Di giorno lavora in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni: chi è Lorenzo Pagni

In arte Pugni, il disco d'esordio dell'artista toscano “Tuffo”, è appena uscito. Un album che è un viaggio interiore tra quei corridoi, tra salute mentale, amore e rinascita

di GIOVANNI BALLERINI
26 ottobre 2024
Pugni (c) Giulia Bartolini

Pugni (c) Giulia Bartolini

“Dopo essermi laureato in psicologia, il primo senior post lauream l'ho fatto a Torino. Ho scelto quella città un po' per le possibilità universitarie, ma più che altro per la scena musicale, conoscevo qualche ragazzo che era qua a suonare, e me ne parlava molto bene, di una scena molto ricca, un buon fermento musicale. A Torino inizialmente ho fatto qualche lavoretto per arrangiarmi e pagare l'affitto, poi ho trovato lavoro in una clinica psichiatrica, inizialmente facendo atelier di arti terapia, e poi come psicologo”.

Si presenta così Pugni, cantautore pisano che abita a Torino, nonché uno fra gli artisti più interessanti e promettenti in circolazione. Lo dimostra il suo disco d'esordio “Tuffo”, appena uscito con distribuzione Believe Music Italia e il supporto manageriale di Costello's Records. L’artista toscano, classe 1993, che in realtà si chiama Lorenzo Pagni, di giorno lavora come psicologo in una clinica psichiatrica, di notte scrive canzoni. E lo fa bene, come conferma in questo primo album “Tuffo” in cui l’acqua – dell’Arno prima e del Po’ dopo – accompagna e spinge il suo viaggio interiore. Il racconto si dipana in otto brani che parlano di salute mentale, di morte e rinascita, di amore, talvolta spogliato della sua magia: svelato il trucco, nessun incantesimo esercita il suo fascino. Il risultato è un salto nell’inconscio che dà voce alle storie che Lorenzo vive in prima persona e che si mescolano con quelle incontrate nelle sedute con i pazienti, in cui ritrova parti di sé, soprattutto quelle indesiderate che ci rifiutiamo di accettare. “In questo primo album ho raccontato qualcosa di quello che si incontra in quel posto, in quei contesti, che comunque sono molto separati dal contesto che viviamo fuori – spiega Pugni -. E’ uno spazio in cui spesso viene anche relegata un certo tipo di sofferenza, che al di fuori di quei posti non la si vede. E, quando la si vede, la si giudica, perché magari spesso sono persone che fanno fatica a integrarsi nei contesti sociali, per cui esultano anche dei reietti o delle persone apparentemente fastidiose, mentre poi quando le vedi in quei contesti lì dai un po' un significato anche ai comportamenti che vedi fuori, quindi relativizzi un po' il modo di vedere anche il mondo”.

Quando la vedremo in concerto? “Il 15 novembre sono al Santeria di Milano, in apertura ad Amalfitano, il 16 novembre sono All'Hangar di Firenze, il 30 novembre sono a Pisa nella mia città, con un release party con la band all'Exwide, ma, stiamo fissando altre date in giro”.

Come fa a trovare lo spazio per l'altro lavoro? “Ho fatto diversi straordinari e mi sono accumulato delle ore di permesso, poi sto cercando di incastrare le ferie con le date del tour. E’ molto stancante, ma anche una grande soddisfazione, una cosa che voglio in tutte le maniere. Non sto dormendo la notte, in qualche modo devo seguire questo fuoco che ho dentro, che mi sta portando sul palco, altrimenti mi brucio”.

Le nuove canzoni non sono così cupe come ci si potrebbe aspettare da uno che si chiama Pugni e che fa lo psicologo “Diciamo che comunque sia, provo anche a lasciare trasparire uno spiraglio di luce non semplice. Mi piace la logica del ribaltamento, laddove c'è l'ombra significa che c'è una luce, che ti sta illuminando e che proietta l'ombra. C'è anche la luce nella sofferenza, nel dolore si ritrovano un sacco di luci in realtà, come tizzoni ardenti di cenere, su cui basta soffiarci sopra per riaccendere il fuoco”.

Come mai ha scelto di chiamare il disco "Tuffo”? “E’ un tuffo nell'emotività, vuole esprimere un po' il buttarsi nell'inconscio, nelle emozioni, nelle profondità della psiche, è anche un incoraggiamento per me, che ci ho messo tanto a fare uscire qualcosa di mio. Nonostante scriva da quando avevo 16 anni, non ho mai avuto il coraggio di buttarmi, questo primo lavoro per me è un po' un tuffo. Prima di lanciarti hai un po' il dubbio, lo faccio, non lo faccio, lo faccio, non lo faccio, poi quando ti scatta quel millesimo di secondo che decidi di saltare, ormai l'hai fatto e ti godi il volo in aria”.

In cosa sono diverse le cliniche psichiatriche dai manicomi, chiusi con la legge Basaglia? “Le cliniche psichiatriche sono un cambiamento non così sostanziale nel contenuto, quanto più nella forma. La realtà è che cambiano le modalità di ricovero dei pazienti. Sicuramente i trattamenti farmacologici permettono ora un controllo della sintomatologia diverso da quella che c'era prima, prima c'erano delle legature fisiche, oggi probabilmente ci sono delle legature chimiche, perché spesso ci andavano giù pesanti con i farmaci, anche quella è una cosa che diciamo nell'album”.

In collaborazione con Michael Sorriso, nel pezzo inchiostro blu? “Sì, si parla proprio delle multiterapie che vengono date in psichiatria e c'è questo continuo bombardamento farmacologico che nasce non perché le psichiatrie siano cattive, ma perché non ci sono nemmeno i fondi per poter veramente offrire un servizio degno della domanda che c'è per la salute mentale, è assolutamente una roba impari rispetto a qualsiasi altro ambito della salute e della sanità, la sanità mentale comunque è molto indietro, nonostante negli ultimi anni si stia sicuramente parlando di più dell'argomento, vivendolo da dentro ti dico che si fa molta fatica con il personale che c'è a gestire tutta la quantità di richieste che arrivano. Soprattutto dopo il Covid c'è stato un aumento dell'incidenza di ansia, depressione, utilizzo di sostanze, alcol, tra giovani giovanissimi ma anche persone di mezz'età, persone anziane, è un ambito in crescita dal punto di vista della consapevolezza perché comunque se ne parla. Ma, se ne parla in maniera abbastanza borghese in realtà perché non c'è un reale contatto con la necessità reale dei pazienti che hanno anche situazioni socioeconomiche non esaltanti”.

Mi è piaciuta molto anche la canzone “37 denti”con quest'idea dei sorrisi smodati, dietro quali si nasconde la tristezza. E’ anche un modo per raffigurare un po' tutta la società? “Se ne parla di più però in maniera un po' superficiale, in una maniera che non spaventa, in ogni caso la vera ombra delle cose, il vero buio delle cose è per me a livello mainstream. Ci sono delle realtà, dei personaggi che si affezionano a delle cause e ne fanno vedere anche le atrocità, non soltanto in ambito della salute mentale parlo anche della questione della guerra, della politica, di qualsiasi causa si prenda in conto, però diciamo che ci sono spesso le mode per i diritti, ci sono queste ondate di mode per i diritti per una cosa, per un gruppo di persone, diritti che sono assolutamente giusti in partenza, che rischiano però nella trasposizione mainstream della causa di risultare un po' impoveriti e banalizzati, perché diventano una roba pop da vendere. 37 denti parla di un tipo di persona, ma in realtà della tendenza della nostra società, di far vedere la parte migliore di noi attraverso i social, questa creazione di un'identità digitale che è quasi un avatar in cui ci rispecchiamo, ma che non ci riflette veramente, perché facciamo vedere soltanto la parte che crediamo possa essere maggiormente accettata dagli altri”.

Nel brano “Orchestra di silenzi” invita invece ad abbandonare il patriarcato in qualche maniera? “ Sì, ma più o meno è la stessa logica, perché quel pezzo lì l'ho scritto in particolare rivolgendomi proprio a me, che sono cresciuto ricollegandomi al discorso del canottaggio della canoa, quell'ambiente che ho sempre frequentato, molto maschile e molto maschilista, in cui si elogia la forza, la vittoria nei confronti dell'altro maschio, in cui c'è una continua dimostrazione del proprio valore, in cui le fragilità vengono coperte dai muscoli e ancora una volta c'è una fragilità che non trova spazio, che viene ricoperta da qualcosa di più superficiale, di più accettato socialmente. Ma, il maschio soffre di questa roba e secondo me è una parte del femminismo che non è abbastanza promossa, ovvero i danni che il patriarcato fa sugli uomini proprio, è una parte di femminismo che nella sua trasposizione hyper mainstream si rischia di perdere e si rischia di creare una fazione donne contro uomini, mentre l'unico modo probabilmente per risolvere la situazione è fare squadra, non creare delle fazioni, perché queste portano a ulteriori divisioni, quindi non credo che sia la soluzione”.

Per la parte musicale ha lavorato con Kendo e Danny Bronzini, quindi non tutto è elettronica, in questo disco c’è anche tanta musica suonata? “ Ci sono tantissime chitarre, Danny Bronzini è un grandissimo chitarrista, ho collaborato con un sacco di musicisti torinesi e non, ma i pezzi sono tutti molto suonati, poi sono stati post prodotti, però si parte sempre dal legno, tendenzialmente dalla parte analogica, a parte un pezzo che è quello con Michael Sorriso, però anche lì in realtà ci sono tante chitarre, tanti bassi, quindi la parte analogica è quella predominante".