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Alice Arcuri: “La malattia mi ha fermata come atleta, ma non come donna”

A sedici anni, quando era una promessa della scherma italiana, le hanno diagnosticato la displasia femoro-patellare. Da quel momento ha dovuto dire addio alle gare, ma non alla voglia di affermarsi diversamente e di raggiungere obiettivi. A tu per tu con Alice Arcuri

di RICCARDO JANNELLO -
23 aprile 2024
Alice Arcuri

Alice Arcuri

Come sconfiggere la malattia e farne un punto di forza: la volontà, una famiglia piena di affetto, la scelta azzeccata al momento opportuno, non abbattersi mai perché in fondo al tunnel bisogna sempre sapere vedere la luce. La storia di Alice Arcuri potrebbe essere un esempio per molte ragazze che vedono sfumare un sogno, ma che riescono con capacità e un pizzico di buona sorte a veicolare il male in bene e inventarsi una nuova, poderosa, vita.

Alice Arcuri, 40 anni, madre di un bimbo di 10, orgogliosamente genovese (“è la mia città e non l’abbandonerei per nulla al mondo”) è un’attrice che ormai ha raggiunto una sua fama consolidata sia in teatro, allieva allo Stabile di Genova di quel personaggio stupendo che era Marco Sciaccaluga, prematuramente e sfortunatamente scomparso, sia soprattutto in televisione, dove è stata Cecilia Tedeschi in “Doc. Nelle tue mani” e ora per sei settimane è Carolina Vernoni in “Il clandestino” assieme a Edoardo Leo su Rai1. Ma per arrivare a questo ha dovuto lottare contro la malattia.

L’intervista

Alice, lei era una promessa della scherma azzurra, poi che cosa è successo?

“Avevo sedici anni e avevo già disputato vari campionati a livello giovanile ottenendo anche buoni piazzamenti nell’arma del fioretto. Poi un infortunio e una serie di cedimenti alle gambe hanno portato a una diagnosi che poteva essere terribile: displasia femoro-patellare. Il mio scheletro non reggeva più, la mia muscolatura cedeva. Così ho dovuto purtroppo lasciare l’agonismo e curarmi, sperando non ci fossero conseguenze peggiori”.

Ora come sta da questo punto di vista?

“Sto meglio. Grazie a mio padre medico che mi ha portato in America e grazie alle cure dell’ortopedico e a molto allenamento; la mia struttura è più solida e gli episodi di dolore alle gambe sono molto diminuiti”.

Ma non è finita qui…

“No, ho scoperto di essere celiaca e quindi ho saputo perché stavo male mangiando alcune cose. In gravidanza ho avuto un problema ginecologico e sono stata operata, quindi un’altra operazione alla mano. Durante il Covid ho avuto una terribile iposia che ho superato imbottita di cortisone. E infine lo scorso anno mi hanno diagnosticato l’endometriosi”.

Alice Arcuri
Alice Arcuri

Ce ne sarebbe per abbattere un toro, ma come ha fatto a superare tutto questo?

“Ho la fortuna di essere circondata in famiglia da medici e io da piccola sognavo di farlo anch’io come mio padre. Lui mi raccontava tutte le sue avventure di chirurgo, soprattutto quelle relative ai trapianti di rene e pancreas che lo tenevano impegnato 15-16 ore al giorno e come andavano in elicottero a prendere gli organi. Al mio posto è diventato medico mio fratello”.

Quindi la famiglia le ha dato una grossa mano…

“Sì, siamo abituati a elaborare il concetto di malattia, di morte, e come affrontarlo. Non dobbiamo abbandonarci alla tristezza, ma relativizzare ogni malattia con quella degli altri”.

Ma come ci si rialza da una grossa caduta?

“Affrontandola nell’ottica di essere fortunata a svegliarmi sulle mie gambe, a vedere il sole. E’ la chiave di volta: se non si usa la sofferenza in modo positivo si spreca una vita intera”.

Alice ha paura?

“No. L’unica fonte di paura è se accadesse qualcosa a mio figlio. Tutto ciò che riguarda lui mi dà angoscia, ma cerco di avere una grossa lucidità. Giovanni Paolo, così si chiama come suo nonno, è l’amore più grande che ho e quindi il mio leit motiv è: finché succede qualcosa a me e non a lui io sono serena”.

Di qualcosa avrà almeno timore?

“Di sprecare le mie giornate perché il tempo è l’unica legge a cui dobbiamo sottostare”.

Alla luce di tutto, lei si sente una donna forte?

“Una donna determinata, semmai, e sono sicuramente una donna coraggiosa”.

Ha un riferimento letterario che le ha insegnato qualcosa?

“Nel mio diario di ragazzina scrivevo le frasi che sottolineavo nei libri e ce n’è una bellissima di Ernest Hemingway che penso mi rappresenti: ‘Ma di cosa sei fatta tu?’. ‘Di quello che ami’ disse lei. ‘Più l’acciaio’”.

Lei non voleva fare l’attrice, poi si è innamorata del teatro soprattutto grazie a Marco Sciaccaluga: quale dolore ha provato alla sua morte?

“Di non riuscire a entrare più in una sala, di non volere per un po’ di tempo più recitare. E’ stato un percorso difficile, poi ci sono riuscita anche per ringraziarlo e rendergli omaggio. Quello che so fare lo devo a lui”.

Ora che il teatro la vede di nuovo protagonista, quello che ha definito “la mia analisi”, con quali parole lo descriverebbe?

“Vertigine, respiro, umanità”.

E la televisione nella quale ha raggiunto il successo popolare e fra poco sarà protagonista anche della seconda stagione di “Viola come il mare”?

“Divertimento, intimità, relazione”.

E Genova, che cosa è per lei?

“Mi commuove, è la mia città, il mio orgoglio; una città complicata: un genovese può criticarla, ma non permetterà mai che un forestiero lo faccia”.

Che cosa ama della sua città?

“La sua natura, essere stretta fra montagne e mare. I miei momenti felici sono quando con mio figlio mi siedo su una collina di fronte al mare a godermi la bellezza di un panorama che scatena negli esseri umani i migliori sentimenti e la creatività. Si potrebbe vivere solo guardando Genova, un quadro di Goya o il cielo d’Irlanda”.