È uno degli appuntamenti cinematografici più importanti del mondo. È il festival che, con i suoi film, con i suoi premi, dà l’indirizzo alla stagione cinematografica, e anche agli Oscar. È la Mostra del cinema di Venezia, il cui programma è stato svelato e illustrato dal suo direttore, Alberto Barbera, questa mattina. Quest’anno la Mostra del cinema si terrà dal 28 agosto al 7 settembre al Lido. E non mancano, tra i film selezionati, gli sguardi – attraverso il documentario o la fiction – sulle ferite profonde della nostra società. Sulle fratture della Storia recente. Sulle varie diversità, su forme differenti di inclusività. La guerra compare spesso. Nel racconto di Gianni Amelio – un maestro del cinema d’autore, Leone d’oro con “Così ridevano” – che in uno dei film italiani in concorso, “Campo di battaglia”, racconta la disfatta di Caporetto nei suoi effetti: l’arrivo di soldati feriti in un ospedale militare. La guerra vista nel suo “dopo”: dopo la carneficina, quando si sono azzerati gli entusiasmi, le grida, quando c’è solo il dolore.
Ma c’è un doppio sguardo sul conflitto fra Russia e Ucraina. Nella sezione Orizzonti, nel documentario “Russians at War”, la regista Anastasia Trofimova si è infiltrata in un gruppo di medici e paramedici russi. Ha potuto testimoniare il crollo delle motivazioni dei soldati, dall’esaltazione delle motivazioni patriottiche alla disillusione di qualche mese dopo. A causa di questo film, la regista è stata costretta a lasciare la Russia, emigrando prima in Canada poi in Francia. Ma c’è anche un film che mostra la guerra a partire dall’altro fronte, dall’Ucraina: è “Sons of Slow Burning Earth” di Olha Zhurba, sulle vicende chiave nel fronte ucraino. Sul conflitto che oppone Israele e Palestina, la sezione Orizzonti propone uno sguardo di ricerca assolutamente originale. “Israel-Palestine on Swedish Tv 1958/1989” ricostruisce come la tv svedese ha raccontato, nell’arco di quarant’anni, il conflitto in Medio oriente attraverso i suoi telegiornali.
Il concorso della Mostra del cinema tratta anche temi legati alla condizione femminile. “April”, della regista georgiana Dea Kulumbegashvili, mette al centro della narrazione un’ostetrica che pratica aborti clandestini, in un paese in cui l’aborto è tuttora illegale. La donna, che vive nella Georgia rurale, viene sottoposta a indagini e dovrà difendere le sue convinzioni. Nella sezione Orizzonti il film “Pooja, Sir” di Deepak Rauniyar ci racconta le indagini di una poliziotta lesbica che si fa chiamare “Sir”, e che indaga su una serie di omicidi in coppia con una poliziotta locale emarginata per il colore della sua pelle. E “Mon inséparable” di Anne-Sophie Bailly racconta di una donna che vive con il figlio trentenne, affetto da un ritardo mentale, che ama appassionatamente la sua collega Océane, con disabilità. Quando apprende che Océane è incinta la sua relazione simbiotica con il figlio vacilla.
Il film “Shahed, the Witness” di Nader Saeivar racconta, con rischi personali per il regista, la condizione delle donne in Iran. Il regista è un collaboratore di Jafar Panahi, il regista iraniano che ha subito una vera e propria persecuzione, più volte incarcerato, da parte del regime di Teheran. Un insegnante in pensione vede assassinata la propria figlia adottiva, con la polizia che rifiuta di indagare poiché il sospettato è un’importante personalità politica. E ancora, “Separated”, il nuovo lavoro di uno dei più grandi documentaristi al mondo, Errol Morris, racconta come l’amministrazione Trump abbia imposto la separazione forzata dei figli degli immigrati clandestini dai loro genitori. Il documentario “Apocalipse nos tropicos” traccia la storia recente del Brasile, con l’ascesa al potere di Bolsonaro. Nella sezione “Venezia Classici” c’è un documentario sul regista georgiano Sergej Paradjanov, a cento anni dalla nascita. Il film, che si chiama “I Will Revenge this World with Love” (riscatterò questo mondo con l’amore) racconta la vicenda di questo straordinario regista di origine armena, dallo stile surreale e visionario. Un Fellini sovietico, al quale il regime di Mosca sequestrò le opere, impedendone la circolazione nelle sale. E che nel 1974 fece arrestare il regista, accusato di omosessualità, condannandolo a cinque anni in un campo di riabilitazione. La sua carriera è stata devastata dalle imposizioni del regime sovietico.