Olimpiadi Parigi 2024, vietato l’hijab per le atlete francesi

Ai prossimi Giochi olimpici e paralimpici le sportive Bleus dovranno scegliere se rinunciare alla gara attesa rincorsa da tutta la vita oppure a un aspetto della loro libertà di religione. Amnesty International: “Divieto viola diritto internazionale”

di Redazione Luce!
16 luglio 2024
Olimpiadi 2024, divieto di gareggiare per le atlete francesi che indossano l'hijab

Olimpiadi 2024, divieto di gareggiare per le atlete francesi che indossano l'hijab

Le atlete francesi a Parigi 2024 non potranno indossare l’hijab. Pena l’esclusione dalle gare. Un discriminazione nella discriminazione: alle Olimpiadi di casa ma con meno diritti delle altre, che arriveranno dai quattro angoli del mondo, e potranno invece competere col velo se lo vorranno. Per le sportive della nazionale d’Oltralpe indossarlo è infatti proibito dalla legge dello Stato, in contrasto invece coi ben più liberali e inclusivi valori olimpici. In particolare il divieto vale per le competizioni che si svolgono in Francia, Giochi compresi in questo caso. 

La parità di genere e il divieto di hijab

Amenesty International, nel suo rapporto diffuso oggi, a dieci giorni esatti dall’inizio della manifestazione a cinque cerchi, denuncia “il divieto di partecipazione alle atlete che indosseranno l'hijab si fa beffe di questo solenne impegno e, secondo mostra un approccio discriminatorio da parte degli organizzatori di Parigi 2024 e la debolezza del Comitato internazionale olimpico (Cio), che non è capace di far rispettare i propri valori”.

Il ‘solenne impegno’ è quello per la parità di genere, che almeno nei numeri è stato – c’è da dire – rispettato; secondo gli organizzatori, infatti, i Giochi olimpici e paralimpici di Parigi saranno i primi che promuoveranno l’uguaglianza tra maschi e femmine, in quanto ci saranno tanti uomini quante donne ammessi alle gare.

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Ma non è certo abbastanza. Amnesty, nella nota, spiega che “Rispondendo blandamente a una lettera di un gruppo di organizzazioni per i diritti umani, il Cio ha affermato che il divieto imposto dalle autorità sportive va al di là del suo mandato, aggiungendo che ‘la libertà d’espressione è interpretata in modo differente nei vari Stati’”. Certo, in alcuni Paesi se non indossi il velo in ogni ambito pubblico, compreso quello sportivo, rischi il carcere o ancor peggio, la morte. In altri invece la tua scelta di mettere l’hijab è osteggiata dalle stesse istituzioni, che professano l’assoluta laicità dello Stato anche nelle manifestazioni sportive. 

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Il divieto francese, spiegano ancora dall’organizzazione internazionale, è in contrasto con le regole di numerose federazioni sportive internazionali, tra cui quelle del calcio, della pallavolo e della pallacanestro. Analizzando le regole vigenti in 38 Stati europei, Amnesty International ha verificato che solo in Francia esiste un divieto del genere.

Scegliere significa perdere 

La misura, com'è facile immaginare, “avrà un impatto devastante sulle atlete di religione musulmana, che si troveranno a scegliere tra due opzioni perdenti: non partecipare al massimo evento sportivo globale o rinunciare a un aspetto della loro libertà di religione”. 

Il divieto non ha solo a che fare con gli imminenti Giochi olimpici (che inizieranno il 26 luglio) e paralimpici (dal 28 agosto) ma è in vigore in diversi sport francesi (calcio, pallavolo, pallacanestro), sia a livello professionale che dilettantistico. Molte atlete musulmane devono così rinunciare non solo alla carriera ma anche agli allenamenti. Per questo motivo alcune, ma sono una minoranza che può permettersi la trasferta, scelgono di andare a praticare sport all'estero. Per la maggior parte di loro, quelle che rimangono e si battono per far valere i propri diritti, i sentimenti prevalenti sono quelli dell'umiliazione e dell'esclusione.

Secondo il diritto internazionale, quella che comunemente è chiamata la “laicità dello stato” non è una ragione legittima per imporre limitazioni alla libertà di espressione e/o di religione. "Le autorità francesi, che da 20 anni applicano leggi e regolamenti sull'abbigliamento delle donne e delle ragazze musulmane, fanno esattamente il contrario e non solo in ambito sportivo, alimentando razzismo, pregiudizio e islamofobia”.