Eruzione del Vesuvio, su Ercolano una nube di cenere rovente vetrificò i cervelli

Il ruggito della Terra: da una nuova ricostruzione di quanto avvenne nel 79 d.C. emergono indicazioni utili sul rischio di un risveglio del vulcano

di ELSA TOPPI
22 aprile 2023

Pompei: il Vesuvio da via delle Scuole

Durante l’eruzione del Vesuvio, nel 79 d.C., la prima nube ardente che raggiunse Ercolano toccava una temperatura di quasi 600 gradi. Ben più alta di quanto ipotizzato finora. Un flusso ad altissima velocità di cenere, gas e vapore roventi che causò migliaia di morti ma che si raffreddò rapidamente. Uno scenario del tutto nuovo questo scoperto dal team di geologi, diretti da Guido Giordano dell'Università Roma Tre, e dall'antropologo Pier Paolo Petrone dell'Università Federico II di Napoli, che potrà essere preso in considerazione per l’aggiornamento del piano di evacuazione al Vesuvio previsto dalla Protezione Civile.
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Mappa raffigurante l'area interessata dall'eruzione (Wikipedia)

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports di Nature, sottolinea la singolarità di un sito come quello di Ercolano, le cui caratteristiche lo rendono unico al mondo.

Eruzione, parlano gli esperti

Dottor Petrone cosa si sapeva fino a oggi sull'eruzione del Vesuvio che ha distrutto Ercolano e quali erano i risultati degli studi sulle vittime? Petrone: “Nell’agosto del 79 d.C. in poche ore l’eruzione interessò l’intera area vesuviana entro almeno 20 km dal vulcano, causando devastazione di strutture e migliaia di morti. A Ercolano, durante gli scavi vennero riportate alla luce centinaia di vittime, in gran parte ammassate dentro 12 camere situate fronte mare. Le indagini archeologiche che ho condotto sui resti ossei umani, i cui risultati vennero pubblicati nel 2001 su Nature, hanno dimostrato che le nubi ardenti causarono la morte istantanea delle persone e la rapida scomparsa dei tessuti corporei, lasciando le loro ossa intatte nel deposito di cenere vulcanica. Un’evidenza unica al mondo, che non trova eguali nemmeno a Pompei, dove le ossa delle vittime si trovano imprigionate dentro i calchi in gesso”.
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L'antropologo Pier Paolo Petrone

Il vostro studio quali nuovi scenari ha svelato e come siete riusciti a scoprire che le temperature erano così alte? Giordano: “La tecnica innovativa che abbiamo messo in campo insieme alle colleghe Alessandra Pensa e Sveva Corrado usa le proprietà ottiche dei resti di legno carbonizzati conservati nei depositi vulcanici che ricoprono Ercolano. Un registro di grande precisione delle temperature dei flussi piroclastici che sono entrati in città in ondate successive. Grazie a questa tecnica abbiamo potuto identificare temperature anche superiori ai 550° C che però sono relative solo al primissimo arrivo, mentre i successivi hanno avuto temperature progressivamente minori, anche se stiamo comunque parlando di 350-400° C”. Qual è la principale novità? Petrone: "Le temperature desunte dall’analisi dei legni carbonizzati, attraverso il confronto anche con gli effetti dell’esposizione al calore dei resti ossei delle vittime, ci hanno rivelato che all’inizio dell’eruzione ci fu un rapido raffreddamento del primo flusso piroclastico al momento del suo ingresso nella parte alta della città di Ercolano. Questo dato trova conferma nella scoperta che feci nel 2018 di tessuti cerebrali vetrificati in una vittima rinvenuta agli inizi degli anni ’60 nel Collegio degli Augustali, la cui preservazione è indicativa di un repentino per quanto parziale abbassamento della temperatura, inizialmente elevatissima”.
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Guido Giordano dell'Università Roma Tre

Il tempo di raffreddamento che si è verificato dopo il primo flusso di ceneri, gas e vapore cosa ci può suggerire? Giordano: “La cosa più interessante è che il primo flusso piroclastico è stata una nube di cenere molto diluita, che sebbene non abbia causato ingenti danni strutturali, con la sua temperatura ha ucciso istantaneamente chi era rimasto in città. Questo tipo di eventi sono impulsivi e il loro raffreddamento rapido ci spiega come mai siano stati ritrovati in un caso i resti unici di un cervello vetrificato, un fenomeno che richiede sia il rapido riscaldamento che il successivo rapido raffreddamento. Come lezione per l’oggi la cosa più importante è che in principio si potrebbe sopravvivere a questo specifico tipo di eventi, purché protetti in rifugi adeguati. Per questo, anche nelle zone rosse vesuviana e flegrea in cui è imperativo riuscire a evacuare interamente la popolazione prima che una qualunque prossima eruzione inizi. Sarebbe opportuno prevedere un adeguamento delle case, come si fa per esempio contro gli incendi, per offrire una protezione in più nel caso, che speriamo non accada, in cui l’evacuazione non sia completa”.
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Una panoramica di Ercolano

Il Vesuvio che tipo di vulcano è e cosa dobbiamo aspettarci in un prossimo futuro? Giordano: “Il Vesuvio è uno stratovulcano al momento quiescente, come molti altri vulcani in Italia, che è considerato attivo in virtù della data molto recente della sua ultima eruzione nel 1944. In questo momento il vulcano non presenta particolari segni di attività, ma è costantemente monitorato dall’Osservatorio Vesuviano con una delle reti multiparametriche più estese del mondo per poter cogliere i segnali di un eventuale risveglio in tempo per poter dar via in sicurezza a tutte le procedure previste dal piano di evacuazione. Al meglio delle conoscenze attuali non sappiamo prevedere la magnitudo della prossima eruzione, per cui ci si basa sulle analogie con quanto il vulcano ha fatto nel passato, scegliendo degli scenari, che per il Vesuvio sono quelli di un’eruzione esplosiva simile a quella avvenuta nel 1631”.
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Il Foro di Pompei dominato dal Vesuvio (Wikipedia)

E se il Vesuvio ci riserverà una nuova eruzione? Giordano: “Eruzioni esplosive come quella del 1631 di cui abbiamo appena parlato e ancor più quella del 79 coinvolgono la generazione di flussi piroclastici che sono gli eventi più pericolosi perché sono come gigantesche frane o valanghe di materiale e gas caldissimi e velocissimi. Di fatto non bisogna essere in giro quando avvengono, e abbiamo analoghi casi come nell’eruzione del Pinatubo (Filippine) nel 1991 e del Merapi (Indonesia) nel 2010 in cui furono evacuate per tempo e con successo centinaia di migliaia di persone. Questo è l’obiettivo primario e unico della sfida scientifica e di protezione civile. Tuttavia esistono purtroppo anche casi in cui è andata meno bene, come nel 2018 con l’eruzione del Fuego in Guatemala o nel 1991 con l’eruzione dell’Unzen in Giappone, dove ci furono molte vittime da flussi piroclastici. Alcune, quelle investite direttamente dalla porzione più densa dei flussi piroclastici non sarebbero comunque sopravvissute all’impatto. Molte invece sono state colpite solo dall’alta temperatura associata alla nuvola di cenere più diluita che avvolge i flussi piroclastici e che in particolari condizioni, come a Ercolano, si può distaccare dal flusso principale e investire zone dove le vittime si sarebbero potute salvare se avessero avuto un rifugio resistente alla temperatura. Ecco questa è la lezione di Ercolano”.
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Dipinto dalla Casa del centenario a Pompei, in cui c'è l'unica rappresentazione pittorica del Vesuvio, che allora si credeva essere un monte ubertoso

Perché Ercolano è un sito così importante?  Petrone: “Il sito archeologico di Ercolano è unico nel suo genere: l’evento catastrofico del 79 d.C. se da un lato causò il definitivo seppellimento di strutture, cose e vittime, ne ha permesso anche la preservazione integrale per ben duemila anni, dando a noi la possibilità, oggi, di poter recuperare e analizzare dati antropologici, archeologici e geologici che altrimenti sarebbero andati persi per sempre, come accade per altri contesti archeologici. Soprattutto, ci ha restituito un’intera parte di una popolazione vivente, cristallizzata nel tempo grazie ad una catastrofe naturale, con innumerevoli evidenze da scoprire ed interpretare. Una per tutte, la recente scoperta di un cervello umano vetrificato e, al suo interno, di un intero sistema nervoso centrale con assoni e neuroni eccezionalmente preservati. Una scoperta senza precedenti che, ancora una volta, ha portato alla ribalta internazionale il sito di Ercolano ed i suoi innumerevoli tesori”. Gli studi multidisciplinari dimostrano come da un evento catastrofico di 2000 anni fa sia possibile ottenere informazioni preziose per il presente.