Fjona Cakalli: “Le difficoltà di lavorare in settori maschili ci sono, ma le supero”

Si destreggia con energia tra games, auto e tecnologia, superando pregiudizi e commenti sessisti quasi sempre con ironia: “La nostra missione è non mollare, non vi libererete di noi”

di TERESA SCARCELLA -
8 marzo 2024
Fjona Cakalli

Fjona Cakalli

Reporter, content creator, divulgatrice e conduttrice TV: Fjona Cakalli è tante cose e nessuna. Nel senso che preferisce non rinchiudersi in una definizione per non precludersi la possibilità di essere tanto altro. Sicuramente è un’esplosione di energia, che colpisce e travolge, con cui affronta la vita quotidiana e il lavoro, in ambienti percepiti nell’immaginario collettivo come “maschili”. Gli stereotipi e i pregiudizi che riscontra, inevitabili, li combatte a colpi di spontaneità e ironia.

Nata in Albania nel 1987 da due primi ballerini dell’Opera di Tirana, è venuta a vivere in Italia con i suoi genitori quando aveva 4 anni. Appassionata fin da bambina di videogame, nel 2011 fonda Games Princess, il primo sito italiano dedicato ai videogiochi e gestito esclusivamente da ragazze e nel 2013 dà vita a Techprincess.it con l’intento di avvicinare il pubblico generalista al mondo della tecnologia spiegandola con termini semplici.

Alla passione per i videogame si aggiunge anche quella per le auto: nel 2014 apre Driving Fjona, canale Youtube in cui, ai classici test drive e prove su strada, alterna viaggi intorno al mondo a bordo dei veicoli più svariati. Grazie a questo canale, ad oggi Fjona è l’unica presenza femminile nella TOP 10 degli automotive influencer più seguiti in Italia. Fra pochi giorni il debutto su Raiplay, con “Touch - Impronta Digitale”, un programma che vuole raccontare in chiave “pop” le innovazioni apportate dalla tecnologia nella vita quotidiana.

“Avere un programma su Raiplay è stata inaspettato, mi è mancato il fiato quando mi hanno chiamata – racconta – E’ partito tutto come un gioco. Da piccola ero convinta di voler fare danza come i miei genitori, poi mi sono accorta che non era la mia strada. Così come non lo era il settore assicurativo, dove ho lavorato per qualche anno. La passione per i videogame ce l’ho da bambina, giocavo con i miei, era un momento di aggregazione, per stare con loro. Crescendo ho pensato di farne un lavoro e da lì è arrivato poi tutto il resto”. 

Fjona Cakalli
Fjona Cakalli

L’intervista

Lavorare sul web, di fronte a una telecamera, vuol dire esporsi spesso a commenti e giudizi. Come li affronti?

“Dipende dai giorni, ma spesso ci rido sopra. A volte rispondo in modo simpatico e devo dire che alcuni detrattori sono diventati fan. Fa parte del gioco, anche se non dovrebbe. Bisogna imparare a conviverci, altrimenti non si fa questo lavoro”. 

Facciamo un passo indietro. Sei nata in Albania, a 4 anni sei arrivata qui. Raccontaci quel periodo della tua vita

“I miei avevano deciso di voler inseguire un futuro migliore. In quegli anni in Albania non c'era nulla, l’arrivo della democrazia era stato traumatico. Così mi sono ritrovata catapultata in questo nuovo posto, con gente che parlava una lingua che io, non so perché, conoscevo, da piccola guardavo i cartoni animati in italiano. A scuola mi sono ambientata facilmente, ma quando tornavo a casa era un mondo parallelo, perché i miei invece avevano problemi con l’italiano e, banalmente, non potevano aiutarmi per i compiti. Ero io che aiutavo loro e questo mi ha fatto crescere più in fretta rispetto ai miei coetanei. Ho imparato a convivere con questa dualità che all’inizio era un conflitto, poi crescendo è diventata una ricchezza, una possibilità di guardare il mondo da due punti di vista diversi e sentirmi meno giudicante, più empatica. Per i miei genitori è stato più complicati, in Albania erano ballerini famosi, qui in Italia appena arrivati erano gli ultimi degli albanesi”.

Avete trovato diffidenza? Razzismo?

“La cosa più simpatica che le persone ci dicevano era comunque un insulto. Il pregiudizio c’era. Oggi si parla di integrazione, ma all’epoca nessuno ci ha aiutato. Abbiamo dovuto fare tutto da soli. Oggi guardo al passato con tanta tenerezza”. 

E oggi, percepisci ancora quel muro?

“Oggi personalmente no. Sicuramente c’è verso altre etnie. Io cerco sempre di raccontare molte cose della mia cultura, che poi in realtà non proprio è la mia. Uso i social come una cassa di risonanza per condividere esperienze e apro finestre su mondi in cui chi mi segue magari non è mai stato”. 

Com’è cambiata in questi anni l’Albania?

“Noi ci andavamo ogni anno d’estate. Tirana è una città in fermento, sempre nuova. Ha voglia di crescere e mostrarsi. E’ piena di contraddizioni come ogni paese emergente. La cosa che mi colpisce ogni volta che ci torno è la concezione del tempo: qui siamo fiscali e precisi, lì vivono tutto con più calma”. 

Che caratteristiche ti porti dall’Albania, e quali hai acquisito qui in Italia?

“In Italia ho scoperto la libertà di espressione, di pensiero e di essere ciò che si vuole. I miei genitori sono cresciuti in un posto dove non potevi lamentarti, i muri avevano le orecchie, i vicini potevano essere spie. Quando ho preso il passaporto italiano è stata una ventata di libertà, con quello albanese avevi bisogno del visto per andare ovunque e ottenerlo non era facile. Del popolo albanese ho preso la voglia di rivalsa, la fame di dimostrare”. 

Parliamo di lavoro. Quali difficoltà maggiori devi affrontare?

“Ti scontri con la tua immagine in continuazione. A volte nei commenti c’è chi si lascia andare a considerazioni sul mio aspetto fisico, è frustrante. C’è ancora molto da fare in questo senso, ad un certo punto diventa una missione: far vedere che si può essere donna, prosperosa e non per forza ricevere questi commenti”.

Ti condizionano?

“Dipende dai giorni, a volte si, a volte non mi toccano”.

La tua credibilità ne risente?

“In questi settori molto maschili devi sempre dimostrare di valere qualcosa per essere lì. Non è semplice. Una mia amica mi ha fatto notare che nel mio piccolo faccio politica e attivismo, questo mi spinge a non mollare”. 

Games e motori dicono siano cose da maschi

“Durante i corsi in pista molti istruttori mi hanno ammesso di preferire le allieve donne, perché sono più brave a recepire l’insegnamento, mentre gli uomini sono già sicuri di saper fare, non ascoltano e sbagliano. Questo perché ci hanno cresciuto come rincoglionite alla guida, lo abbiamo interiorizzato e questo ci fa essere delle spugne. La discriminazione di base c’è, anche nel game, ma il nostro mestiere è continuare a farlo. Non vi libererete di noi!”