Benedetta Porcaroli (Roma, 1998) ha conosciuto il bullismo da ragazzina. Quello mediatico, fatto grazie a un banale gruppo Facebook, in grado di segnare un’adolescenza.
L’attrice, nata a Roma 23 anni fa, figlia di una funzionaria segretaria del Quirinale e di un docente, un ex avvocato che si è poi dedicato all’archeologia, ha raccontato la sua esperienza i media: “Sono sempre stata filiforme. I ragazzi cercavano sederi e seni in lungo e in largo, le mie amiche avevano le loro forme, mi vennero un po’ di complessi. Su Facebook avevano creato gruppi: Benedetta Porcaroli piatta. Oggi il mio fisico lo vedo come una salvezza”. Per il cognome, poi gli "sfottò" non sono mancati... “Era inevitabile. Ma non sono mai stata veramente preoccupata. Mio padre per smussare mi diceva ironico: un cognome così non passa inosservato, si ricorderanno di te. Papà ha diverse lauree e ha fatto tanti lavori, ora insegna, è stato lui a trasmettermi l’amore per il cinema. Alberto Sordi, Anna Magnani; mamma lavora al Quirinale. A 15 anni un’amica di mia madre agente di cinema mi chiese: vuoi fare un provino? Mi ritrovai su Raiuno in Tutto può succedere. Si sono fidati, hanno visto qualcosa in me. Ero piccola, inconsapevole”. Nel frattempo, la storia tra Benedetta Porcaroli e Riccardo Scamarcio prosegue nonostante la grande differebza di età, lontano da occhi indiscreti e senza alcun clamore. I due hanno 19 anni di differenza. Scamarcio è reduce da un recente matrimonio con la manager Angharad Wood (alla quale era legato dal 2018), madre della sua primogenita Emily, nata solo un anno e sei mesi fa. Benedetta Porcaroli è una delle protagoniste del film tratto da un fatto di cronaca nera ha segnato una generazione: nella notte fra il 29 e il 30 settembre del 1975, i corpi di due ragazze vengono tirati fuori dal bagagliaio di una 127 bianca. Una di loro è ancora in vita. L’altra è morta. Sono due ragazzine. Sono state attirate in una villa da tre ragazzi poco più grandi di loro. Le hanno violentate, picchiate, drogate, massacrate, colpite con una spranga di ferro. Una la hanno annegata in una vasca.
I tre erano ragazzi della ricca borghesia romana, figli di papà. Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, che umiliarono, seviziarono, massacrarono Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, uccidendo quest’ultima senza accorgersi che la prima era ancora viva. Avevano fatto le superiori in una buona scuola, una scuola cattolica maschile in cui maturò tutto. Da questa vicenda, l'atroce caso del Circeo, e dal libro-fiume di Edoardo Albinati, loro ex compagno di scuola, che la esplora – La scuola cattolica, premio Strega 2016 (Rizzoli) – prende le mosse l’omonimo film di Stefano Mordini presentato ieri fuori concorso alla Mostra del cinema, in sala dal 7 ottobre. Una delle vittime di quel delitto, quella che si salvò, Donatella Colasanti, è interpretata nel film da Benedetta Porcaroli. Era la protagonista della serie Baby, in cui era un’adolescente della Roma bene finita in un giro di prostituzione. “Ho avuto paura di non essere capace di restituire a Donatella quella luce, quell’innocenza, quella purezza che si portava dietro: ho avuto paura di non raccontarla con il dovuto rispetto, con la giusta attenzione al personaggio reale", le sue parole riferendosi a questo difficile ruolo. “Recitare ciò che accadde è stato molto complicato. Ho dovuto interiorizzare un’esperienza che per fortuna non ho mai dovuto vivere. Insieme al regista e a tutto il cast, siamo stati come trascinati, come travolti. Ci eravamo presi la responsabilità di parlare di una violenza che è accaduta, e che continua ad accadere. Ed è stata dura. Mi sono chiusa nella mia intimità, come se i miei occhi guardassero dentro di me“.
Fra le scene più drammatiche, quelle in cui la giovane vittima viene costretta a spogliarsi dai suoi violentatori. “Costringere una persona a spogliarsi è l’estrema umiliazione di un individuo, e un’emblematica metafora della sopraffazione del più debole - prosegue il racconto du Benedetta Porcaroli -. Quando al mio personaggio viene chiesto di spogliarsi, per la prima volta ho sentito il mio corpo che si è bloccato: non riuscivo a togliermi quei vestiti. Non ho imbarazzi da attrice, perché tutto è funzionale al film: ma ho sentito il mio corpo che si irrigidiva, che sentiva la violenza di quel gesto". Qual è il senso, oggi, del raccontare questa storia? «Sento doveroso e necessario che sia raccontata alla mia generazione. Ancora oggi le sentenze ai processi di stupro sono ricche di stereotipi sessisti; ancora oggi si sente dire quando ci sono vicende del genere ‘come era vestita’, o se era ubriaca. Le donne fanno ancora fatica ad essere credute". "Conoscevo la vicenda, frequentando il Circeo da quando sono piccola, ne avevo sentito parlare - conclude - . Il film ci riporta indietro nel tempo, ma la verità è che quello che viviamo tutti i giorni è molto simile. Quello che manca è l’educazione sentimentale. È stato doveroso portare in luce questa storia, necessario per la mia generazione e per tutti noi. Spero di aver restituito a Donatella un po’ di giustizia".