
Quartotempo Firenze durante l'European Blind Football League (FB: Quelli che il Futsal)
“Il quarto tempo, dopo il primo e secondo tempo del calcio e il terzo tempo del rugby, è il tempo della vita”, afferma Alice Bindi, psicologa e responsabile della progettazione educativa per i settori giovanili di Quartotempo Firenze, che da otto anni collabora col progetto: “Rappresenta tutto ciò che hai fatto qua dentro, tutte le esperienze relazionali, il piccolo bagaglio che coloro che passano da Quartotempo si portano nella vita”. Con lei abbiamo parlato di come, all’interno dell’associazione, i ragazzi e le ragazze considerino la diversità una ricchezza da leggere attraverso la lente del calcio a 5 e, più in generale, dello sport.

Può raccontarmi cos’è e come è nata l’Associazione Quartotempo Firenze e quali sono le sue caratteristiche? “Premetto che io non sono una dei fondatori di Quartotempo che, invece, sono Matteo Fazzini e Iacopo Fossi. Iacopo è uno psicoterapeuta, mentre Matteo, al tempo, era educatore in una cooperativa e un grande appassionato di calcio, nonché mister. Quartotempo nasce nel 2011 proprio grazie alla collaborazione tra Iacopo e Matteo i quali, al tempo, lavoravano insieme in una cooperativa dove portavano avanti un progetto di calcio per ragazzi con disabilità. Una volta conclusosi il progetto, però, si sono staccati entrambi dalla cooperativa e hanno fondato Quartotempo, una nuova realtà che si occupa sostanzialmente di fare calcio per tutti, un po' come dice il sottotitolo del nostro nome. Il nostro è un calcio non solo per persone che possono avere delle difficoltà o delle disabilità più o meno gravi, ma per chiunque abbia voglia di praticare questo sport. Il progetto nasce con una piccola squadra di ragazzi con disabilità che erano, in parte, quelli che seguivano il progetto all'interno della cooperativa e poi cresce negli anni, fino ad arrivare ad oggi”.
Come siete organizzati?
“Attualmente, gestiamo una scuola calcio e un settore giovanile scolastico, il tutto all'interno di un ‘progettone’ che noi abbiamo chiamato ‘Equal Football’. Non ci piace molto parlare di interazione, integrazione, inclusione. Sono tutti termini che implicano una sorta di distanza. Inclusione richiede che qualcuno debba includere qualcun altro, mentre a noi piace parlare di persone che giocano insieme, a prescindere dalle loro caratteristiche. Ad oggi, la nostra associazione fa principalmente calcio a 5. Abbiamo quasi tutte le categorie, dai ‘piccoli amici’ di 5 anni fino appunto agli adulti, con 18 progetti totali e una piccola squadra di basket. Inoltre, il sabato mattina portiamo avanti un progetto che si chiama ‘Gruppo giochi’, dove bambini con disabilità gravi fanno attività insieme agli altri bimbi, alle quali segue una parte più laboratoriale assieme a educatori esperti. Lo sport, il calcio a 5 nel nostro caso, è sia nucleo, nel senso che è importante mantenere anche una buona offerta e un buon livello tecnico, ma è principalmente un mezzo per lavorare su tutto ciò che sono le relazioni umane”.
Qual è il significato del nome della vostra associazione, Quartotempo? “Il nome deriva dal primo e secondo tempo delle partite di calcio, dal terzo tempo del rugby, che è quel tempo in cui le squadre che si sono affrontate in partita poi condividono qualcosa insieme, mentre il quarto tempo è il tempo della vita. È tutto ciò che, dal nostro punto di vista, ti porti a casa a partire dalle esperienze che hai fatto qua dentro, che sono principalmente relazionali. Rappresenta il modo in cui le persone portano un piccolo bagaglio nella quotidianità dopo essere passati di qui. L'idea è quella di lasciare un qualcosa che possa essere portato con sé in tutti gli ambiti della vita, non solo in quello sportivo o dentro Quartotempo, che è comunque un piccolo paese delle meraviglie a volte”.
Come è evoluta negli anni l’offerta sportiva della società? “Inizialmente, tutto è nato come un piccolo progetto, poi forse un po' anche per ambizione, un po' perché ci abbiamo sempre creduto molto, un po’ per la consapevolezza che per un ragazzino con difficoltà o con disabilità non c'erano possibilità di fare sport con i suoi coetanei e compagni di classe. L’idea è nata con la volontà di creare la scuola calcio per permettere anche a chi non ha altre possibilità di giocare a calcio insieme ai suoi coetanei, meglio ancora se insieme ai compagni di classe, così da dare a ciascuno le possibilità che in teoria sono offerte a chi una disabilità non ce l'ha”.
Quali sono i valori fondanti dell’associazione e come li declinate, nel concreto, durante l’attività sportiva? “Sicuramente il rispetto per l'altro, chiunque esso sia e qualunque siano le caratteristiche della persona. La ricchezza della diversità, attraverso l'idea che la diversità sia un qualcosa che ci arricchisce e che ci avvicina, e non qualcosa che ci allontana. Poi l'onestà, un valore sul quale noi puntiamo tanto e, infine, il benessere della persona. Nel concreto, all'inizio e alla fine di ognuno dei nostri allenamenti facciamo un cerchio con i ragazzi e lo staff. Prima di iniziare ci diciamo un po’ come stiamo, se oggi è successo qualcosa di particolarmente bello o di particolarmente brutto. Questo ci dà anche una dimensione di come sta quella persona, se so che è una brutta giornata magari so che ti devo lasciare un po' più tranquillo o che puoi aver bisogno di cinque minuti. Alla fine dell'allenamento facciamo un cerchio dove ci diciamo invece come siamo stati, se è successo qualcosa, se qualcuno ci ha detto qualcosa che ci ha dato fastidio. Questo è un modo per far sì che le persone non si portino a casa i dubbi o la sensazione che qualcosa non abbia funzionato, oppure che qualcuno ti abbia mancato di rispetto. All’interno del cerchio lavoriamo su tutti questi aspetti, e credo che questa sia una delle cose che più ci caratterizza”.
Le istituzioni sportive recepiscono i messaggi di inclusività delle realtà come Quartotempo? “All’interno della FIGC esiste un distaccamento che si chiama DCPS, che è la ‘Divisione calcio paralimpico sperimentale’, dove la federazione stessa ha creato un campionato a parte per le persone che hanno una disabilità, diviso anche per livelli in base al tipo di disabilità e anche al tipo di capacità calcistiche. Per quanto riguarda tutte le altre categorie, quindi il settore giovanile scolastico e la scuola calcio, non c'è una regolamentazione vera e propria. Esiste una realtà che si chiama ‘calcio inclusivo’ della quale qualcuno parla e sulla quale stanno lavorando. Ciò che facciamo noi è una cosa atipica perché, in tutte le nostre categorie, sono inseriti anche ragazzi con disabilità che prendono parte al campionato federale insieme agli altri. Quindi, noi di Quartotempo andiamo a fare un campionato federale con tutte squadre di calcio a 5 che di solito non hanno ragazzi con disabilità al loro interno, portando però anche i nostri ragazzi con disabilità. Inoltre, i ragazzi con difficoltà o disabilità inseriti nelle nostre attività si allenano insieme alla loro squadra e fanno le partite il fine settimana insieme alla loro squadra”.
Cosa avete notato dopo aver deciso di sposare un approccio di questo tipo? “Sicuramente, è un qualcosa che arricchisce molto anche i ragazzi che non hanno difficoltà, e che ti spinge a trovare modi diversi di fare calcio, di fare squadra, di stare in partita. In base ai compagni che sono con te devi riorganizzare anche la struttura del gioco, la struttura della squadra. Rispetto alle altre società, inoltre, osserviamo spesso un grande divario nel modo di vivere lo sport. Spesso, però, troviamo realtà abbastanza favorevoli, e capita anche di inserire alcuni dei nostri ragazzi in campo come sesto giocatore. Spesso sono ragazzini o bambini che possono avere difficoltà molto elevate rispetto ai loro coetanei, che danno un contributo marginale alla partita sul piano sportivo, ma per i quali è molto importante sentirsi inclusi in quell'ambito. Diversamente, però, molte famiglie arrivano da noi dicendo: ‘Siamo andati a sentire lì per nostro figlio e ci hanno detto di venire a Quartotempo’. La possibilità per i ragazzi di giocare a calcio con i loro coetanei e compagni di classe, ad oggi, non esiste se non nella nostra associazione. Stiamo lavorando su questo con la Federazione, provando a diffondere il nostro progetto, che piace molto ma che, allo stesso tempo, riscontra un po’ di titubanza”.
Quali sono le peculiarità dell’approccio psicologico che portare avanti all’interno di Quartotempo? “Il filo conduttore di tutti i terapeuti e psicologi che sono all'interno di Quartotempo è il provenire da una stessa scuola di psicoterapia, che ha un approccio costruttivista ermeneutico. La peculiarità di questo orientamento, fondato da George Kelly, è che non utilizza le categorie diagnostiche classiche. Per noi, ad esempio, la diagnosi di una persona è relativamente importante. Mi può aiutare sapere che un bimbo è all'interno dello spettro autistico, ma ciò che si porta dentro quel bimbo è tipico solo di quel bimbo e non del fatto di far parte di una categoria diagnostica. Quindi, noi partiamo dal presupposto che la persona è il primo esperto di se stesso. Io non mi pongo come l'educatore o lo psicologo che ha la risposta o che sa qual è la cosa giusta, ma co-costruisco insieme all'altro i significati. Ciò che per me può avere un significato, per l'altro può avere un significato totalmente diverso. Tutto ciò si basa su un approccio detto ‘approccio credulo’, per il quale io mi fido totalmente di ciò che l'altro mi dice. Anche se sono consapevole che quella è una bugia, mi interessa sapere che significato ha per quella persona dire quella cosa in quel determinato momento. Dunque, non utilizziamo metodi standardizzati ma basiamo il tutto sulla conoscenza dell'altro e della narrazione che l'altro fa di se stesso”.
Quali sono le principali soddisfazioni che derivano dal portare avanti un progetto come questo? “Non ti nego che, per quanto noi lavoriamo molto sul concetto di vittoria e sconfitta, pur dando molto più valore alla motivazione e al percorso che sta nel mezzo più che al risultato, ovviamente vincere non dispiace a nessuno. Ma vincere quando all'interno della tua squadra ci sono anche ragazzi che possono avere delle difficoltà, spesso ti dà una soddisfazione ancora più grande rispetto al lavoro che hai fatto. La soddisfazione maggiore, per noi, è proprio quella di riuscire a tenere in piedi questo progetto, con persone che credono nella ricchezza della diversità tanto da iscrivere da noi i loro figli. Tanti ragazzi, quando diventano più grandi, hanno la possibilità di scegliere se andare da un'altra parte o restare con noi. E scelgono di restare, perché trovano un senso nell'avere dei compagni di squadra che possono avere una difficoltà ma che non vengono mai vissuti come un limite. Il fatto che loro si sentano squadra è sicuramente la soddisfazione più grande. Tutto ciò richiede, però, un grande lavoro, soprattutto per tenere alta la qualità tecnica di ciò che facciamo. Vedere che i nostri ragazzi possono giocarsela coi loro coetanei è un qualcosa che ci fa credere sempre di più nella possibilità che questo modello possa essere esportato. Per me, inoltre, è molto importante sottolineare la bellezza di fare un lavoro che ti restituisce davvero tanto. E non solo nei termini di sentirsi utile, ma di arricchimento personale. Ogni giorno ci relazioniamo con le famiglie, col modo in cui reagiscono e agiscono di fronte a certe difficoltà, e sono tutte interazioni che mi fanno sentire davvero fortunata. È un progetto che, ad ogni modo, arricchisce tutta la comunità”.
Quali sono i numeri di Quartotempo e come sono cambiati negli anni? Avete anche squadre femminili?

“Abbiamo indicativamente 250 atleti, un numero stabile da qualche anno, di cui circa 110 con disabilità o con bisogni educativi speciali. Quando parlo di disabilità parlo disabilità intellettiva, ma parlo anche disabilità fisica. Abbiamo anche la squadra, per esempio, di calcio a 5 non vedenti, così come abbiamo anche persone che possono usare la sedia a rotelle. A livello di età copriamo fasce d'età amplissime, perché partiamo dai bambini di 5 anni fino ad arrivare agli adulti di 70 anni. Per tutto ciò che riguarda la scuola calcio e il settore giovanile scolastico, abbiamo squadre dove atleti con e senza disabilità giocano insieme. Quando si va nella parte più adulta abbiamo l'agonistico, che è una prima squadra dove giocano persone con difficoltà e persone senza difficoltà, e poi c'è la squadra del promozionale, che invece partecipa al campionato della DCPS. Quella è una squadra composta da oltre cinquanta atleti con una disabilità certificata e che fanno un campionato a parte. Inoltre, abbiamo anche la squadra non vedenti e la C2 come prima squadra. Infine, abbiamo anche la squadra femminile. Le ragazze che si affacciano al calcio non sono tantissime ancora; quindi, abbiamo una squadra nella quale ragazze di diverse età si allenano tutte insieme. Fino ai pulcini, invece, giocano tutti e tutte insieme. Le bambine, così, sono inserite nella categoria assieme ai loro compagni, alcune anche per scelta, e a noi va benissimo così”.