“Amen”, religione e oppressione. Baroni: “Indago il nucleo familiare come cellula di amore e potere”

Il film d’esordio del regista racconta la vita di una famiglia ultra religiosa, dell’ossessione per il peccato e il perenne senso di colpa che vi aleggia. E della vitalità che prova a strappare tre sorelle da quell’universo oscuro

di GIOVANNI BOGANI -
28 giugno 2024
Le tre sorelle del film "Amen"

Le tre sorelle del film "Amen"

È uscito ieri nelle sale italiane “Amen”, film d’esordio di Andrea Baroni. Ed è un esordio che lascia il segno. È nato un nuovo autore, un nuovo sguardo. Quarant’anni, un’educazione cattolica alle spalle, una formazione da medico – “Non pensavo assolutamente di fare cinema”, dice –, Andrea Baroni racconta con uno sguardo scabro e feroce, che ricorda Alice Rohrwacher o Pasolini, una storia di ossessioni e di oppressioni.

La trama di “Amen”

Siamo nella campagna italiana, in un casolare isolato. Lì vivono tre sorelle, nella terra di nessuno dell’adolescenza. Vivono lì, con il padre e la nonna. Ma qualche cosa non quadra, fin dall’inizio. La famiglia è estremamente religiosa. Una di quelle famiglie cristiane che seguono alla lettera il Vecchio Testamento. Addirittura, la nonna spezza il pane e serve il vino, in una sorta di Eucaristia casalinga. E dirige le regole: le preghiere, le punizioni, le confessioni. Indirizza persino gli sguardi delle tre figlie. Che non hanno mai abbandonato la casa, che non si sono mai abbandonate a niente.

La nonna e il padre del film "Amen"
La nonna e il padre del film "Amen"

Sara – Grace Ambrose, scintillante volto dagli occhi scuri – è la maggiore, mistica, pia. Ester, interpretata da Francesca Carrain, capelli rosso tiziano, diafana e preraffaellita, è disinibita, audace. La terza sorella, la più piccola, vive apparentemente ignara in questo universo familiare terrificante, cupo. Guai a contraddire il padre, guai a peccare. Polvere, terra, vitalità e peccato. La vitalità delle tre sorelle, costrette in ginocchio sui ceci – proprio come nel vecchio modo di dire – a espiare i peccati. Il senso di colpa che sembra circondare tutto. Ma quell’equilibrio malato verrà turbato dall’arrivo di un cugino afasico, impacciato, animalesco. La fotografia indugia sugli occhi, le mani, i corpi, i dettagli. E le due attrici sono straordinarie, nel mettere in scena istinto ed emozione. Nel dare volto, e gesti, al controllo e alla perdita di controllo, all’esplodere della sensualità, improvvisa e inarrestabile.

Grace Ambrose – classe 1996, italo-americana, una vita fra il Michigan, New York e Roma – fornisce una prova straordinaria, sempre sospesa fra curiosità e timore, tra la voglia del peccato e la paura. E Francesca Carrain, colori da Isabelle Huppert, pelle bianchissima e lunghi capelli color Sinner, è un’anima fiammeggiante, indomabile.  Come è nata in lei l’idea del film, Andrea? “È partito, paradossalmente, dal luogo. Dopo aver scoperto casualmente il casolare in cui è ambientato il film. Un luogo che evocava in me ricordi di infanzia e adolescenza. Ho scritto la sceneggiatura come preso da una furia, e in due settimane avevo pronto il film. Altre due settimane soltanto per le riprese. È un film assolutamente indipendente, nato grazie a un concorso eccezionale di circostanze”. Il film, fin dal titolo, mette la religione al centro di tutto. Delle sofferenze e dei conflitti vissuti dalle ragazze. Da una parte c’è la loro scoperta di sé e del desiderio; dall’altra la religione, che impedisce alle ragazze di conoscersi. La religione come oppressione. “In realtà, però, quello che mi interessava era raccontare la conoscenza, come volontà di infrangere il limite. Volevo raccontare personaggi che guardano in una direzione sconosciuta. E che poi subissero delle conseguenze rispetto a quella scelta. E soprattutto, indago il nucleo familiare come cellula di amore e di potere”.

Grace Ambrose in "Amen"
Grace Ambrose in "Amen"

Una cellula, la famiglia, a sua volta immersa in un milieu cattolico. Lei ha ricevuto una educazione cattolica? “Sì, dall’asilo fino alle medie. Ma c’è un brodo cristiano-cattolico che è insito nei nostri costumi, e con cui dobbiamo fare i conti più di quanto si pensi. Anche se la famiglia che metto in scena ha degli atteggiamenti, dei rituali che non sono propriamente cattolici”. Ricordano, forse, più che il cattolicesimo certe forme di protestantesimo. “Sì, avevo in mente alcune comunità neocatecumenali, protestanti. Comunità molto legate alla lettera delle Scritture. Mentre scrivevo la sceneggiatura, sono riemersi in me i versetti della Bibbia, come se fossi tornato agli anni del catechismo”. In “Amen” racconta anche la sottomissione di tre figlie ad un nucleo familiare malato. Dove la violenza sembra esercitata dal padre. Un patriarcato violento sotto l’egida del cristianesimo. Ma in realtà, a ben guardare, chi regge i destini di tutti, chi comanda davvero, è la nonna. “Sì. Mi sono accorto che in molte famiglie, in molti nuclei, c’è un patriarcato sottomesso ad un matriarcato”. C’è una critica alla religione cattolica? “In realtà, c’è una critica a come le parole della Bibbia possono venire usate impropriamente, per altri scopi. E poi, in realtà, io non parlo di cristiani cattolici, nel film”.

Francesca Carrain in "Amen"
Francesca Carrain in "Amen"

Dice che ha realizzato il film in due settimane di riprese. Eppure sembra molto curato. C’è una grande intensità nei primi piani… “Ne sono felice. Devo molto a Niccolò Palomba, e alla sua fotografia. E soprattutto agli attori: Grace Ambrose, Francesca Carrain, Valentina Filippeschi. Non c’era tempo per fare cinque, dieci, quindici ciak come possono permettersi certi registi: ogni volta, chi era davanti alla macchina da presa doveva trovare subito la giusta ‘nota’. Ed è andata esattamente così”. Detto di sfuggita, un altro film, uscito una ventina di anni fa, portava (quasi) lo stesso titolo. “Amen.”, con il punto, di Costa Gavras, maestro del cinema europeo, raccontava i rapporti tra il Vaticano e il nazismo.