Con "Nonostante", il secondo film da regista presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, Valerio Mastandrea continua a esplorare - con l’intelligenza e l’ironia che da sempre lo contraddistinguono - le contraddizioni della vita contemporanea. Amato per la sua inconfondibile capacità di affrontare tematiche complesse con una leggerezza mai banale, ancora una volta ha voluto offrire a spettatrici e spettatori una riflessione profonda sulla condizione umana, ambientando il film nei corridoi di un ospedale immaginario come metafora della vita moderna. In un'epoca forsennata, in cui le persone sono costantemente bombardate da stimoli, aspettative e pressioni sociali, l'ospedale diventa il luogo simbolico dell’esistenza sospesa, quella in cui, per paura o legittima difesa, in molte e molti si rifugiano. In questo luogo di fantasia, i protagonisti sono costretti a confrontarsi con la malattia, una condizione che, nella narrazione, rappresenta molto più di un semplice stato fisico. La malattia diventa infatti la manifestazione tangibile dell'incapacità di vivere davvero, di andare oltre la mera sopravvivenza. Un riflesso nitido della società contemporanea in cui spesso le persone si accontentano di esistere piuttosto che vivere, intrappolati in una routine che anestetizza e aliena. In maniera lieve, delicata e tagliente, Mastandrea smonta il presente per come siamo abituati a leggerlo e interpretarlo e invita a vivere pienamente ogni sollecitazione. L'amore, nel film, non è idealizzato né raccontato all’insegna del romanticismo. Piuttosto, è messo in scena come un sentimento che vive e permette di vivere, che si nutre dell'istinto e della necessità di connettersi con gli altri, nonostante tutto. La degenza diventa una metafora potente della vita: un tempo sospeso in cui si è costretti a fare i conti con sé stessi, con le proprie paure, con i propri desideri e, soprattutto, con la propria capacità - e il suo contrario - di amare. In questa attesa, i personaggi raccontati da Mastandrea rivelano una vulnerabilità che li rende incredibilmente umani e, per questo, profondamente vivi. L’intento è chiaro: l’unica via per salvarsi è liberarsi dal giogo della corsa a qualcosa che non accadrà mai, smettendo di sopravvivere e iniziando a vivere davvero ogni istante. In un'epoca dominata dalla tecnologia, dalla frenesia e dall'apparenza, "Nonostante" ci ricorda l'importanza di ascoltare i propri istinti, di seguire i propri sentimenti, di abbandonarsi all'amore in ogni sua forma. Con il suo ultimo film, Valerio Mastandrea invita il pubblico a non accontentarsi, ad accettare la complessità e le contraddizioni che comporta. Un prodotto per il grande schermo che riesce a raccontare l'oggi nonostante l'oggi, offrendo una riflessione che va ben oltre la semplice narrazione cinematografica. Parlarne raccontandolo come un film sull'amore sarebbe riduttivo. Piuttosto, è una lucida analisi della complessa - e pressoché ancora inesplorata - condizione umana contemporanea. Mastandrea, con il suo stile inconfondibile, lancia un messaggio potente e necessario, soprattutto in un'epoca in cui si rischia di dimenticare cosa significhi davvero essere vivi. Intenzionalmente o meno, il regista affronta con intelligenza e raffinatezza una riflessione sulla condizione della società occidentale contemporanea votata all’individualismo esasperato e al consumismo relazionale estremo, in cui i sentimenti sembrano essersi progressivamente inariditi, ridotti a semplici impulsi o addirittura ignorati. Una desertificazione emotiva che ha tutta l’aria di essere il risultato di una civiltà che ha smarrito il contatto con le emozioni più profonde. Un vero e proprio invito a una rivoluzione culturale, una necessità di invertire la rotta per rimettere al centro i sentimenti, i legami umani e l'autenticità delle relazioni. Una rivoluzione che non può avvenire senza una consapevolezza collettiva, un riconoscimento della crisi emotiva che stiamo attraversando. “Nonostante” ha le carte in regola per riaccendere la scintilla del dibattito in una parte del mondo che ha fatto dell'apparenza la propria religione. Un compito della cinematografia e dell’arte in generale da cui il regista non si è mai sottratto. Il film segna il ritorno di Valerio Mastandrea alla regia a sei anni dal suo debutto con “Ride”. L'uscita nelle sale è prevista per marzo 2025. L’auspicio è che riesca a far parlare di sé in un’Italia sempre troppo disattenta.