C'è un amore che troppo spesso viene accantonato e che invece va proclamato ai quattro venti senza paura di essere tradito: l'amore per i diritti e per una parola che non è sempre declinata come si dovrebbe: dignità. Perché per lavoro non si può morire, di lavoro si deve solo vivere, se i diritti e la dignità sono rispettati.
Viva i diritti e viva la dignità
E' l'urlo che dal palco di Sanremo hanno fatto volare in alto (come la musica) Stefano Massini , scrittore e drammaturgo fiorentino vincitore negli Stati Uniti di un Tony Award, l'Oscar per il teatro, e Paolo Jannacci che come il padre Enzo nelle sue canzoni va a cercare la vita negli angoli più lontani dell'esistenza.
Insieme Stefano e Paolo hanno interpretato – commossi al limite delle lacrime – “L'uomo nel lampo”, una struggente ballata recitata in prima persona da uno dei tanti operai la cui vita è stata spezzata sul luogo di lavoro: 4 ogni giorno dicono statistiche drammatiche . Il lampo è quello che si manifesta agli occhi di chi dopo non vedrà più nulla, il filo di quella vita che si recide e che lascia i vari Michè orfani. “Ciao Miché – dice il testo – sono il padre che non hai mai conosciuto”.
“Siamo in tanti quassù”, recita Massini da un paradiso di dolore: siamo più che a Rimini d'agosto, e con una sapiente dose di metafora e ironia ci vuole proprio dire quanto sia drammatico il fatto che si continua a morire di lavoro, che è una risorsa preziosa e non può essere gettata via così.
Di questa ennesima vittima di un omicidio bianco rimane una fotografia. Anche per scattare questa ci vuole un lampo, quello che ha ritratto l'operaio scomparso e appunto il figlio così piccolo che non può avere memoria di quello che è stato suo padre. Al di là, appunto, di una foto.
“L'amore per la vita deve darci la nostra identità – dicono i due artisti sul palco sotto lo scrosciare degli applausi -, rispettando chiunque tu sia”. E invece arriva il lampo “che uccide senza fare rumore” perché la vita – che dovrebbe essere felice – è invece strana e, perché no, bastarda e lascia Miché in quel limbo che per tutta la vita lo porterà a chiedersi: perché e per chi è morto mio padre, quel padre che in fondo non ho conosciuto.
Parole che lasciano il segno
Ci sono parole sferzanti in questo dialogo in musica e parole fra Paolo e Stefano, parole che colpiscono: fotografia , ad esempio, perché è ciò che rimane di noi alla fine; vento , quello che accoglie la musica celebrativa di ogni attimo della nostra vita; guerra , quella guerra non dichiarata che porta chi lavora sotto terra, quando dovrebbe invece stare sopra tutti noi.
Cinque minuti di grande riflessione, un messaggio che deve colpire e che sicuramente il volto contrito ed espressivo di Massini – uno dei maggiori storyteller contemporanei – ha contribuito a veicolare nelle case, nelle menti di tutti noi, accompagnato da Jannacci figlio che non può che fare tornare alla mente quello che già Enzo cantava nel 1975, quella Vincenzina che davanti alla fabbrica la guarda con amore ma non sa che “vita giù in fabbrica non c'è e se c'è com'è” .