Le Olimpiadi sono finite da appena due giorni eppure la mente vola già a Los Angeles 2028. Eppure, nell'archivio di Parigi 2024 ci sono dei momenti che hanno avuto un forte impatto etico per ragioni differenti: eccone alcuni.
Quando una canzone per mette fine ai litigi in campo
“La musica è un linguaggio di fratellanza”, dice il violinista Uto Ughi e un evento come le Olimpiadi – in cui la musica è al centro non solo delle cerimonie di apertura e di chiusura, ma anche durante tutti i Giochi – lo sa bene. Nelle ultime edizioni infatti è stato spesso proposto il brano “Imagine” di John Lennon, uscito nel 1971 come singolo dell'album omonimo, come manifestazione di pace e presa di posizione contro ogni forma di violenza e di guerra. Nella cerimonia d'Apertura di Parigi 2024, la canzone è stata intonata dalla cantautrice francese Juliette Armanet, in una performance sulla Senna notturna illuminata unicamente dal pianoforte infuocato accanto alla donna.
Le note dell'iconico brano sono risuonate però in un'altra occasione di queste due settimane di sport. Durante la finale di beach volley per la medaglia d'oro tra Brasile e Canada sono volate scintille tra due delle partecipanti. Sul tie-break decisivo, tra la verdeoro Ana Patricia Ramos e la nordamericana Brandie Wilkerson è scoppiata una lite: le due ragazze si sono avvicinate alla rete puntandosi il dito l'una contro l'altra. Coinvolte anche le altre due giocatrici, sono intervenuti gli arbitri per placare la situazione ed è stato necessario esporre cartellino giallo. Solo dopo vari richiami le atlete sono tornate nelle rispettive posizioni per riprendere a giocare, pur mantenendo sul volto degli sguardi di tensione e di disappunto.
Il clima si è disteso però prima di un nuovo fischio dell'arbitro, quando il DJ ha deciso difar partire proprio “Imagine” per cercare di sciogliere definitivamente i dissapori, ricordando il messaggio di unione che lo sport deve trasmettere. Alle prime note della canzone, sui volti della Ramos e della Wilkerson sono tornati i sorrisi, così come su quelli delle loro compagne. La partita è ricominciata tra gli applausi del pubblico ed è finita con la vittoria del Brasile e l'abbraccio di tutte le partecipanti.
Sifan Hassan indossa l'hijab durante la premiazione
La cerimonia di chiusura Parigi 2024 si è conclusa in modo simbolico: durante l’evento finale si è svolta infatti anche l’ultima premiazione a cinque cerchi della 33esima edizione dei Giochi, quella della maratona femminile. Un momento emblematico delle prime Olimpiadi in cui si è raggiunta la parità di genere (sono scese in gara 5.250 atlete, rappresentando così il 50% del totale dei partecipanti). A salire sul gradino più alto del podio per ricevere la medaglia d'oro è stata la mezzofondista etiope – naturalizzata olandese – Sifan Hassan. La già campionessa nei 5.000 piani e nei 10.000 piani a Tokyo 2020 ha scelto di indossare il suo hijab per l'occasione, gesto non scontato dopo le polemiche delle ultime settimane.
Pochi giorni prima dell'inizio dell'evento sportivo infatti, la Francia ha ribadito alle sue atlete il divieto di indossare il velo, pena l’esclusione delle gare. La legge che vede la proibizione dell'hijab durante tutte le competizioni sportive sul territorio francese è in vigore da gennaio 2022 e sarebbe “a difesa della laicità sul campo di gioco”. La scelta di Sifan di indossare il velo è stata dunque interpretata come un'importante presa di posizione contro il provvedimento che dice di tutelare uno dei valori dello Stato francese, ma che dall'altra parte vieta la libertà di religione di molte ragazze e donne musulmane.
L'attivismo degli atleti palestinesi: “Qui per il nostro Paese”
Un altro tema di queste Olimpiadi è stato senz'altro la questione mediorientale. A rappresentare la Palestina sono stati solo 8 sportivi, dei circa 400 morti dall'inizio del conflitto, secondo le stime del Comitato Olimpico Palestinese, rese note ad ottobre dal presidente Jibril Rajoub. Gli atleti e le atlete dello Stato sotto assedio israeliano hanno più volte ricordato la situazione a Gaza: ne sono un esempio i nuotatori Valerie Tarazi, con cittadinanza americana, e Yazan Al Bawwab, naturalizzato italiano, che hanno nuotato con la bandiera palestinese disegnata sul loro corpo.
Parole forti, quelle uscite dalla bocca dei due sportivi, che hanno fatto tanto riflettere. “Combatto per il mio Paese attraverso lo sport, è il modo più pacifico per me di combattere – ha dichiarato Tarazi a La Presse –. L'unica cosa che i palestinesi hanno è la loro resistenza. Nessuno può toglierci la nostra identità”. “Meritiamo gli stessi diritti di tutti gli altri e vogliamo fare sport come tutti gli altri. Questo è il mio messaggio di pace. La mia famiglia è in Palestina, ho una famiglia allargata a Gaza. Non voglio parlare delle atrocità che sono accadute loro, voglio solo far sapere che alcuni componenti della mia famiglia sono stati uccisi. Ma sono qui e rappresento la mia bandiera. Molte persone non vogliono che siamo qui, non vogliono vedere la bandiera, non vogliono sentire il nome del mio Paese. Non vogliono che io esista, vogliono che me ne vada. Ma io sono qui”, ha aggiunto Al Bawwab alla stessa testata.
“Al momento non c’è una piscina per allenarsi, istruire allenatori o persino insegnare ai bambini a nuotare. C’è una guerra in corso, cosa dovresti fare quando c’è una guerra? Una piscina darebbe una via d’uscita a molte persone, può farle sorridere per almeno cinque minuti al giorno dove non lo fanno. Ecco perché credo nello sport, ecco perché credo che dovremmo investire in Palestina, negli sport per i palestinesi, ma nessuno vuole farlo”.
Alla cerimonia d'apertura la delegazione è stata accolta con l'applauso del pubblico presente. Gli atleti e le atlete sono entrati nello stadio non portando una bandiera ma la kefiah, simbolo della resistenza palestinese, con su scritto una sola parola “Palestine” e i colori rosso, verde, bianco e nero.