“Ne abbiamo così tante che potremmo decidere di regalarle”. Sembrerebbe una frase banale, che prelude ad un gesto di generosità da parte di una persona munita in gran quantità di un bene materiale da essere anche disposto magnanimamente ad offrirne un tot in dono. Solo che qui non stiamo parlando di monili o altri generi voluttuari, bensì di… tigri! Proprio così: i grandi felini in via di estinzione in tante parti del mondo, la cui diminuzione ha spinto negli anni molti governi ad adottare misure per scongiurare un'ulteriore calo del loro numero.
Solo che in Nepal, grazie allo stop al bracconaggio, all’ampliamento delle foreste e alla realizzazione dei corridoi faunistici che collegano 16 diverse zone protette a cavallo col confine con l’India settentrionale, il numero delle tigri è praticamente raddoppiato in poco più di venti anni, ovvero tra il 1992 e il 2016, passando da 170 a 350, in un territorio di soli 148 mila chilometri quadrati. In particolare la copertura forestale nepalese è quasi raddoppiata, salendo fino al 44% nel corso di pochi decenni e contribuendo ad ospitare non solo tigri, ma anche rinoceronti, elefanti, antilopi e molti altri animali che fanno parte di un ecosistema ricchissimo.
Questo fatto ha reso la convivenza tra animali e umani nel il Paese dell’Everest particolarmente problematica. Tanto che, secondo i dati forniti dal Governo, gli attacchi delle tigri avrebbero causato 40 morti e 15 feriti tra il 2019 e il 2023. Una cifra che sarebbe addirittura sensibilmente più alta, secondo le autorità locali. Da qui la proposta provocatoria, ma nemmeno tanto, fatta dal primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli, a margine di un incontro organizzato per esaminare i risultati ottenuti dallo Stato in termini di contrasto ai cambiamenti climatici lo scorso dicembre. Secondo il premier il numero di tigri considerato sufficiente in Nepal è di 150 individui, 200 in meno di quelli che oggi popolano il Paese. E dunque, ha sentenziato alla BBC, quelle in eccesso “potremmo inviarle ad altri paesi in regalo”. Più che una promessa, una minaccia!
Va detto che un secolo fa, in Asia, le tigri selvatiche erano più di centomila, mentre oggi sono appena 5.600. Il potenziale habitat di questi felini nel mondo è di 1,5 milioni di chilometri quadrati, mentre oggi ne occupano meno del 6%. E se due secoli fa le tigri abitavano 30 Paesi, oggi sopravvivono solo in dieci. Insomma, numeri che non dovrebbero preoccupare.
Eppure in Nepal la situazione rischia di precipitare. Secondo gli esperti gli attacchi delle tigri agli esseri umani si registrano ai margini delle foreste, in quanto i felini tendono ad uscire dalle zone di protezione in cerca di prede. Basterebbe dunque usare misure che scongiurino l'interazione diretta per evitare problemi alle popolazioni locali.
Cosa non semplice però. Gli animali responsabili di aggressioni mortali agli uomini vengono catturati e tradotti in cattività. Solo che i centri di recupero sono già abbondantemente pieni. Da qui l’urgenza di un protocollo che regoli il loro salvataggio, la loro gestione e, infine, la loro “riabilitazione”. “Le strategie di conservazione hanno una valenza ecologica, ma anche una ricaduta sociale” ha dichiarato alla BBC lo zoologo Karan Bahadur Shah. Secondo cui “le comunità locali devono essere parte integrante dei progetti di conservazione” scongiurando che le vittime umane o la stessa predazione del bestiame cresi un clima ostile nei confronti delle tigri, alimentando la rabbia della popolazione.
Il timore di ambientalisti, comunità indigene e dei loro avvocati è che le dichiarazioni del primo ministro si inseriscono in un contesto più ampio di pressioni politiche sul settore ambientale. Non a caso il governo nepalese ha già autorizzato la costruzione di grandi infrastrutture, come centrali idroelettriche e hotel, in zone prima tutelate. E lo stesso stesso Prasad Sharma Oli auspica che la copertura forestale cali al 30% della superficie del Paese, riassumendo la propria visione nello slogan “meno tigri, meno foreste”.
Paradossalmente, per gestire efficacemente i grandi felini occorrerebbe invece ampliare proprio le aree protette e garantire una solida base di preda. “Idealmente, ogni tigre dovrebbe trovarsi nelle vicinanze di circa 500 animali da preda”, ha spiegato alla BBC il biologo delle tigri Ullas Karanth, secondo cui la priorità è dunque la creazione di habitat adatti più che la riduzione forzata dei felini. Ovvero l'esatto contrario di quello che sostiene il primo ministro.