Il mondo intero ha gli occhi puntati sul Medio Oriente, con il conflitto a Gaza e in Libano tra Israele, Hamas ed Hezbollah che si allarga ogni giorno di più, in una escalation di proporzioni tragiche. anche perché a farne le spese sono soprattutto i civili. Come sempre. Comprendere quello che sta accadendo, le ragioni e le possibile derive o soluzioni non è semplice né immediato, ma a darci una mano per decifrare il momento storico che stiamo vivendo e il dramma a cui stiamo assistendo ci pensa… l’arte.
Una prospettiva diversa, ma comunque utile, è quella che arriva dal Middle East Now Festival che si inaugura questa sera al Cinema La Compagnia a Firenze: la 15esima edizione (dal 15 al 20 ottobre) sarà caratterizzata come ogni anno, da film, documentari, mostre, talk, food ed eventi speciali che raccontano la cultura contemporanea mediorientale.
Il documentario “Diaries from Lebanon”
Tra gli appuntamenti più attesi c'è quello con l’anteprima italiana di “Diaries from Lebanon” alla presenza della regista Myriam El Hadjj. Il toccante documentario, presentato alla Berlinale, racconta quattro anni di una nazione in subbuglio attraverso le ricerche personali di significato e di sopravvivenza dei tre protagonisti, Georges, Joumana e Perla.
Nel 2018, Joumana, una focosa scrittrice, poetessa e attivista femminista, si candida alle elezioni sfidando un sistema politico che soffoca il Libano da 40 anni. Viene eletta, solo per essere estromessa il giorno dopo per una frode, lasciando i suoi sostenitori furiosi. Nel 2019, la rabbia della gente si trasforma in una rivoluzione. Le strade si riempiono di migliaia di voci. Tra queste, Perla Joe, una donna impavida che diventa rapidamente un simbolo di questa rivolta. La sua voce inflessibile riecheggia la frustrazione di una gioventù che lotta per trovare il proprio posto. Ma il passato incombe come un'ombra sulle aspirazioni di progresso e cambiamento. Georges è il guardiano di quel passato misterioso e violento. È un veterano della guerra civile libanese (1975-1990), dove ha perso una gamba ma si è aggrappato alle sue illusioni di “gloria”.
Sotto forma di diario, la regista racconta quattro anni tumultuosi di una nazione in subbuglio, che lotta per liberarsi dalle proprie catene. Mentre il Paese è scosso da sconvolgimenti, si dispiegano ricerche personali di significato e sopravvivenza. Come possiamo continuare a sognare quando il mondo intorno a noi sta crollando?
Per l’occasione abbiamo parlato con Myriam El Hadjj, raccogliendo una testimonianza emozionata e profondamente colpita da quello che sta accadendo nella sua terra.
Come è adesso la situazione in Medi Oriente, in particolare in Libano?
“Mentiremmo se dicessimo che stiamo bene. Non stiamo bene. Questo non va bene. Il Paese sta vivendo un enorme massacro. Non è nemmeno una guerra. Una guerra ha bisogno di due parti, due forze, mentre qui c'è solo Israele che combatte il Libano. Dicono che stanno combattendo contro Hezbollah, ma non è vero. Sabato sera per esempio, Israele ha bombardato Nabatiyeh, nel sud del Libano, distruggendo un souk vecchio di cento anni. Cosa c'entra questo con Hezbollah? Stanno distruggendo una cultura, uccidendo una nazione”.
Dal 7 ottobre 2023 come è cambiata la sua vita?
"Penso che sia passato ormai un anno da quando siamo stati ingannati dal mondo. Sentirsi spiegare più e più volte chi è l'oppressore e chi è l'oppresso ci ha prosciugato. È insopportabile vedere come il mondo nel XXI secolo accetti ancora la colonizzazione. Per quanto riguarda il Libano, siamo in guerra dall'ottobre 2023. Il Sud era già in guerra. Anche se a Beirut la vita andava ancora avanti, eravamo toccati emotivamente ed economicamente dal massacro in corso a Gaza e dai combattimenti nel Sud. Ora che l'intero Paese è sotto le bombe, la vita si è fermata e siamo in modalità di sopravvivenza”.
Come e quando nasce il suo impegno per il suo Paese natio?
“Sono nata con questo impegno. Sono figlia della guerra civile libanese. Avevo 7 anni quando la guerra è finita. I miei genitori e la mia famiglia hanno preso parte a questa guerra. Il mio primo film, ‘A time to Rest’ (2015), parla proprio di questo passato. Avevo bisogno di capire perché i miei zii, veterani della guerra civile, vi si erano impegnati all'inizio. Oggi ho 41 anni e ho già attraversato una guerra civile, un'occupazione siriana, un'invasione israeliana, una guerra israeliana nel 2006 e questa, nel 2024. Questa violenza non può che renderci impegnati. I miei film mettono in discussione la violenza e mettono in discussione le nostre realtà”.
Qual è la condizione della donna?
“Le condizioni legali sono pessime. Una donna libanese non può dare il suo nome al figlio, non può abortire, il più delle volte non può ereditare, ecc. Non esiste neanche il matrimonio civile. Nella rivoluzione che abbiamo fatto nel 2019 tutti questi problemi sono stati portati alla ribalta. Ma non è mai stato il momento giusto per parlare di ‘problemi delle donne’. Abbiamo sempre avuto problemi più grandi, come hanno detto i politici.
Oggi, in tempo di guerra, le cose stanno peggiorando ulteriormente. E le donne ne stanno pagando il prezzo. Ma la cosa positiva è che siamo state cresciute per combattere. Fin da quando siamo nate, abbiamo dovuto combattere per emanciparci, per uscire, per avere relazioni, lottare per uno stipendio dignitoso e paritario e così via... questo ci ha rese forti. Nell'ottobre 2019, le donne erano in prima fila durante la rivoluzione. E questo lo possiamo vedere chiaramente nel mio documentario ‘Diaries from Lebanon’”.
Come è nata l'idea del documentario? Perché?
“Nel 2018 ho sentito arrivare il vento del cambiamento, un cambiamento positivo. Era importante per me essere lì al momento giusto, per filmare il cambiamento. Le cose sono andate un po' diversamente dal previsto ma il nocciolo del film è rimasto lo stesso: sogniamo una vita migliore, un paese migliore e continueremo a lottare per i nostri sogni”.
Il cinema, e più in generale l'arte, che ruolo hanno nella società di oggi?
“Sono convinta che il ruolo degli artisti oggi sia quello di sfidare le narrazioni dominanti. Cinema e arte portano storie al mondo. Creano coscienza politica. È importante ciò che fanno i festival, ad esempio: creare ponti tra le persone dove i politici cercano di erigere muri”.
Verrà a Firenze per presentare il documentario: c’è mai stata? Se sì cosa l'ha più impressionata della città?
“Sono stata invitata con il mio film ‘Diaries from Lebanon’ al Middle East Now film festival. Sarà la mia prima volta a Firenze, il film aprirà l’evento. Non vedo l'ora di incontrare il pubblico e di poter avviare conversazioni sul film e parlare del contesto libanese di oggi”.