Christian Volpi, allenatore di canoa e atleta livornese di 22 anni,
è nato due volte. La prima il 4 novembre del 1998, la seconda invece la notte del
12 maggio 2021 quando in un incidente stradale a bordo di uno scooter ha perso le gambe. La raccolta fondi per supportarlo nell’acquisto di
speciali protesi ha oltrepassato i confini nazionali, superando quota
160mila euro. Christian sa di aver sfiorato la morte e di essere un miracolo vivente, ha compreso quanto sia importante mettere da parte la rabbia e i sentimenti negativi per guardare con fiducia ed entusiasmo al futuro. Un futuro fatto di sport, famiglia, amicizia e amore. "Voglio provare a vincere le
Paralimpiadi di canoa. Più di ogni altra cosa, però, voglio aiutare le persone in difficoltà a capire che
non bisogna mollare mai: voglio dare più di quanto ho avuto”.
Christian Volpi commosso al rientro a casa a Livorno (foto Novi)
Lo sport come palestra di vita
"Il primo sport che ho praticato in assoluto è stato il
basket, ero molto piccolo. Poi, subito prima di approcciarmi alla canoa, ho fatto per un anno
rugby. Mi chiamavano 'trattore', perché correvo piano ed ero paffutello: buttarmi giù non era facile. Dopo questa parentesi, a dieci anni, è sbocciato l’
amore incondizionato per la canoa. Ho avuto la fortuna di trovare degli allenatori che mi hanno fatto vivere questo sport inizialmente come un gioco e un divertimento, che mi ha appassionato. Quando poi c’è stato da cominciare a ‘tirare’ con l’inizio del periodo dell’agonismo, verso i 13-14 anni, mi sono rimboccato le maniche e sono andato avanti a testa bassa. Anche
i miei fratelli, più grandi di qualche anno, si allenavano e ottenevano bei risultati: li vedevo come punti di riferimento. Sognavo di raggiungere i loro stessi obiettivi o magari di fare meglio. Con il trascorrere del tempo mi allenavo sempre più forte, ci fu un
cambiamento fisico notevole dai 14 ai 18 anni. Poi arrivarono le gare importanti e le soddisfazioni: se ripenso a certi momenti entusiasmanti mi sale l’emozione e rivivo tutto. La distanza in cui mi sono distinto di più? Sicuramente
i 1000 metri. Da un paio d’anni alleno ragazzi dai 10 ai 16 anni".
L’incidente, il blackout e la voglia di rivincita
"Quando ho aperto gli occhi dopo l’incidente ho provato
grande sconforto, perché avevo messo a fuoco che cosa avevo perso. È stato un momento di blackout, che però è finito quando ho visto intorno a me la mia famiglia, poi gli amici e un mare di persone che facevano il tifo per me. Per qualche attimo ho creduto che
non avrei potuto fare più nulla, poi mi sono detto: 'ma cosa stai facendo?'. Così ho ripensato ai piaceri della vita che ancora avevo l’occasione di assaporare, sia sportivi che non. Dopo 7 giorni sono tornato ad affacciarmi alla finestra e mi è sembrato di
vedere il cielo per la prima volta. Capita sai, quando ti rendi conto che forse, per come si erano messe le cose, avresti anche potuto non esserci lì. Adesso penserò alla
paracanoa, voglio dare il 100% per raggiungere il traguardo delle Paralimpiadi. È un obiettivo ambizioso, che mi aiuterà a mantenere alta la concentrazione. La strada
è lunga e difficile, ma io darò il massimo. Per questo così come anche per tutti gli altri nuovi obiettivi che mi sono dato. Mi rendo conto che adesso posso fare solo piccoli passi, ma che presto tornerò a correre. Vorrei fare di nuovo gare a livello agonistico, come facevo prima di iniziare a fare l’allenatore. E questo mio ruolo non lo abbandonerò, anzi il mio esempio potrà essere d’aiuto agli altri atleti. Sono
tra gli allenatori più giovani d’Italia e per la squadra questo è un bene: si stabilisce una grande empatia con i ragazzi".
Il conto alla rovescia per tornare a camminare
"Lo sport mi ha sempre accompagnato nella vita, prima dell’incidente
mi allenavo costantemente e oltre alla canoa facevo anche
kick boxing: mi ero appena comprato il sacco. Allenarsi è qualcosa di quotidiano, se non lo faccio mi pesa: è il mio modo di scaricarmi e sfogarmi. Quando qualcosa non girava per il verso giusto mi mettevo le scarpe e andavo a correre. Adesso non vedo l’ora di
ricominciare a camminare. Per me, che sono uno sportivo, sarà un’emozione grandissima tornare a fare tutto quello che facevo prima. Perché saranno le stesse identiche cose, solo che le farò con una mentalità diversa, riassaporandole lentamente. Chissà, magari tra qualche anno potrà anche fare pugilato. Ma più di ogni altra cosa
amo l’acqua, è il mio elemento: sono più bravo a planarci sopra che non a nuotarci dentro. Con la canoa c’è una simbiosi assoluta, con il tempo impari a percepirla come un
prolungamento del tuo corpo. Quando si esce in barca si entra in un mondo a sé, si vedono cose che altrimenti non si vedrebbero e ci si estranea da tutto, spaziando in assoluta libertà. Lo sport, soprattutto per chi ha disabilità o difficoltà motorie, è
essenziale: ti fa sentire appagato e vivo, in pace con te stesso. Dopo quello che mi è capitato, mi sento in dovere di dimostrare a chi teme di non farcela che invece tutto è possibile. Persone nelle mie condizioni magari si abbattono: lo capisco, perché ho provato quella stessa frustrazione. Ma dopo essersi soffermati un attimo a riflettere su quello che si è perduto, occorre andare avanti. Voglio aiutare le persone a stare meglio nella vita. E mi farò anche un
tatuaggio: una fenice con la scritta ‘reborn’ e la data dell’incidente. L’
inizio della mia rinascita, l’inizio della mia seconda vita".