"True Mothers", l’ultimo film di Naomi Kawase, regista, sceneggiatrice e produttrice giapponese nota per le opere che puntano uno sguardo al femminile sulla realtà relazionale e sociale, porta sotto i riflettori un tema molto attuale, in epoca di famiglie complesse e diversificate: chi può dire di essere una vera madre? E chi sono o possono sentirsi veri genitori? Quelli biologici, quelli acquisiti, quelli adottivi o quelli che semplicemente amano? Liberamente ispirato al romanzo "Asa ga Kuru" di Mizuki Tsujimura (internazionalmente tradotto col titolo "Morning Comes"), "True Mothers" - scelto nel 2020 per rappresentare il Giappone ai Premi Oscar - arriva nelle sale il 13 gennaio, distribuito da Kitchen Film.
La pellicola racconta una delicata e drammatica storia di adozione in cui sono coinvolte ben tre madri: quella biologica, Hikari, un’ingenua ragazzina che rimane incinta di un coetaneo a 14 anni e viene convinta dalla famiglia a dare il bambino in adozione; quella adottiva, Satoko, che si è sottoposta, con notevole sofferenza, insieme al marito Kiyo Kazu a tutta una serie di trattamenti della fertilità senza successo; una terza donna, l’intermediaria dell’associazione adottiva, che si considera mamma/nonna di tutti i bambini adottati.
Oggetto del contendere è il piccolo Asato, che vive con la famiglia adottiva ormai da sei anni quando una giovane, che dice di esserne la vera madre, chiede indietro il bambino oppure che le siano dati dei soldi. Satoko la invita a casa per parlare ma alla sua porta si presenta una giovane donna che non somiglia in alcun modo all'adolescente che ha dato alla luce il suo figlio adottivo: Satoko sente istintivamente che questa donna non è Hikari e vuole scoprire la sua vera identità, mettendo in atto quanto in suo potere per farlo, finché non scoprirà alcune verità scioccanti sul passato di Hikari. “Quando si gira un film arriva sempre un momento che mi commuove fino alle lacrime. Quando gli attori vivono a pieno la vita dei loro personaggi da esprimere emozioni che vanno ben oltre la sceneggiatura – dichiara la regista Naomi Kawase –. Mi rendo conto quanto questo sia prezioso e raro. Gli attori in questo film sono sorprendenti: i loro personaggi sono l'incarnazione degli esseri viventi".
Sul ritmo delle stagioni che si susseguono, fra gli immancabili ciliegi in fiore – l’albero simbolo del Giappone –, il film affronta i temi classici dell’autrice: l’abbandono (la regista stessa, abbandonata dai genitori, è stata cresciuta dai nonni), la maternità, l’incertezza che mina le vite di tutti, la ricerca dei difficili equilibri esistenziali, il destino, le scelte. "Abbiamo girato in sei diverse location del Giappone: su un'isola, nella foresta, in città, in un luogo storico – dice ancora la regista –. Abbiamo realizzato questo film come se fosse il ricordo di un viaggio attraverso le stagioni e i caratteri di ogni luogo. È una storia sulla forgiatura del proprio destino come se, dopo la pioggia, una luce radiosa avesse purificato il mondo". Una storia per ricordare che non conta tanto la destinazione finale, quanto il percorso, che mostra quanto imponderabile sia talvolta la ricerca della felicità nelle relazioni con gli altri.