L’8 marzo è per tutte? Non se le donne con disabilità restano ai margini della lotta per i diritti

Tra sessismo e abilismo, le donne con disabilità restano ai margini della lotta per i diritti: perché il movimento femminista deve diventare intersezionale

di CLARA LATORRACA
8 marzo 2025
Le donne con disabilità sono spesso invisibilizzate nell’agenda politica e, al contempo, faticano a trovare spazio nei movimenti femministi

Le donne con disabilità sono spesso invisibilizzate nell’agenda politica e, al contempo, faticano a trovare spazio nei movimenti femministi

L’8 marzo, Giornata internazionale della Donna, è una giornata di celebrazione e rivendicazione dei diritti delle donne. Ma quali donne? Riesce davvero a parlare e a far parlare tutte? C’è una categoria che rimane spesso esclusa e invisibile anche in questa giornata, quella delle donne disabili, che subiscono una doppia discriminazione: quella del sessismo e quella dell’abilismo. Nonostante questa situazione quotidiana, che le rende una categoria molto vulnerabile, queste donne sono spesso contemporaneamente invisibilizzate nell’agenda politica e faticano a trovare il loro spazio anche nei movimenti femminili e femministi. 

Disabilità e intersezionalità

L’abilismo è, secondo la definizione di Treccani, “l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle persone con disabilità” e rappresenta un sistema oppressivo nei confronti di persone che, in modi diversi, non corrispondono all’immagine e all’idea di persona “abile”. Le donne disabili subiscono però una doppia discriminazione, perché all’abilismo nei loro confronti si unisce anche il sessismo che sperimenta la popolazione femminile. Per comprendere al meglio questa condizione si può ricorrere al concetto di “intersezionalità”, ovvero l’idea che la complessa identità di un individuo lo possa sottoporre a diverse forme di oppressione contemporaneamente, in modo inscindibile.

La necessità è quella di considerare ogni persona nella sua interezza. Dianne Pothier, docente di diritto e attivista canadese, con una disabilita visiva, ha detto in proposito: “Non posso subire discriminazioni di genere se non come persone con disabilità; non posso subire discriminazioni per la mia disabilità se non come donna (…). Non inserisco in scatole separate i motivi di discriminazione. Anche quando sembra essere rilevante un solo motivo di discriminazione, i suoi effetti riguardano la mia persona nella sua interezza”.

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La violenza contro le donne disabili

Secondo il documento dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, reso pubblico nel 2023 in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza sulle donne, la popolazione femminile disabile che ha subito forme di violenza fisica o sessuale raggiunge il 36,6%. Secondo FISH (Federazione Italiana prr il Superamento dell’Handicap) in molti casi si tratta di atti agiti all’interno della famiglia o nella dimensione domestica, ma anche nelle strutture di ricovero.

A rendere ancora più drammatiche queste cifre, il fatto che molti Centri Antiviolenza non siano preparati ad accogliere persone disabili: secondo i dati Istat del 2022, solo il 30,1% dei centri organizza incontri di formazione sull’accoglienza delle donne con disabilità, che spesso non possono contare su iniziative o materiali accessibili a coloro che hanno deficit sensoriali o intellettivi. Meno del 19% dei centri riesce a fornire supporti e facilitatori. C’è poi l’importante tema delle barriere architettoniche: meno della metà delle Case Rifugio ha adottato misure di superamento di questi ostacoli.

Perché è importante formare gli operatori dei centri anti-violenza, ma anche le forze dell’ordine, e garantire la presenza di facilitatori? “Persistono stereotipi negativi nei confronti delle vittime con disabilità – spiega FISH – e spesso accade che non venga riconosciuto alle donne con disabilità la capacità di testimoniare, non vengano ritenute attendibili le loro deposizioni”.

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Sessualità, autonomia e stereotipi

La sessualità è un altro ambito in cui le donne disabili devono affrontare pregiudizi e discriminazioni, che le privano del diritto all’autodeterminazione. Spesso infantilizzate, dipinte come “eterne bambine”, raccontante come prive di desiderio e incapaci di sviluppare relazioni sessuali e romantiche, le donne disabili si scontrano con una negazione della propria sessualità.

A questo tema si collega un tema estremamente sensibile dei trattamenti medici non consensuali, come la sterilizzazione forzata o i trattamenti contraccettivi non richiesti, decisi da famigliari o tutori legali. Nonostante si tratti di una pratica esplicitamente vietata, un reportage del 2023 de El Paìs ha svelato le storie di diverse donne disabili sottoposte a questo tipo di trattamenti senza il loro consenso.

Movimenti femministi e disabilità

Nonostante il femminismo abbia ampliato nel corso degli anni il suo raggio d’azione per includere sempre più istanze intersezionali, le donne con disabilità rimangono ancora ai margini del dibattito. Questo accade per diverse ragioni: dalla persistenza di stereotipi abilisti, alla mancanza di spazi accessibili e la scarsa rappresentanza di attiviste disabili nei contesti femministi mainstream.

Il movimento ha storicamente lottato per l’autodeterminazione delle donne, ma spesso non ha incluso la prospettiva di chi vive con una disabilità. Le campagne per la libertà sessuale, il diritto al lavoro e l’emancipazione economica, per esempio, danno per scontata un’indipendenza che per molte donne con disabilità è ostacolata da barriere materiali e sociali.

In aggiunta, anche quando i movimenti femministi provano a essere inclusivi, le donne con disabilità trovano ostacoli concreti per partecipare attivamente. Durante gli eventi e le manifestazioni, molte piazze, assemblee e cortei presentano barriere architettoniche e impediscono la partecipazione alle persone con disabilità motoria. Poche campagne femministe usano linguaggi accessibili (come sottotitoli nei video, testi in braille o interpreti LIS), escludendo di fatto chi ha disabilità sensoriali.

E nei partiti e nelle associazioni che si battono per i diritti delle donne, la presenza di attiviste con disabilità è molto bassa. La rappresentanza è sicuramente una mancanza che porta con sé una serie di implicazioni: dare spazio alle attiviste disabili, coinvolgerle nei dibatti e nei processi decisionali è fondamentali per comprendere cosa significhi davvero accessibilità e inclusione per chi sperimenta l’abilismo sulla propria pelle.

Se la lotta per i diritti delle donne vuole essere realmente intersezionale e includere davvero tutte, non può più ignorare le donne con disabilità. La lotta per la parità non può essere selettiva: è necessario allora un cambiamento strutturale che possa rendere il movimento davvero inclusivo e accessibile a tutte.