Per contare, le donne hanno iniziato a contarsi. Dai banchi della politica ai divanetti in tv, scorrendo gli indici occupazionali e dei manuali scolastici, fino alle vie e tra i volti dei monumenti. Il risultato è però desolante. Nonostante rappresentino la metà del Paese, le donne sono invisibili. Lungo l’intero stivale sono 171 i monumenti femminili censiti a oggi dall’associazione ’Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali’. 171 contro una miriade imprecisata (solo a Milano ce ne sono 125) di busti maschili, che ci guardano quotidianamente dagli alti plinti delle più importanti piazze d’Italia. Ma non basta: le poche ritratte sono anche vittima di sistematico sessismo. Le giornaliste Ilaria Alpi e Maria Grazia Cutuli ritratte nude a Viterbo. La Lavandaia di Massa detta ’La puppona’ volgarmente ritratta e colorata nei capezzoli e nel volto. E ancora La Violata di Ancona, che vorrebbe ricordare «tutte le donne vittime di violenza» e che invece, nota Luciana Littizzetto «sembra il morboso spot di una violenza».
Nude, semi-nude, giovani, magre, spesso ai piedi di un uomo autorevole e vestito di tutto punto: questo il classico repertorio che ci offre la statuaria al femminile. Donne fatte da uomini per uomini e tagliate fuori dalla storia. Sul totale solo il 17% rappresenta donne che si sono distinte per meriti intellettuali o artistici. Per lo più, infatti, si annoverano figure allegoriche, come Patrie, mogli, madri, nonne e figure anonime collettive di mondine e partigiane. Mentre poco più della metà rappresenta donne realmente esistite. Vanno per la maggiore statue di sante e madonne, insieme alla scrittrice Grazia Deledda e ad Anita Garibaldi, che ne contano sei ciascuna. Le donne sono lontane dalla piazza, ma anche dalla committenza: «Delle statue femminili censite il 91% è realizzato da uomini. Ma non è una novità, la storia dell’arte è una storia di uomini che guardano e ritraggono donne». Per Mi Riconosci? il sessismo dei monumenti italiani è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti «in una rappresentazione della donna che ribadisce un’imposizione dei ruoli e che è per bambini e bambine un riferimento visivo ed educativo costante».
Passando alla toponomastica, le cose non vanno meglio: via delle Carine, via delle Belle, via delle Donzelle. In Italia le strade intitolate a donne non sfondano il tetto del 5% del totale e le poche nominate sono per lo più madonne, sante e prostitute. A fornirci il quadro, in questo caso, è l’associazione Toponomastica femminile, fondata nel 2012 dalla professoressa Maria Pia Ercolini. Le donne si contano per contare, con sano pragmatismo: «Non vogliamo riempire lo spazio pubblico di statue femminili indiscriminatamente, vogliamo riflettere su come la donna viene rappresentata in quello spazio», sostengono da Mi Riconosci?. Stessa posizione tenuta da Toponomastica Femminile che ’da anni fotografa il sistema patriarcale in cui siamo inseriti’: «Non vogliamo rivoluzionare il sistema stradale. La proposta è lavorare affinché i nuovi luoghi e quelli privi di nome vengano intitolati a donne».