The substance: l’orrore per la bellezza e la gioventù perdute

Il body horror con Demi Moore e Margaret Qualley è, nel profondo, un film sul desiderio che abbiamo tutti e che la società dell’immagine alimenta: sentirci desiderati per sentirci vivi

di GIOVANNI BOGANI
6 novembre 2024
Demi Moore in The Substance

Demi Moore in The Substance

L’ossessione della bellezza da mantenere a tutti i costi, contro il tempo che passa. La crudeltà del mondo che, ad un certo punto, ci strappa via dal suo salotto buono. Ci sono questi temi in The Substance di Coralie Fargeat, il film con Demi Moore e Margaret Qualley che è in questi giorni nelle sale italiane, dopo essere stato in concorso al festival di Cannes, dove ha vinto il premio per la sceneggiatura.

The Substance sceglie, per raccontare questi temi, la forma di un body horror cronenberghiano: mostra senza pudore ferite, corpi tagliati, liquidi corporali. Orrori, rumori, umori. Ma nel profondo, è un film sul desiderio patetico che abbiamo tutti: quello di essere desiderati. E su questa società, nella quale – appena il tempo incide sulla pelle le sue prime scalfitture – la condizione di indesiderabile, di invisibile, diventa una sentenza. Demi Moore interpreta una conduttrice televisiva che con il suo programma di fitness ricorda un po’ la Jane Fonda degli anni ’80. Ed è un po’ vintage anche il suo successo. Tanto è vero che, al raggiungere i cinquant’anni di età, il regalo di compleanno che le fa il suo datore di lavoro è il licenziamento.

È un crac nella sua vita, una frattura insanabile, l’inizio di un processo irreversibile. O forse no. Perché lei tenta una cura sperimentale, un siero di ringiovanimento chiamato “The substance”. E dal suo corpo nasce, per partenogenesi, una versione di se stessa più giovane, più bella, irresistibilmente vincente. Riuscire a ritrovare se stessi, ma più giovani. È questo il sogno di cui parla il film. E ci dice che gioventù e bellezza sono il capitale più prezioso, la valuta che ha corso ovunque. L’unica moneta veramente spendibile e quella di cui il tempo ci priva, in ogni istante. Maturità, competenza, personalità sono poca cosa, di fronte al potere immenso della bellezza.

Demi Moore, splendida sessantenne, riesce a instillare insicurezza, paura, rabbia nella sua interpretazione. Riesce a raccontare l’incrinatura della fiducia, la sensazione di essere diventata invisibile. Ed è significativo che a farlo sia proprio lei, icona del cinema degli anni ’90, moglie sensuale in Ghost, fedele ma tentata in Proposta indecente, manipolatrice in Rivelazioni, sexy e palestrata in Soldato Jane, erotica in Striptease. Tutta la sua storia personale, in qualche modo Demi Moore la rimette in gioco in questo film. Si mostra nuda confessa tutta la sua paura di aver perduto per sempre il suo appeal.

Demi Moore in The Substance
Demi Moore in The Substance

Che cosa ci dice il film, che cosa porta al dibattito di questi anni? Ci dice che tutti crediamo di essere chi eravamo a vent’anni: tutti continuiamo a sentirci il ragazzo o la ragazza che eravamo e ogni tanto ci imbattiamo in una persona più anziana, allo specchio. E questo incontro è tanto più terribile, quanto la società è impietosa verso chi non possiede più la bellezza, in particolare con le donne.

Il film di Coralie Fargeat è disseminato di specchi, di superfici che riflettono l’immagine, di telecamere che scrutano le protagoniste. Tutto riflette, anche i pomelli lucidissimi delle porte. Il film ci dice che oggi vivere è essere visti, essere giudicati. È un film che non vuole essere filosofico, ma che ugualmente racconta il terrore diffuso della vecchiaia, di quella voce implacabile che ti dice che “devi andare, fare posto”, come in una canzone di Ligabue.

The Substance parla, esasperandone i tratti in una trama fantascientifica, delle mille ossessioni del nostro tempo: le costosissime creme antiage, la liposuzione, le protesi, i ritocchini, tutto ciò che farmacologia, chirurgia e tecnologia sono riusciti a inventare per tentare l’impossibile, per fermare la marcia del tempo, per vincere la partita a scacchi con la morte. 

Il film ci dice con chiarezza che invecchiando, tutti cerchiamo di buttare in qualche sgabuzzino l’anziano che abita in noi e usciamo illudendoci di avere ancora vent’anni. Che a cinquant’anni si spengono i riflettori su di noi e che saremmo disposti a tutto per vederli riaccendersi. In un dialogo, al tavolo di un caffè, un vecchio dice “E’ sempre più dura ricordare che meriti di esistere, che significhi ancora qualcosa!”. Coralie Fargeat individua bene il punto. In questa società, oggi, passata la giovinezza si può avere la sensazione di non meritare neppure di esistere. Di non significare più niente.