Si erano radunati a Milano per deporre dei fiori in ricordo di Alexei Navalny, il dissidente russo morto venerdì scorso nella colonia penale IK-3, nel distretto artico di Yamalo-Nenets in Siberia. Circa una dozzina di persone si sono date appuntamento davanti alla targa dedicata a Anna Politkovskaja (la giornalista russa assassinata a Mosca il 7 ottobre 2006), in Corso Como, e sono state identificate dagli agenti della Digos.
A Milano identificate le persone che depongono fiori per Navalny
La vicenda ha scatenato fin da subito numerose polemiche, soprattutto tra le fila dell’opposizione. Viene da chiedersi perché quelle dodici persone siano state identificate, se ci sia una reale motivazione visto che si tratta di cittadini che erano andati semplicemente a deporre un fiore. Visto che ci indigniamo di fronte alle immagini provenienti dalla Russia dove il Cremlino ha scelto di reprimere il dissenso con una raffica di arresti in diverse città del Paese e centinaia di persone portate via dalla polizia.
Se per il ministro dell'Interno “identificare persone che portano un fiore per Navalny è normale, prendere documenti e generalità non comprime le libertà personali allora il problema non sono gli agenti e l’abuso di potere in uno Stato di diritto. Il problema è Piantedosi”, ha scritto sui social il senatore dem Filippo Sensi, autore di una interrogazione parlamentare allo stesso ministro, che chiede conto dell'identificazione da parte degli agenti della Digos.
Nella giornata di ieri, inoltre, anche Daniele Nahum e Alessandro Giungi, rispettivamente presidente e vicepresidente della Sottocommissione carceri del Comune di Milano, hanno deposto un fiore in memoria di Aleksej Navalny, “seguendo l'esempio dei cittadini che già lo hanno fatto e che senza una spiegazione plausibile sono stati identificati”.
Ma quello del capoluogo lombardo non è stato l’unico caso nel nostro Paese: una cittadina italiana di origini russe, sempre lunedì 19, è stata identificata dopo aver portato un mazzo di fiori, una candela e la foto di Aleksei Navalny davanti al consolato russo di Genova Nervi, per raccogliersi in preghiera.
La replica del ministro: “Non comprime la libertà personale”
Lo stesso Piantedosi è intervenuto sul tema, sottolineando come “è capitato pure a me nella vita di essere identificato, non è un fatto che comprime una qualche libertà personale”. A sua difesa si è schierato anche Stefano Paoloni, segretario generale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) che sottolinea come “l'identificazione non comprime alcuna libertà personale, rientra tra i compiti, anzi tra i doveri, di chi ha il compito di garantire la sicurezza e l'ordine pubblico. Chi percepisce l'identificazione come qualcosa di pericoloso, ha qualcosa da nascondere oppure ha un pregiudizio verso le forze dell'ordine. I colleghi hanno fatto semplicemente il loro dovere”.
La fiaccolata e le contestazioni
Le reazioni non si sono fatte attendere: critico sull’episodio di Milano è stato il leader di Azione, Carlo Calenda, che ieri ha lanciato la fiaccolata (presenti anche gli altri rappresentanti delle opposizioni da Elly Schlein ad Angelo Bonelli) in ricordo del dissidente russo in piazza del Campidoglio, a Roma: “Che i cittadini italiani vengano identificati dalla Digos per aver lasciato un fiore in memoria di Navalny è semplicemente ributtante. Oggi (ieri, ndr) a piazza del Campidoglio ne lasceremo molti caro Piantedosi, vieni a identificarci tutti”.
Per il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra “questo Paese ha un altro problema ed è questo ministro dell’Interno. Ho come l’impressione che Piantedosi pensi di essere ministro di polizia dopo i moti risorgimentali del 1848. Sia che parli di Cpr che della sentenza della Cassazione sui respingimenti illegali in Libia o delle disinvolte pratiche identificative delle forze dell’ordine, siamo di fronte a posizioni gravi e preoccupanti”.
Sotto la statua di Marco Aurelio una gigantografia di Navalny è diventata così il punto di incontro – per deporre fiori e biglietti – nella serata che la politica italiana ha dedicato all'oppositore di Putin, morto venerdì scorso, in circostanze misteriose in una prigione russa. La manifestazione, un omaggio bipartisan, viene però rovinata dalla contestazione alla Lega, che ha agitato la serata.
Alle 18 alla spicciolata dalle scale del Campidoglio arrivano esponenti di tutte le forze parlamentari, che si uniscono ai tantissimi presenti, a partire dai russi dissidenti e dagli ucraini in piazza con le loro bandiere. La leader del Pd è convinta: “I democratici come noi non possono tollerare in nessun Paese la compressione dei diritti fondamentali e quindi è importante essere qui dopo l'uccisione politica di Navalny di cui c'è un solo responsabile: il regime russo di Putin”. Parole che risuonano in piazza, condivise da quasi tutti i politici. Le ribadisce dal palco il sindaco Roberto Gualtieri: “Siamo in tantissimi qui in Piazza del Campidoglio per esprimere lo sdegno e la condanna per la morte di Navalny. Chiunque ami i valori della libertà e della democrazia non può accettare questa morte in silenzio”.
Quando arriva in piazza il leghista Massimiliano Romeo, tuttavia, la commozione bipartisan lascia il posto alla contestazione. A qualcuno non va bene che ci siano pure i leghisti, accusati di essere sempre stati vicini a Putin. Un sedicente presidente dell'Anpi Roma centro non si fa pregare: “Vergogna, vergogna”, è il coro che intona con altri presenti. “Siete sempre stati con Putin e ora venite qui a far finta di piangere”. Parole che non scompongono più di tanto il capogruppo, pressato pure dai giornalisti che gli ricordano la t-shirt di Salvini con il volto del presidente russo. “È roba del passato” replica secco Romeo. Poi prova a dire la sua – “Abbiamo a che fare con un regime autoritario” – a chi gli chiede delle responsabilità per la morte di Navalny. Quindi si unisce agli altri, con fiaccola in mano.
In un momento di rara unità bipartisan, insomma, per ribadire la posizione italiana a fianco della famiglia dell’oppositore russo, contro qualsiasi tentativo di sopraffazione e di cancellazione dei diritti fondamentali, come sta accadendo in Russia da quando Putin è al potere, alla fine la spaccatura tra le forze politiche torna a riemergere: perché nemmeno di fronte all’evidenza dei reati più gravi (no, stavolta non parliamo del saluto romano ad Acca Larentia) riusciamo ad essere un unico popolo unito e democratico. E questo non è certo un segnale positivo.