Atleta afghana ultima in gara, il suo messaggio commuove il mondo: “Istruzione e sport i nostri diritti”

Dalla pista di Parigi Kimia Yousofi manda un monito ai talebani e al mondo intero per rivendicare tutele e diritti per le donne del suo Paese. Alle ragazze dice: “Non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi”

di MARIANNA GRAZI
2 agosto 2024
Il messaggio dell'atleta afghana Kimia Yousofi a Parigi 2024

Il messaggio dell'atleta afghana Kimia Yousofi a Parigi 2024

Dalla pista più importante del mondo, quella dei Giochi olimpici di Parigi 2024, Kimia Yousofi invia un messaggio sociale: nel cartello – il retro del pettorale col cognome e il cip di riconoscimento – che mostra alla fine della gara dei 100m piani, nella cui batteria si è classificata all’ultimo posto, ci sono solo poche parole, ma significative. 

"Education” (istruzione) in alto, scritto con un pennarello nero. “Sport”, in verde sotto. E in fondo, in rosso “Our Rights” (i nostri diritti). I colori della bandiera dell’Afghanistan, la sua nazione. Lo scopo della velocista classe 1996 era chiedere che alle bambine, alle ragazze, alle giovani donne del suo Paese siano riconosciuti quei diritti fondamentali.

Lei è una delle tre donne che hanno preso parte alla spedizione olimpica, insieme a tre colleghi maschi, selezionati dal Comitato olimpico afghano che opera al di fuori del Paese. Per Yousofi non c’era nessuna speranza di medaglia, la vittoria più importante l’ha ottenuta anche solo riuscendo a partecipare alla gara, a questa manifestazione, sulla quale sono puntati per quindici giorni gli occhi di tutto il mondo. Un palcoscenico unico, un’occasione irripetibile per mandare quel messaggio. Se le donne più veloci del mondo sono sfrecciate lungo il rettilineo olimpico nella prima mattinata di atletica allo Stade de France, la 28enne afghana portava sulle spalle un pesante fardello, che inevitabilmente non le ha permesso di essere all’altezza delle avversarie in gara. Al traguardo è arrivata a due secondi di distanza dalla vincitrice della sua batteria, ma poco importa.

“Ho un messaggio per le ragazze afghane – ha detto ai giornalisti presenti allo Stadio – Non arrendetevi, non lasciate che gli altri decidano per voi. Cercate le opportunità e sfruttatele”. Lei lo ha fatto, questa mattina e non solo: Kimia Yousofi è stata la portabandiera del suo Paese ai Giochi di Tokyo, ma è fuggita in Iran quando i Talebani hanno ripreso il controllo del governo nell’agosto 2021. “Voglio solo rappresentare il popolo afghano con questa bandiera, la nostra cultura. Le nostre ragazze in Afghanistan, le nostre donne vogliono i diritti di base, l'istruzione e lo sport”, ha spiegato. La sua è una testimonianza preziosa, libera ma piena di sofferenza per quello che accade nella sua terra: lì le donne non sono considerate umane. “La possibilità di decidere della propria vita è stata tolta loro negli ultimi due anni. Stiamo combattendo per questo”, continua.

Le atlete afghane sulla pista di Parigi
Le atlete afghane sulla pista di Parigi rivendicano i loro diritti umani (Instagram/Sharareh Sarwari)

Dei sei atleti afghani presenti a Parigi, i Talebani riconoscono solo gli uomini. Ovviamente, visto che alle donne non è permesso fare sport o freqquentare luoghi pubblici o viaggiare all’estero senza essere accompagnate dal marito o da un familiare maschio. "Solo tre atleti rappresentano l'Afghanistan", ha dichiarato il mese scorso all'AFP Atal Mashwani, portavoce della direzione sportiva del governo talebano. Nonostante le potenziali tensioni all'interno della squadra, Yousofi ha dichiarato che i suoi compagni di squadra la sostengono. “Anche per molti di loro in Afghanistan le condizioni sono terribili".

Quando i Talebani sono saliti al potere, la comunità sportiva internazionale si è adoperata per garantire un passaggio al di fuori dello Stato sicuro agli atleti che avrebbero potuto essere minacciati dal nuovo regime. Yousofi ha raccontato che inizialmente voleva rimanere a Kabul, ma le era stato detto che non sarebbe stata al sicuro. "Ho cercato in giro per 10 giorni dopo aver lasciato l'Afghanistan: cosa dovevo fare? Cosa posso fare?". Lei e la sua famiglia son o poi state accolte, dopo un passaggio in Iran temporaneo, dall’Australia, come rifugiati politici e lei come rifugiata anche sportiva.