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“Spesso senza accorgercene togliamo dignità alle persone disabili”

“Di fronte ad una persona disabile parliamo come se fosse un bambino e ci facciamo scrupoli a provare antipatia. Nello sport è uguale: il loro essere atleti a volte passa in secondo piano”. Chi è Giusi Burgio, psicologa e allenatrice paralimpica

di GUIDO GUIDI GUERRERA -
26 febbraio 2024
Giusi Burgio

Giusi Burgio

Master di secondo livello per il trattamento dei disturbi legati all'autismo e alla sindrome di Asperger. Ma anche leader della scuola calcio 'Insuperabili' , realtà sportiva nata a Torino nel 2012 e presente in tutto il territorio italiano, finalizzata ad avvicinare allo sport persone con disabilità.

Giusi Burgio è adesso la prima psicologa ad aver ottenuto di recente la qualifica di allenatrice paralimpica dopo essere passata attraverso la selezione di ben 800 candidati, dei quali solo 44 sono stati scelti.

Giusi Burgio Psicologa
Giusi Burgio Psicologa

Chiè Giusi Burgio

Originaria di Agrigento, vive ormai da tempo nel capoluogo piemontese: una giovane trentaseienne che dopo aver acquisito da una decina di anni la qualifica prestigiosa per il trattamento dei disturbi cognitivo comportamentali, svolge attualmente il proprio lavoro di psicologa presso l'Asl Cn1 di Mondovì. Una ragazza siciliana di grande sensibilità e forza di carattere, lei che a soli 22 anni arriva a Torino per iscriversi al corso di laurea magistrale in Psicologia, dopo aver terminato la triennale in Sicilia. Gli anni dell'impegno professionale e l'acquisizione di nuove consapevolezze la rendono ancora più determinata confermando le insite caratteristiche di resilienza della sua natura.

Una donna che nel tempo non ha però mai smarrito le radici della terra d'origine, tanto da chiamare per questo in causa la testimonianza dei suoi amici e colleghi che la conoscono bene: “Loro identificano la mia 'meridionalità' soprattutto nella passione, nella voglia di accoglienza e condivisione di ogni momento ed ogni esperienza, ma anche molto caparbia.

Il lavoro che svolgo, così come gli studi compiuti, fanno di me una mezza piemontese ma per quanto riguarda il mio rapporto tenace con la Sicilia mi piace ricordare una frase emblematica di Pirandello nella quale mi riconosco: 'Io sono nato in Sicilia e lì l 'uomo nasce isola nell'isola e rimane tale fino alla morte, anche vivendo lontano dall'aspra terra natia...'.”

Consegna attestato a Giusi Burgio
Consegna attestato a Giusi Burgio

Giusi, come nasce il suo interesse verso le persone con disabilità?

“Fin da bambina sono cresciuta in un ambiente familiare che ha da sempre abbracciato la diversità delle persone, trasmettendomene il valore. Sottolineo questo aspetto perché arrivo da un piccolo paese siciliano e ho precisi ricordi di bambina legati a situazioni di vergogna o di sottili prese proprio in giro in presenza di persone disabili.

Per fortuna ho avuto un ottimo insegnamento da parte dei miei genitori e dei miei nonni, sempre pronti a dare in simili circostanze il buon esempio. Quindi per me è stata una naturale evoluzione iniziare ad interessarmi ai diversi profili, con le loro caratteristiche, per poi arrivare infine a saper 'leggere' la loro etichetta diagnostica. Ho conosciuto il disturbo dello spettro autistico grazie a un formativo tirocinio universitario, esperienza che non immaginavo avesse un impatto a lungo termine, dalla quale invece sono stata letteralmente 'catturata' . Dopo ben 13 anni la passione per il mio lavoro non è mai diminuita, fino a spingermi oltreoceano qualche estate fa dove ho fatto un' esperienza a Seattle”.

Cosa implica allenare una squadra di calcio formata da ragazzi con determinate problematiche?

“Non le definirei affatto personalità 'problematiche', ma piuttosto profili differenti dai cosiddetti 'normotipi'. Questo implica una competenza indefettibile sostenuta da una buona base formativa. Bisogna conoscere i diversi stili di apprendimento di ogni singolo atleta e non solo la conoscenza da strategie e strumenti utili per l'acquisizione di abilità. Non basta applicare le proprie conoscenze senza saper leggere in che modo vengono apprese da ogni singolo atleta”.

Quali sono per lei le maggiori difficoltà da superare?

“La maggiore difficoltà per me riguarda la dignità. Hai mai notato che se, ad esempio, ci troviamo di fronte a una persona con sindrome di down, anche se adulta, ci rivolgiamo con un tono infantile? Il volto delle persone improvvisamente muta e il tono della voce cambia, proprio come se stessero parlando a un bambino. Occorre a mio giudizio trattare da adulto i soggetti disabili, senza farsi scrupolo del fatto che suscita come avviene nei rapporti usuali antipatia o simpatia. Talvolta noto come se ci si rivolga a una persona con una disabilità 'invisibile' con la frase: tu però sembri normale! Ebbene, anche in questo caso è auspicabile un cambiamento culturale che deve partire proprio dalle parole che utilizziamo”.

Giusi Burgio allenatrice
Giusi Burgio allenatrice

Quanti pregiudizi esistono ancora riguardo agli atleti con disabilità?

“I più forti pregiudizi li noto nei contesti integrati (squadre disabili vs. squadre 'normali'). Spesso le squadre di scuole calcio che si misurano con atleti con disabilità temono di far loro male o cercano addirittura di farli vincere in forza della loro condizione. Ritengo sia importante che cambi la visione delle cose perché a contare davvero deve essere l'atleta e non il disabile”.

Lei allena una squadra di soli uomini o ci sono anche donne?

“Io in realtà ho allenato fino alla scorsa stagione, poi ho deciso di dedicarmi più agli aspetti legati alla formazione e alla supervisione, anche se non escludo un ritorno in campo. Nelle 10 stagioni da allenatrice, le squadre degli atleti con disturbo dello spettro autistico erano formate da calciatori di sesso maschile. Questo dato rispecchia perfettamente la statistica italiana che registra la prevalenza di questo disturbo nei maschi di ben 4,4 volte rispetto alle femmine”.

Quale futuro immagina per il calcio e lo sport praticato da soggetti affetti da disturbi motori o cognitivi?

“Mi auguro che qualsiasi coach si avvicini con più consapevolezza al mondo della disabilità, dato che non bastano le sole competenze sportive o la passione. In assenza dei giusti requisiti si corre il rischio che qualsiasi allenamento sia fine a stesso senza poter raggiungere i progressi sperati. Auspico in particolare un contesto di livello internazionale ricco di tornei e competizioni ai quali poter partecipare regolarmente. Deve esistere perciò tanto una programmazione definita dall'insieme delle competenze che una figura specifica dell'area psicologica, educativa e sportiva, condizioni tutte finalizzate a concorrere alla crescita degli atleti, raggiungendo così obiettivi decisamente apprezzabili”.