Borja Valero, dalla serie A alla Promozione con la maglia del Lebowski: quando il pallone non è solo milioni

di DOMENICO GUARINO
19 agosto 2021
FIRENZE STADIO ARTEMIO FRANCHI SERIE A FIORENTINA VS INTER

FIRENZE STADIO ARTEMIO FRANCHI SERIE A FIORENTINA VS INTER

Ci sono storie che sanno di leggenda. E che in un attimo trasformano la vita in un sogno. Quello di un bambino che corre con i calzettoni abbassati, su un campetto di periferia, tirando calci ad una palla. Le ginocchia sbucciate, il viso imperlato di sudore e polvere. Ci sono storie che regalano un attimo di stupore e di bellezza, quando meno te l’aspetti. Nel mezzo di una estate torrida, ancora alle prese con i bollettini della protezione civile, tra gli incendi che devastano territori e paesaggi, con le spiagge affollate, e le fabbriche che chiudono. Storie che raccontano di sentimenti, di emozioni, di passioni. Di quelle cose che valgono così tanto da essere gratis. Perché non si possono comprare. Né pagare. E così, mentre c’è chi affastella ingaggi milionari, mentre club sempre più galattici e sempre alla ricerca di nuovi mercati fanno la collezione di figurine strapagate, il ‘racconto’ che stanno scrivendo Borja Valero e il Centro storico Lebowski, ha la dimensione straordinaria di un’utopia che si avvera. Il campione pluritiotolato, e la squadra di promozione. L’uomo che ha vestito maglie leggendarie, che ha calcato l’erba degli stadi più famosi del mondo, ed un progetto talmente diverso dagli altri da sembrare una scommessa. fare calcio, partendo dal basso, puntando sulla partecipazione, rivalutando il ruolo sociale dello sport e quello eminentemente popolare del calcio.

Borca Valero (al centro, maglietta bianca) con gli amici del Centro storico Lebowski

Campione e dilettanti, ma "stessi valori"

“Abbiamo gli stessi valori” ha detto Borja nello speigare la sua scelta. Nulla di strano. Perché quei valori dovrebbero essere alla base di tutto lo sport e di tutto il calcio. Solo che ce ne dimentichiamo spesso. E se ne dimenticano spesso gli stessi protagonisti. Borja, il ‘sindaco’ come lo hanno sempre chiamato a Firenze, ha la stoffa del campione e dell’uomo. Ma dietro di lui ce ne sono tanti, in un mondo che si riveste di lustrini e champagne, spesso stucchevole, ma che tante volte riesce a raccontare storie belle come queste,  che sanno di leggenda. E di normalità. Perché ogni calciatore è stato innanzitutto quel bambino che corre sul campetto  sognando. Qualcuno ci è riuscito, qualcun altro no. Qualcuno rimarrà un sognatore. Qualcun altro diventerà cinico. Ma la parte più bella del calcio rimangono quelli che non hanno rinunciato a credere che la palla e la vita siano innanzitutto un gioco. Un gioco bello come quel tiro all’incrocio, che si insacca perfetto nel sette, che tutti abbiamo fantasticato di segnare. Un gioco fatto di cose vere, semplici, di entusiasmo. Di valori che non moriranno mai. Almeno fin quando ci saranno dei Borja Valero a farli rivivere. E società piccole con grandi utopie. che prima o poi si avverano.