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Il cinema che parla il linguaggio sociale: sul grande schermo si racconta il valore dell'afrodiscendenza

di GIOVANNI BALLERINI -
15 febbraio 2022
Regista

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L’afrodiscendenza vista come un plus, come un valore, è una componente sociale eterogenea, multiforme e complessa sicuramente capace di arricchire e trasformare cultura, arte e società nel loro insieme. La pensa così il Kibaka Film Festival, la rassegna di cinema africano, che il 14 e il 15 febbraio 2022 ha festeggiato al Museo Istituto Fiorentino di Preistoria e al Cinema La Compagnia di Firenze la sua VIII edizione. Ma, anche il festival di musica, cinema e cultura Afrobrix di Brescia che cerca di valorizzare le realtà afrodiscendenti e afroeuropee, nonché il Black History Month Florence che sottolinea il decennio internazionale per le persone di origine africana proclamato dalle Nazioni Unite, dal 2015 al 2024, puntando a far emergere l’attualità dell’afrodiscendenza, in Italia e nel mondo, ancora troppo spesso oggetto di razzismo e discriminazione.

La storia di Ibrahim raccontata da Andrea Banfi nel suo corto "Lontano"

Per chiarire ancora di più il concetto e allargare la discussione sull’argomento, il festival fiorentino e quello bresciano hanno stabilito una intensa collaborazione che quest’anno ha contribuito ad animare un interessante ciclo di proiezioni composto da quindici cortometraggi e tre lungometraggi. Uno dei più interessanti fra quelli in programma in entrambi i festival è Lontano (di Andrea Banfi, Italia, 2021, 22') che racconta la storia di Ibrahim, un immigrato africano in Italia che lavora come fattorino senza garanzie e lotta per guadagnarsi da vivere. Lontano dalla sua famiglia, Ibrahim cerca di guadagnare di più con la droga per permettersi il viaggio nel suo Paese. Andrea come mai ha scelto di realizzare un corto su una storia di non integrazione africana? "Ho studiato alla London Film School per due anni. Da italiano a Londra ho dovuto integrarmi velocemente con una nuova cultura e una nuova comunità – spiega il giovane regista fiorentino, classe 1998, che per il corto Lontano ha ricevuto molte critiche positive –. In questa città ho sentito una forte diversità etnica, ma ricollegabile a un’unica comunità inclusiva, indipendentemente dal Paese di provenienza. In Italia questo fenomeno è molto meno presente perciò ho deciso di trattare la discriminazione che spesso, ma non sempre, vince sull’armonia e la compassione. Nel mio film c’è il concetto di discriminazione ma c’è anche un’amicizia tra due padri, uno africano e uno italiano, entrambi fragili, entrambi che vorrebbero cambiare le loro vite. Ma, spesso, le cose non vanno come si vorrebbe. Io ho trattato di questo, dell’amore tra padre e figlio, del pericolo della vita, dell’inclusione dovrebbe essere un valore, ma spesso viene vista come un pericolo".

Andrea Banfi, classe 1998, ha presentato il suo corto "Lontano" come progetto di laurea per l'università di Londra che ha frequentato

Avere una discendenza africana è un qualcosa in più? "Per me avere una discendenza africana ha senz’altro un grande valore. Come tutte le diverse discendenze, ci arricchisce, ci permette di essere poliedrici e versatili in molte situazioni. Avere una discendenza africana dona, secondo me, un rapporto più grande ed elevato con le cose essenziali della vita è un distacco sano e positivo con gli archetipi e le 'strutture' inutili". Sta progettando di fare altri film sull'argomento? "Lontano è un cortometraggio di laurea per la mia università di Londra. Ho scelto apposta di parlare del mio Paese e di una problematica che realmente si vede e si vive in Italia. Come tale e grazie al piccolo successo che sta avendo desidererei realizzarne il lungometraggio ispirato. Sto pensando da tempo ad un soggetto che narri una storia più lunga, più ricca e complessa che ha al centro sempre Ibrahim, un escluso, un padre. Magari fare un finale diverso, con più speranza e meno barriere".

Quindici cortometraggi e tre lungometraggi sull'afrodiscendenza sono stati presentati al Kibaka Film Festival e al Afrobrix di Brescia

I cortometraggi in concorso

Gli altri corti in cartellone al Kibaka Film Festival erano: Baby Blues (di Mamadou Diop, Francia, 2021, 15'), Lipstick (di Bahram Sadeghi Shabestari, Cuba, 2019, 12'), Soul river and black memories (di Taize Inácia e Thaynara Rezende Brasile, 2019, 20’), Bup (di Dandara de Morais, Brasile, 2018, 7’), The Ebrima’s journey (di Ruda Rosa Cordaro, Portogallo, 2021, 14'), The black hole (di Oussama Lamharzi Alaoui, Marocco, 2019, 7'), Jjamaica & tamarindo: afro tradition in the heart of Mexico (di Ebony Bailey, Messico, 2019, 20’), Call me neguinho (di Selim Harbi, Capo Verde, 2019, 10’), Twaaga. Invincibili (di Cédric Ido Burkina Fasso 13'), Un enfant perdu. Un bambino smarrito (di Abdou Khadir Ndiaye 2016 19'), Tangente (di Julie Jouve e Rida Belghiat La Riunione/Francia 2018 27'), Il fabricante di barchette. Memoria del mediterraneo (di Eusebio De Cristofaro 2019 24').

I lungometraggi

Por aqui tudo bem - Qui va tutto bene (di Maria Esperança Pascoal, Portogallo, 2011, 94'), Le Franc (di Djibril Diop Mambéty, Senegal, 1994, 45'), Kimpa Vita: La madre della rivoluzione africana (Ne Kunda Nlaba 2016 76').

La rassegna “Con i miei occhi. Storie afgane”

Non solo persone nere, il cinema parla di sociale a tutto tondo. E così anche l'Afghanistan arriva sul grande schermo, visto con gli occhi dei suoi cittadini e cittadine e con le testimonianze di chi lavora in prima linea. Doc/it Associazione Documentaristi Italiani, con la collaborazione e il sostegno di Emergency, del Cinema La Compagnia di Firenze - Fondazione Sistema Toscana, del Festival Middle East Now, dell'Associazione ZaLab e del Cinema Troisi di Roma, ma avvalendosi anche del prezioso contributo di Rai Documentari, promuove infatti una rassegna di documentari, intitolata Con i miei occhi. Storie afgane. Essendo un progetto senza scopo di lucro è finanziato attraverso le donazioni libere di enti pubblici e privati, di cittadine e cittadini. È possibile sostenere l'iniziativa con una donazione sul sito www.conimieiocchi.org.

"Con i miei occhi. Storie afgane" è la rassegna di documentari presentata da Doc/it Associazione Documentaristi Italiani ed Emergency

Le proiezioni, che prenderanno il via oggi, 15 febbraio, raccontano il Paese mediorientale con il linguaggio delle immagini e attraverso le voci di registe e registi afgani, giornalisti e giornaliste che ogni giorno testimoniano ciò che avviene in questo Stato, da oltre vent’anni in guerra. Un modo per accendere i riflettori sulla cultura afgana, ma anche sulla produzione artistica e cinematografica del territosio, e per raccontare l'Afghanistan con gli occhi di chi negli ultimi anni ha lavorato alla sua rinascita culturale. Per questo saranno ospitati anche gli addetti ai lavori che in questo momento vivono in Italia e in Europa. Il ciclo di documentari, fruibili in presenza e in streaming sulla sala virtuale PiùCompagnia e sulla piattaforma Partecipa dell'Associazione ZaLab, si inaugura con il focus Ritorno in Afghanistan – Sei mesi dopo la presa di Kabul, in diretta streaming dalle ore 14.30 dal Cinema La Compagnia di Firenze, a sei mesi esatti dalla presa di Kabul, alle ore 14.30, in diretta streaming nella sala virtuale PiùCompagnia e sulla pagina Facebook del Cinema (@CinemaLaCompagnia). Seguiranno poi tutta una serie di appuntamenti in presenza e online. Il poster e la sigla della rassegna sono stati ispirati dall’iconica foto La ragazza afgana di Steve McCurry, del 1984: a realizzarli in esclusiva è stato Simone Massi, uno dei più importanti illustratori e animatori italiani. Sharbat Gula, la ragazza ritratta da McCurry, è giunta a Roma nel novembre del 2021 e ha ottenuto da poco lo status di rifugiata dal Governo italiano.