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Home » HP Trio » In Polonia scatta il primo processo contro un’attivista che ha violato la legge sull’aborto

In Polonia scatta il primo processo contro un’attivista che ha violato la legge sull’aborto

Justyna Wydrzyńska fa parte del collettivo Aborcyjny Dream Team (ADT), che da anni si batte per abbattere lo stigma sull'interruzione di gravidanza e aiuta le donne a procurarsi all'estero i farmaci necessari

Marianna Grazi
30 Marzo 2022
Justyna Wydrzyńska

In Polonia Justyna Wydrzyńska è la prima attivista a finire a processo per aver violato la legge anti-aborto

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Era solo questione di tempo, quel tempo che spesso molte donne non hanno. In Polonia un’attivista pro-choice sarà la prima a subire un processo per aver violato la restrittiva legge anti aborto. Justyna Wydrzyńska, 47 anni, fa parte del collettivo Aborcyjny Dream Team (ADT): la sua colpa è quella di aver aiutato una donna ad abortire illegalmente, fornendole delle compresse che inducono l’interruzione della gravidanza. La prossima settimana dovrà comparire davanti ai giudici e se dichiarata colpevole rischia fino a tre anni di carcere. “Potrei essere trattata come la maggior parte delle persone in questa situazione e ottenere una sospensione della pena di sei mesi – ha detto la donna al Guardian, intervistata nella sua casa poco fuori Varsavia – o potrebbero voler fare di me un esempio e mandarmi in prigione, forse anche per anni”.

Il cartello di sensibilizzazione per l’aborto realizzato dall’artista polacca Kai Kochnowicz e diffuso dal collettivo ADT nella campagna per Justyna

La legge anti aborto

Da decenni ormai l’accesso all’aborto è soggetto a leggi severe in Polonia, ma da fine gennaio dello scorso anno è quasi impossibile per le donne accedere legalmente a un’interruzione di gravidanza in sicurezza. Il governo polacco ha infatti introdotto nella sua legislazione una sentenza della Corte suprema (del 22 ottobre 2020), che dichiarava anti-costituzionale ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste dalle vittime di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre. Con l’entrata in vigore della legge è stata resa illegale anche l’interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e in caso di problemi sanitari tali da implicare l’inevitabile morte post parto del neonato. La misura, tuttavia, criminalizza solo chi pratica l’aborto e non i pazienti su cui viene eseguita la procedura.

Come eludere le restrizioni

“In fondo sapevamo che qualcosa del genere poteva accadere. Siamo sempre state esposte pubblicamente per quello che facciamo, non l’abbiamo mai nascosto”, ha spiegato al Guardian Natalia Broniarczyk, un membro di ADT, a proposito del lavoro dell’organizzazione. Il collettivo è sempre stato molto attento ad operare all’interno dei ranghi normativi, anche perché “La legge sull’aiuto all’aborto risale agli anni ’90 – ha detto infatti un’altra componente di base ad Amsterdam –. A quei tempi, gli aborti chirurgici erano l’unica opzione, quindi è stata scritta pensando a un coinvolgimento diretto dei medici”. ADT ha quindi cercato di eludere le restrizioni indirizzando le donne che cercavano l’aborto a organizzazioni con sede all’estero, che potessero fornire loro legalmente i farmaci più comuni per praticarlo a casa, inviandoli per posta.

donne proteste polonia aborto
Proteste in Polonia contro la legge anti-aborto (AP)

Il caso dell’attivista Wydrzyńska

Justyna Wydrzyńska
Justyna Wydrzyńska a febbraio 2020 ha inviato personalmente dei farmaci per abortire ad una donna incinta e vittima di violenza domestica

Il caso di Justyna Wydrzyńska risale al febbraio 2020: l’attivista ha inviato direttamente delle pillole che aveva in casa a una donna che l’aveva contattata. “Era incinta di 12 settimane e stava subendo violenza domestica – ha detto al Guardian –. Ho abortito a 12 settimane e sono stata anch’io in una relazione violenta. So cosa significa trovarsi in quella situazione. Aiutarla è stata per me la prima risposta umana”. La donna, racconta Wydrzyńska, in precedenza aveva cercato di andare Germania per sottoporsi all’interruzione di gravidanza, ma il marito le aveva impedito di farlo. Nel frattempo era scoppiata la pandemia di Covid e “il servizio postale polacco aveva annunciato che le spedizioni internazionali potevano essere sospese o compromesse. Non avevamo più tempo”, ha aggiunto. Quando il pacco con i farmaci è arrivato, a casa della coppia si sono presentati anche gli agenti di polizia, secondo quanto riferito chiamati dal marito. Lo stress per la successiva indagine, comunque, le avrebbe causato un aborto spontaneo.
Più di un anno dopo le forze dell’ordine si sono presentate a casa di Justina Wydrzyńska e le hanno confiscato ogni medicinale  che aveva in casa, così come i computer suoi e dei suoi figli. “Immagino che sia come una gravidanza accidentale“, ha scherzato Wydrzyńska. “Era la prima volta che correvo un rischio, e bam: sono stata incriminata”.

La campagna #IamJustyna

cartello-polonia-aborto
Un’immagine, creata dall’artista Herzyk per la campagna in difesa dell’attivista polacca, ritrae la scena della donna soccorsa e gli agenti che attendono col marito fuori dalla porta di casa pronti a intervenire

L’attivista 47enne è impegnata da oltre 15 anni nelle battaglie pro aborto, ha fondando la prima chatroom della Polonia dove le donne potevano scambiarsi informazioni sulle poche possibilità di accedere all’igv ancora disponibili e dal 2019 è impegnata con ADT. Il collettivo, dopo l’annuncio del processo contro di lei, sta lanciando una campagna online multilingue, #IamJustyna, per promuovere la solidarietà e la sorellanza, così come per aumentare la consapevolezza internazionale sulla situazione delle donne in Polonia. “La legge sull’aiuto all’aborto ha lo scopo di isolare la persona che ne ha bisogno, di farla sentire sola. Noi vogliamo dimostrare che non sono sole. Che possono contare su di noi e sui loro amici e familiari”. Anche Amnesty International Polonia si è schierato contro la decisione delle autorità di incriminare Wydrzyńska:

“Accusare Justyna, paladina dei diritti umani, per il suo lavoro legittimo e la sua difesa dell’ accesso all’aborto sicuro è inaccettabili! Le dure leggi che limitano l’accesso alle interruzioni di gravidanza in Polonia violano i diritti umani e mettono a rischio la salute e la vita delle donne, colpendo soprattutto le più povere. La Polonia deve intraprendere azioni urgenti per garantire che i diritti umani delle donne siano pienamente realizzati, compreso l’accesso sicuro all’aborto, e fermare le molestie, le intimidazioni e le accuse contro Justyna e altre persone il cui lavoro e le cui azioni, conformi agli standard internazionali e basate sulle linee guida dell’OMS, possono salvare vite e salute. Chiediamo che le accuse contro Justyna per aver sostenuto l’accesso all’aborto sicuro siano ritirate” ha scritto l’organizzazione umanitaria sui social.

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  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
  • Paese che vai inquinamento che trovi. O, se volete, un mal comune che non diventa affatto un mezzo gaudio. Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Planetary Health”, primo autore il professore Yuming Guo, sono infatti a appena 8 milioni le persone che possono dire di respirare aria pulita: lo 0,001% della popolazione mondiale, che vive su una percentuale irrisoria del globo terraqueo, lo 0,18%.

Per i rimanenti 7 miliardi e passa la situazione è grama, se non critica, con la concentrazione annuale di polveri sottili che è costantemente al di sopra della soglia di sicurezza indicata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità (PM2.5 inferiori a 5 µg/m3), un limite oltre il quale il rischio per la salute diventa considerevole. E come se non bastasse la concentrazione media giornaliera globale è di 32,8 µg/m3, più del doppio della soglia Oms.

Lo studio pubblicato su “Lancet” è il primo al mondo ad aver ricostruito i valori giornalieri di polveri sottili, ovvero smog, su tutto il Pianeta, attraverso un metodo complesso e multifattoriale che ha permesso di ottenere dei valori anche nelle regioni non monitorate, grazie a un mix fatto di osservazioni tradizionali di monitoraggio della qualità dell’aria, rilevatori meteorologici e di inquinamento atmosferico via satellite, metodi statistici e di apprendimento automatico (machine learning).

Dati allarmanti, dunque. Per quanto qualche segnale di miglioramento comincia a intravvedersi, con il totale dei giorni con concentrazioni eccessive che sta diminuendo nel complesso. I dati degli ultimi 20 anni rivelano delle tendenze positive in Europa e Nord America, dove l’inquinamento da PM2.5 è sceso, ma non in Asia meridionale, Australia e Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi, dove il trend è invece di crescita. Le concentrazioni più elevate di PM2.5 sono state rilevate nelle regioni dell’Asia orientale (50 µg/m3) e meridionale (37,2 µg/m3), seguite dall’Africa settentrionale (30,1 µg/m3). Poco da gioire, dunque e molto da lavorare.

#lucenews #inquinamento
  • L’arrivo della bella stagione ha il sapore del gelato 🍦

Golosi ma di qualità. È il rapporto degli italiani con il gelato artigianale secondo un’indagine di Glovo. Piattaforma di consegne, e Gusto17, brand gourmet, in vista del Gelato Day del prossimo 24 marzo.

Nel 2022 solo sull’app di Glovo gli italiani hanno ordinato più di 2 milioni di gelati, il 16% in più rispetto al 2021, con una media di 5.500 gelati al giorno, principalmente dalle gelaterie di quartiere, facendo aumentare le vendite del 138% per i piccoli esercenti. In particolare, il picco di ordini si registra alle 21.

Tra i gusti più amati dagli italiani ci sono: crema, pistacchio, nocciola e Nutella. Questa la Top 10 delle città più golose di gelato: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Firenze, Catania, Bologna, Bari e Verona.

🍨E voi, amanti del gelato, qual è il vostro gusto preferito? 

📸 Credits: @netflixit 

#lucenews #lucelanazione #gelatoday
  • 🗣«Persi undici chili in poco tempo. Per cercare di rialzarmi iniziai un percorso con uno psicologo, ma ho capito presto qual era il motivo per cui ero caduta dentro quel tunnel. E ho iniziato presto a lavorare su di me, da sola.

Nel 2014 avevo ripreso ad allenarmi da pochissimo tempo, quando ho incontrato una donna, Luana Angeletti. Ho scoperto dopo che era la mamma di un amico, ma la cosa importante è quello che lei mi disse quella volta.

Che avevo una struttura fisica adatta a competere nella categoria bikini, nel body-building. Mi è scattato dentro qualcosa, ho iniziato a lavorare perché volevo migliorare e finalmente farmi vedere dagli altri, dopo che per otto anni non ero andata neanche al mare perché mi vergognavo del mio fisico e della mia scoliosi. Grazie a Luana sono passata dal nascondermi allo stare su un palco guardata da tante persone. È stata decisiva.

Imparate a volervi bene, e se non ci riuscite con le vostre forze, non abbiate paura di farvi aiutare e seguire da altri. È importantissimo».

Dai disturbi alimentari al body building, l
Era solo questione di tempo, quel tempo che spesso molte donne non hanno. In Polonia un'attivista pro-choice sarà la prima a subire un processo per aver violato la restrittiva legge anti aborto. Justyna Wydrzyńska, 47 anni, fa parte del collettivo Aborcyjny Dream Team (ADT): la sua colpa è quella di aver aiutato una donna ad abortire illegalmente, fornendole delle compresse che inducono l'interruzione della gravidanza. La prossima settimana dovrà comparire davanti ai giudici e se dichiarata colpevole rischia fino a tre anni di carcere. "Potrei essere trattata come la maggior parte delle persone in questa situazione e ottenere una sospensione della pena di sei mesi – ha detto la donna al Guardian, intervistata nella sua casa poco fuori Varsavia – o potrebbero voler fare di me un esempio e mandarmi in prigione, forse anche per anni".
Il cartello di sensibilizzazione per l'aborto realizzato dall'artista polacca Kai Kochnowicz e diffuso dal collettivo ADT nella campagna per Justyna

La legge anti aborto

Da decenni ormai l'accesso all'aborto è soggetto a leggi severe in Polonia, ma da fine gennaio dello scorso anno è quasi impossibile per le donne accedere legalmente a un'interruzione di gravidanza in sicurezza. Il governo polacco ha infatti introdotto nella sua legislazione una sentenza della Corte suprema (del 22 ottobre 2020), che dichiarava anti-costituzionale ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste dalle vittime di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre. Con l'entrata in vigore della legge è stata resa illegale anche l'interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e in caso di problemi sanitari tali da implicare l'inevitabile morte post parto del neonato. La misura, tuttavia, criminalizza solo chi pratica l'aborto e non i pazienti su cui viene eseguita la procedura.

Come eludere le restrizioni

"In fondo sapevamo che qualcosa del genere poteva accadere. Siamo sempre state esposte pubblicamente per quello che facciamo, non l'abbiamo mai nascosto", ha spiegato al Guardian Natalia Broniarczyk, un membro di ADT, a proposito del lavoro dell'organizzazione. Il collettivo è sempre stato molto attento ad operare all'interno dei ranghi normativi, anche perché "La legge sull'aiuto all'aborto risale agli anni '90 – ha detto infatti un'altra componente di base ad Amsterdam –. A quei tempi, gli aborti chirurgici erano l'unica opzione, quindi è stata scritta pensando a un coinvolgimento diretto dei medici". ADT ha quindi cercato di eludere le restrizioni indirizzando le donne che cercavano l'aborto a organizzazioni con sede all'estero, che potessero fornire loro legalmente i farmaci più comuni per praticarlo a casa, inviandoli per posta.
donne proteste polonia aborto
Proteste in Polonia contro la legge anti-aborto (AP)

Il caso dell'attivista Wydrzyńska

Justyna Wydrzyńska
Justyna Wydrzyńska a febbraio 2020 ha inviato personalmente dei farmaci per abortire ad una donna incinta e vittima di violenza domestica
Il caso di Justyna Wydrzyńska risale al febbraio 2020: l'attivista ha inviato direttamente delle pillole che aveva in casa a una donna che l'aveva contattata. "Era incinta di 12 settimane e stava subendo violenza domestica – ha detto al Guardian –. Ho abortito a 12 settimane e sono stata anch'io in una relazione violenta. So cosa significa trovarsi in quella situazione. Aiutarla è stata per me la prima risposta umana". La donna, racconta Wydrzyńska, in precedenza aveva cercato di andare Germania per sottoporsi all'interruzione di gravidanza, ma il marito le aveva impedito di farlo. Nel frattempo era scoppiata la pandemia di Covid e "il servizio postale polacco aveva annunciato che le spedizioni internazionali potevano essere sospese o compromesse. Non avevamo più tempo", ha aggiunto. Quando il pacco con i farmaci è arrivato, a casa della coppia si sono presentati anche gli agenti di polizia, secondo quanto riferito chiamati dal marito. Lo stress per la successiva indagine, comunque, le avrebbe causato un aborto spontaneo. Più di un anno dopo le forze dell'ordine si sono presentate a casa di Justina Wydrzyńska e le hanno confiscato ogni medicinale  che aveva in casa, così come i computer suoi e dei suoi figli. "Immagino che sia come una gravidanza accidentale", ha scherzato Wydrzyńska. "Era la prima volta che correvo un rischio, e bam: sono stata incriminata".

La campagna #IamJustyna

cartello-polonia-aborto
Un'immagine, creata dall'artista Herzyk per la campagna in difesa dell'attivista polacca, ritrae la scena della donna soccorsa e gli agenti che attendono col marito fuori dalla porta di casa pronti a intervenire
L'attivista 47enne è impegnata da oltre 15 anni nelle battaglie pro aborto, ha fondando la prima chatroom della Polonia dove le donne potevano scambiarsi informazioni sulle poche possibilità di accedere all'igv ancora disponibili e dal 2019 è impegnata con ADT. Il collettivo, dopo l'annuncio del processo contro di lei, sta lanciando una campagna online multilingue, #IamJustyna, per promuovere la solidarietà e la sorellanza, così come per aumentare la consapevolezza internazionale sulla situazione delle donne in Polonia. "La legge sull'aiuto all'aborto ha lo scopo di isolare la persona che ne ha bisogno, di farla sentire sola. Noi vogliamo dimostrare che non sono sole. Che possono contare su di noi e sui loro amici e familiari". Anche Amnesty International Polonia si è schierato contro la decisione delle autorità di incriminare Wydrzyńska: "Accusare Justyna, paladina dei diritti umani, per il suo lavoro legittimo e la sua difesa dell' accesso all'aborto sicuro è inaccettabili! Le dure leggi che limitano l'accesso alle interruzioni di gravidanza in Polonia violano i diritti umani e mettono a rischio la salute e la vita delle donne, colpendo soprattutto le più povere. La Polonia deve intraprendere azioni urgenti per garantire che i diritti umani delle donne siano pienamente realizzati, compreso l'accesso sicuro all'aborto, e fermare le molestie, le intimidazioni e le accuse contro Justyna e altre persone il cui lavoro e le cui azioni, conformi agli standard internazionali e basate sulle linee guida dell'OMS, possono salvare vite e salute. Chiediamo che le accuse contro Justyna per aver sostenuto l'accesso all'aborto sicuro siano ritirate" ha scritto l'organizzazione umanitaria sui social.
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