma dopo un attento dibattito il 3 dicembre 1946 il costituzionalista catanese sturziano Caristia chiese e ottenne di fonderli perché il ripudio delle aggressioni, per avere effetti reali, non poteva che sfociare in una diversa visione della condivisione di sovranità e, quindi, di azioni comuni di difesa.

Per questo fu pienamente legittimo anche l’intervento Nato in Kossovo in presenza di un blocco delle Nazioni Unite, un uso minimo della forza per evitare il male maggiore di un’imminente catastrofe umanitaria. Non siamo oggi in quella condizione – dice Ceccanti - ma deve essere chiaro che l’articolo 11 è scritto per intervenire insieme contro gli aggressori e per aiutare gli aggrediti, non per impedirci di farlo”.

Vietate le guerre di aggressione

L’articolo 11, dunque, implica che il nostro Paese condanna moralmente, politicamente e giuridicamente l’utilizzo della violenza armata come strumento di offesa, ossia come mezzo per la risoluzione dei conflitti fra i popoli. La norma, pertanto, vieta le guerre di aggressione, cioè i conflitti armati volti a ledere l’indipendenza e/o l’integrità territoriale di un altro Stato ovvero a imporre un certo ordinamento ad un’altra popolazione, per il perseguimento di propri interessi.

Tuttavia, l’art. 11 non esclude che azioni belliche possano essere intraprese per la legittima difesa di respingere un attacco armato che metta in pericolo l’esistenza e l’indipendenza dello Stato (guerra di difesa). Tale funzione difensiva legittima, infatti, la presenza di un esercito. Questa interpretazione è suffragata dal combinato disposto degli artt. 11, 78, 87 e 52 Costituzione:

Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari (art. 78 Cost.);

Il Presidente della repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato (art. 87 Cost.);

Dovere costituzionale dei cittadini di difendere la Patria (art. 52 Cost.).

La firma del Trattato di Roma (1957)

La finalità di pace nei rapporti internazionali

Lo stesso articolo 11 mostra la via, in positivo, per conseguire le finalità di pace e giustizia nei rapporti internazionali: il promuovere e il favorire, anche mediante limitazioni alla libertà giuridica e di azione dello Stato, le organizzazioni internazionali che mirino al mantenimento della pace a allo sviluppo della collaborazione fra gli Stati. Tali limitazioni sono consentite nella misura in cui, tutti gli stati partecipanti in condizioni di uguaglianza e parità, riconoscano e attribuiscano determinati poteri alle istituzioni sovranazionali.

La norma dell’articolo 11 ha dunque legittimato: l’ingresso dell’Italia nell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1955), che richiedeva, come presupposto di ammissione, che lo Stato aderente si dichiarasse “amante della pace”; la firma del Trattato di Roma che istituì la C.E.E. nel 1957 e la sottoscrizione del Trattato di Maastricht del 1992, istitutivo dell’attuale Unione Europea.

Le principali operazioni militari dell'Italia

L’art.11 della Costituzione italiana viene sempre citato nel momento in cui l’Italia ha preso parte a missioni militari in giro per il mondo: il tema non è certamente nuovo, ed è stato già oggetto di discussione in relazione alla partecipazione italiana in Kosovo (1998), alla missione Enduring Freedom in Afghanistan (2001) e poi alla missione ISAF della NATO in Afghanistan, alla missione Antica Babilonia in Iraq (2003), per citare gli interventi principali.

A giugno del 2021 l'esercito italiano ha lasciato l'Afghanistan

Il dibattito sull'art. 11

Una parte della dottrina giuridica sostiene che è riduttivo affermare che l’art.11 Cost. esprima il solo ripudio alla guerra e che così è letto in modo errato. Al contrario, nella Costituzione si afferma che il ripudio alla guerra debba essere considerato nel contesto di tutti i valori espressi dall’art. 11 Cost., che non si limitano alla sola pace, in quanto comprendenti anche la sicurezza. Sempre secondo una parte della dottrina inoltre, l’art. 11 Cost. vieta solo la guerra offensiva, intesa come quel genere di conflitto caratterizzato da un uso totale della forza armata del paese (quali sono state ad esempio le guerre mondiali), ma non dispone in merito agli interventi militari non rientranti in tale categoria, che invece dovrebbero essere valutati di volta in volta in base alle norme dettate dal diritto internazionale e dalle Nazioni Unite.

Questo orientamento dottrinale è certamente condivisibile, soprattutto vista l’evoluzione dell’interpretazione dei dettami costituzionali in base al ruolo politico assunto dall’Italia sullo scenario europeo (nell’Unione europea) e internazionale (con l’adesione dell’Italia alle Nazioni Unite e alla NATO). Molto spesso l’errore compiuto, in particolare dalle forze politiche che si trovano in un dato momento storico all’opposizione, è stato quello di associare l’art. 11 Cost. al ripudio della guerra in assoluto, comprendendo qualsiasi tipo di azione delle forze armate che non fosse finalizzato alla difesa del Paese come da art. 52 Costituzione.

Inoltre, negli ultimi anni, soprattutto visti i mutamenti dello scenario internazionale dal periodo post Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri, l’Italia ha sottoscritto diversi trattati in ambito europeo e internazionale per tutelare le proprie esigenze in materia di sicurezza e difesa. In questo contesto l’art. 11 Cost. ha trovato una diversa interpretazione e applicazione attraverso, seppur in maniera controversa, un compromesso tra gli impegni assunti dall’Italia in ambito internazionale e i principi costituzionali.

Quindi, si può affermare che l’art. 11 Cost., nella parte in cui dispone che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, esclude solamente “la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” ma non impedisce, invece, la “guerra di difesa” (per legittima difesa), che anzi è in linea con quanto affermato dall’art. 52 Cost., nonché con i principi affermati dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite che garantiscono l’esercizio del diritto di autodifesa individuale e collettiva. Non potrebbe essere il contrario, altrimenti sarebbe paradossalmente negato all’Italia di difendersi dall’aggressione di un nemico attraverso lo strumento della guerra o, nel quadro di una difesa collettiva, di difendere un proprio alleato, come prevista dai trattati dell’Alleanza Atlantica e dell’Ue, di cui l’Italia fa parte.

Infine, di fondamentale importanza è la parte in cui si afferma che la Costituzione “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”: infatti, è stato possibile per l’Italia limitare la propria sovranità in favore di organizzazioni internazionali create proprio per promuovere la pace e la giustizia. Questa scelta si adatta perfettamente con la scelta del ripudio alla guerra, in quanto il perseguimento di pace e giustizia tra le Nazioni è certamente un modo ottimale di allontanare lo spettro della guerra.

L'attentato alle Torri Gemelle l'11 settenbre 2001 costò la vita a 2996 persone

L’evoluzione della Nato

Il problema nasce laddove alcune organizzazioni di cui l’Italia fa parte non solo perseguono la pace ma garantiscono la sicurezza internazionale, anche attraverso l’uso della forza, in alcuni casi con attività preventiva. La scelta di assimilare tali disposizioni da parte della UE fu certamente più facile di quanto accaduto con il Patto Atlantico, nato con finalità difensive dall’aggressione dell’Urss e dei suoi alleati e dalla divisione in blocchi che si consolidò lungo tutta la Guerra fredda.

Le cose cambiano quando, dopo la fine della Guerra Fredda e lo smantellamento dell’Unione Sovietica. La NATO adotta un nuovo Concetto Strategico, il quale aggiungeva alle disposizioni contenute nell’art. 5 una nuova funzione di organo stabilizzatore e di risoluzione di conflitti, anche al di fuori del territorio alleato. In poche parole, la NATO si rendeva disponibile a prevenire conflitti e condurre operazioni anche nei casi non previsti dall’art. 5, affiancando quindi, oltre alla classica “difesa collettiva”, anche il concetto di “sicurezza collettiva”, con compiti di peace keeping e peace enforcement, crisis management e peace building. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la NATO ha espanso il ventaglio di interventi in risposta alle sfide poste alla sicurezza collettiva date dal terrorismo e dalle nuove minacce ibride come il cyberterrorismo, le organizzazioni criminali transnazionali etc. Il nuovo approccio strategico della NATO pone dunque maggiori problematiche sia rispetto alla Costituzione sia in rapporto a ONU e UE.

Risulta dubbio anche l’inquadramento della NATO rispetto alla Carta ONU: infatti, appare impropria la collocazione della stessa NATO nel Capitolo VIII della Carta, ovvero tra le “organizzazioni regionali”, mentre risulta più adatto inserire le missioni dell’Alleanza nel Capitolo VII. Il Patto Atlantico rappresenta un vincolo per l’Italia, non solo per l’utilità che offre in merito alla protezione del nostro Paese, ma anche per averla collocata nel gruppo occidentale che, negli anni del 20° secolo, ha portato notevoli vantaggi ai suoi appartenenti, diversamente da quanto accaduto con il blocco comunista e i suoi Stati. Tuttavia, risulta ancora difficile trovarne la giusta collocazione nel diritto internazionale.