Il suo brano “Ladruncoli” dell’album d’esordio, fu scelto per il lancio della campagna mondiale di una fragranza. Nel 2009 è stata finalista a Musicultura, dove si aggiudicò il premio per la miglior interpretazione. Ha collaborato con Pacifico e ha aperto i concerti del tour teatrale di Joan As Police Women. Nel 2020 ha scritto la canzone “Nucleare” che ha cantato insieme ad Arisa a sostegno di un progetto benefico. Stiamo parlando della cantautrice milanese Manupuma (nome d’arte di Emanuela Bosone) in occasione della pubblicazione del nuovo album “Cuore Leggero”, scritto insieme a Michele Ranauro, in arte De Maestro, al suo fianco sin dagli esordi e prodotto da Taketo Gohara, produttore e arrangiatore nipponico che da anni lavora con alcuni dei più grandi artisti della scena musicale italiana. In questi giorni Manupuma ha pubblicato anche un post sul body shaming, ricordando un discografico che, rudemente, anni fa, pensava di decidere sulla sua vita professionale e sul look da adottare. La cosa ha generato un bel dibattito in rete.
Manupuma, che è successo? “Un po' di anni fa un discografico mi disse: “Emanuela, o fai canzoni senza tempo, oppure dovresti metterti una parrucca sulla faccia”. Fu uno schiaffo a me, alla mia dignità. E’ stato peggio che ricevere una coltellata, io almeno l'ho percepito così. E poi, se al mio posto ci fosse stato qualcuno più fragile, più giovane, che nella vita aveva vissuto chissà quale tipo di dolore, di abuso, quell’affermazione violenta poteva fargli veramente molto male. Io avevo già fatto il mio primo album e non era andato troppo bene, per questo ero in giro per trovare un produttore. Forse mi è stata detta questa cosa perché non avevo più vent'anni e perché probabilmente soffrivo allora di una forma di depressione, per cui ero un po’ sovrappeso. Ripensandoci, in seguito, ho cercato di giustificare la cosa in tutti i modi e ho pensato che forse quel discorso della parrucca sulla faccia mi fu proposto per prendere spunto dal modo di presentarsi di Sia Furler, la cantante australiana che ha motivato quella scelta di celarsi il volto con la volontà di difendere la propria privacy. Ma è indubbio che ci rimasi malissimo: mettere una parrucca in faccia non fa neanche scorgere lo sguardo che è il veicolo dell'anima”.
Nell'industria musicale, nella musica in genere, continuano a esserci discriminazioni di genere? “Ce ne sono tantissime. E poi c’è la fissazione dell'età: bisogna essere per forza giovani e belli. C'è la convinzione assurda che gli artisti devono puntare sulla bellezza. La musica viene dall'anima e non penso che per far brillare la propria voce o le proprie parole c'entri qualcosa l'aspetto fisico. Adesso forse succede un po' meno perché la musica è cambiata e le persone possono pubblicare le loro cose da soli e quindi possono venire fuori, farsi conoscere autonomamente. Ma, fino a qualche anno fa i discografici erano ancora importanti e si dilettavano spesso a dettare le strategie sul look che si doveva avere per avere successo. Ancora oggi sono soprattutto gli uomini che dettano leggi sull'aspetto estetico che deve avere un artista. Giudizi spesso permeati di sessismo e secondo me è molto grave. La musica è un veicolo di bellezza, è qualcosa di meraviglioso che gli esseri umani creano: deve essere fruibile per tutti e soprattutto deve poter essere fatta da tutti”.
E quindi è giusto continuare lottare per mettere al bando il body shaming? “20 anni fa se pesavi 200 kg non avresti mai fatto carriera nella musica, oggi spesso sì. I tempi sono cambiati, la gente è più consapevole di se stessa, ma, spero che dietro tutta questa emancipazione non ci sia strumentalizzazione. Mi auguro insomma che le persone che sono o troppo magre o troppo grasse non vengano usate come strumenti per bucare l’audience, che promuoverli non sia la moda del momento”.
Dietro le strategie promozionali si nasconde spesso ancora il bullismo? “Secondo me qualche volta succede ancora. Per carità, in ogni ambito del lavoro, anche nel mondo della musica, dello spettacolo, ho incontrato belle persone, gente che ha creduto veramente in me. Ma, diciamo che, soprattutto in Italia, le dinamiche spesso sono ancora molto superficiali, soggettive e molto ancora basate sulla discriminazione estetica. In altri paesi va in maniera diversa. Per esempio, Adele, quando pubblicò il suo primo album, uscì alla ribalta così com'era, non fece diete e cambiamenti di look preventivi. Nessuno aveva niente da obiettare a questo proposito, poi ovviamente nel tempo per proseguire la carriera, per fare tanti tour, per forza di cose, oggi ha un fisico più in forma, più allenato, perché alla fine un artista è un po' come un atleta. Però non mi torna che qui in Italia se voglio cantare devo essere per forza tirata e patinata come una fotomodella. Dove sta scritto?”
Torniamo all’album “Cuor leggero” ... “Considero questo titolo, come se fosse il tetto di una casa. All'interno di questa casa si entra e si scoprono varie stanze, varie temperature, varie tinte. C'è tutta una parte legata a colori sereni, spesso ambientata anche al Chinatown, che è un quartiere che ho sempre frequentato. Fra i brani segnalo “Vorrei”, che è un omaggio ai film di Torres, che ho sempre amato. Però ci sono altre stanze, che sono quelle più interiori, come “Pioggia”, dove cambia anche un po' l'uso della mia voce, del mio timbro. Nelle tracce di questo album parlo anche di caduta, di dolore, di repressione, di rialzarsi, di credere in se stessi. Il pubblico percepisce quello che vuole, ma il disco è stato costruito come se in questa grande casa avessi messo stanze più piacevoli, stanze più superficiali, stanze in cui, se hai tempo di ascoltare, si va molto in profondità. Succede, ad esempio in “Polvere”, l'ultimo brano del disco, che è per me un'indispensabile discesa nell'ade, negli inferi per capire, per perdonarmi e per perdonare e poi riemergere. In generale “Cuor leggero” è un disco di speranza, con atmosfere che non sono solo pop, ma anche piacevolmente jazzate. Non è un disco monolitico ed è stato per me una piccola rivoluzione, un atto di rinascita e quindi spero che arrivi a più persone possibili”.
Come mai ha scelto di chiamarsi Manu Puma? “Perché ho studiato teatro e varie discipline dello spettacolo per poi diplomarmi all’Accademia di Belle Arti di Brera. A Roma feci anche un corso sul metodo Strasberg, che è quello che si usa all'Actor studio. Ci fecero fare un esercizio: per caratterizzare il personaggio che dovevamo interpretare: dovevi scegliere un animale, per questo ci mandarono allo zoo e io mi fermai davanti alla gabbia di un puma, che mi colpì particolarmente perché il felino continuava ad andare indietro. Quell’animale è diventato il mio nome d'arte: Bosone allora non mi sembrava abbastanza musicale, ho preferito chiamarmi Manupuma”.
Quando parte la promozione del disco? “Il disco è disponibile su tutte le piattaforme digitali.A febbraio farò la prima presentazione live a Milano. Poi mi piacerebbe, visto che vengo dal teatro, unire le canzoni di questo album a un excursus su tutte le cose che ho raccontato e che mi hanno fatto soffrire come una ragazzina. Brani musicali abbinati a una sorta di monologo sul body shaming, sul bullismo e la poca sensibilità di un certo mondo che spesso si nasconde dietro alla musica. Un progetto per mettere al bando le parrucche da qualsiasi viso, perché ogni anima deve avere il suo spazio per brillare. Ovviamente si tratta di uno spettacolo da sviluppare attraverso metafore e spunti, ma voglio portarlo in tour perché comunque secondo me certi argomenti vanno portati in luce”.