
L'atleta Carolina Orsi
Il padel in Italia sta vivendo un momento d’oro: la stagione agonistica 2025, iniziata il 10 febbraio e pronta a concludersi a dicembre, ne è la prova tangibile. E in un clima di grande fermento si avvicina anche la data del 6 aprile, Giornata internazionale dello Sport, che ricorda a tutti quanti l’importanza dell’attività sportiva per la coesione sociale e per lo sviluppo: l’occasione perfetta per affrontare temi – purtroppo - ancora caldi, come il gender gap e le difficoltà che le donne incontrano persino nello sport.
A guidarci in questa riflessione è Carolina Orsi, prima italiana a entrare nel ranking mondiale di padel. Figlia di Nando Orsi, ex portiere della Lazio, ha iniziato la sua carriera da tennista per poi virare verso il padel in tempi relativamente recenti. Nonostante l’interesse per questa disciplina sia esploso tardi in Italia, Carolina ha saputo cogliere il momento giusto, trasformando una passione nata per caso in una professione. Oggi, a 34 anni, è al 28° posto nel ranking internazionale. Parlando di numeri è interessante spulciare qualche dato che ci aiuta a valutare la crescita di questo sport nel nostro Paese: si stima che i praticanti siano arrivati a 1,2 milioni e che la Federazione Italiana Tennis e Padel (Fitp) abbia registrato un balzo di tesserati del 489% tra il 2019 e il 2023. E c’è un altro dato che fa ben sperare: 4 atleti su 10 sono donne. Ma la strada verso la parità di genere è ancora lunga e, anche in questo settore, le difficoltà non mancano. Carolina, nonostante i risultati sportivi di prestigio, ammette di aver vissuto episodi che l’hanno fatta sentire “inferiore” in quanto donna, e ha deciso di impegnarsi in prima linea per cambiare le cose.
Iscritta all’International Padel Players Association, la Orsi si adopera per difendere i diritti delle giocatrici e abbattere le ideologie che ancora resistono: dal sostegno ai tornei femminili fino al coinvolgimento delle bambine più piccole, perché il padel diventi uno sport davvero popolare e inclusivo. La sua è una sfida che, partita con i successi in campo, ora prosegue anche fuori, tra promozione, sensibilizzazione e voglia di ispirare le nuove generazioni.
Carolina, a che età ha iniziato a giocare e perché proprio il padel?
“Ho iniziato a giocare a padel nel 2015, per casualità! Mi trovavo a Orbetello nella casa al mare della mia famiglia, quando mio papà venne invitato a giocare a questo sport da un suo amico, Gianfranco Nirdaci, che era il presidente del Comitato Padel. Ricordo che, avendo un passato da tennista, Gianfranco rimase sorpreso della mia capacità di gioco e mi disse “Perché non giochi la Serie A?”. Il campionato stava per iniziare e decisi di cogliere quel suggerimento. Il mio percorso è iniziato da tesserata del Circolo Canottieri Aniene, che negli anni mi ha sempre sostenuta e appoggiata nelle mie performance sportive. Cominciai a giocare una volta al mese, due volte al mese, tre volte al mese, poi una volta alla settimana e, piano piano, a partecipare ai primi tornei – all’inizio locali, a Roma – poi in altre città d’Italia. Il padel stava crescendo in fretta in popolarità. Era il 2018 quando venni convocata per competizioni a livello europeo”.
E nel frattempo cosa faceva?
“In quel periodo studiavo e lavoravo, ero un insegnante di tennis e, per hobby, praticavo anche calcio a 5. Passione e bravura sono cresciute con il tempo e con l’allenamento. Ho iniziato a giocare a livello internazionale nel 2020 e nel 2021 ho deciso di trasferirmi in Spagna, complice anche il mio lavoro: ero dipendente di un’azienda nel settore sportivo, un marketplace online per prenotare un campo da gioco. Nel 2022, forte dei primi risultati, ho avuto la possibilità di mettermi in proprio e nel 2023 di licenziarmi per dedicarmi esclusivamente a questo sport.”

Quali sono, a suo avviso, le difficoltà che una donna può incontrare anche in questa disciplina sportiva?
“Vi sono dei valori, che amo chiamare invisibili, che vengono riconosciuti e condivisi da tutti i giocatori: l’etica, la morale, il rispetto in generale per l’altro. Il padel resta uno sport prevalentemente maschile, l’uomo è più spettacolare per la sua forza, la potenza e il fisico, nonostante anche noi giocatrici stiamo iniziando a mostrare il nostro carattere e le nostre capacità. Resta un ambito dove i paragoni tra uomo e donna sono frequenti. Io ho sempre la percezione di essere confrontata con un atleta uomo: la differenza c’è, siamo diversi, ma il paragone ti pone di fronte a un giudizio sociale. E, oltre a questo, subentrano anche le difficoltà tecniche a livello sportivo che esistono e che causano differenze anche nei guadagni, soprattutto di fronte a impegni di carattere pubblicitario. Insieme ad altre giocatrici, sono membro dell’International Padel Players Association, impegnata a promuovere l’uguaglianza in questo sport”.
E riguardo gli stipendi?
“I guadagni per noi donne sono minori, ma abbiamo le stesse spese dei giocatori uomini. Addirittura accade che i nostri colleghi maschi arrivino ad avere stipendi più alti, anche se hanno punteggi in graduatoria più bassi. Da sportiva. penso che sia innegabile che gli uomini siano più spettacolari da guardare quando giocano a padel, proprio per la loro forza e fisicità, ma anche noi donne possiamo eccellere. Con le nostre doti e qualità, siamo anche noi spettacolari.”
Potrebbe raccontarmi qualche aneddoto personale di momenti in cui le circostanze l'hanno fatta sentire inferiore, perché donna?
“Le racconto un aneddoto… fino a qualche anno fa, a nessuna donna è stato assegnato il campo centrale sul quale invece giocavano solo gli uomini, almeno fino ai quarti di finale. Non è solo una questione di visibilità, ma anche di vantaggio tecnico: nel padel è possibile uscire dal campo per recuperare la pallina, ma nei campi più laterali non c’è sempre abbastanza spazio per farlo e, quando proviamo, rischiamo di perdere punti importanti. L’assegnazione del campo ha un significato e non è giusto che avvenga esclusivamente in base al fatto di essere un maschio o una femmina. Le donne hanno una fisicità diversa e per natura, quando tirano, hanno meno forza e sono visivamente meno spettacolari, anche se a livello tecnico possono essere perfette. Purtroppo ho assistito spesso a situazioni in cui questa differenza viene sottolineata con le parole o con le azioni.”
Lei però è riuscita ad andare avanti e a realizzare il suo sogno. Pensa che il padel possa essere un'occasione di riscatto sociale ed emancipazione femminile?
“Sono felice di potermi dedicare a questo sport che oggi per me è diventato un lavoro. È duro e stressante e ha le sue difficoltà, ma è ciò che desidero e amo. Il padel è uno sport di squadra: oggi la tua compagna lotta con te, domani diventa la tua rivale nei tornei singoli. E questa dimensione di condivisione mutevole e articolata consente la nascita di una sinergia forte, che a livello femminile ritengo sia significativa. Mi piacerebbe che le persone capissero che se anche le donne giocano un padel diverso dagli uomini, meno fisico ma più tecnico, possono ottenere risultati importanti. Sta già accadendo! Le donne possono mostrare al mondo dello sport dei valori diversi dalla fisicità. Vorrei che il padel potesse aiutare le giocatrici a emanciparsi, mi auguro che possa esserci più rispetto per le donne sportive e che non siano sempre confrontate con i colleghi uomini.”
Nel corso degli anni il fenomeno del padel ha coinvolto sempre più donne di tutte le età, giusto? Secondo lei perché e quali sono i principali benefici, sia fisici che psicologici?
“Nel padel c’è una componente ludica importante e un forte spirito di squadra, indispensabile per giocare. Tante volte, al termine di una partita, più o meno importante, con le altre giocatrici viene organizzata una cena o viene programmato di trascorrere ancora del tempo insieme, il che diventa un’occasione per creare gruppo. Penso che il pubblico femminile si sia avvicinato facilmente al padel perché, agli inizi, è uno sport facile che può essere praticato da ogni donna e questo incoraggia anche chi si sente più goffa, scoordinata o meno sportiva, consentendole di cimentarsi, imparare e giocare, nel tempo, con confidenza.”