Capelli turchini, sguardo vispo, una personalità esuberante ma vera, autentica. Serra Yilmaz è Lea, a teatro, nell’adattamento del film del suo grande amico regista Ferzan Özpetek “Magnifica presenza”. Esatto, amico, perché l’attrice turca preferisce parlare di amicizia piuttosto che di se stessa come ‘musa’, definizione che le è stata attribuita da altri. La differenza – e non è una differenza da poco, meglio ribadirlo in giornate come l’8 marzo – la fa il rapporto tra i due, di rispetto e fiducia reciproca, non di ammirazione passiva.
“Lo spazio dove sto meglio è il palcoscenico. Sono convinta che potrebbe capitare qualsiasi cosa e io andrei avanti a recitare” ci racconta prima dello spettacolo, che la riporta a Firenze, città dove ha trovato la sua nuova casa dopo Istanbul che le ha dato i natali, in una tappa del tour per l’opera che racconta le vicende di Pietro, aspirante attore, e della stravagante compagnia con cui si trova a che fare, tra reale e onirico, illusione e concreto.
Due nature che si trovano anche nella nostra intervistata, le origini turche e il legame con il suo Paese e con il nostro, che l’ha accolta e in cui ha poi fatto crescere la sua arte, fuse in modo inscindibile ma mantenendo ognuna la propria identità.
Giornata internazionale della Donna: ha senso oggi celebrarla?
“Certo! C’è ancora tantissimo da fare, non c’è niente di guadagnato. Guardi il numero di femminicidi, in Italia, in Turchia, in Francia… è assurdo. Bisogna insegnare ai maschi che le donne non gli appartengono, che se vogliono andarsene le devono lasciar andare. Ma quanti uomini si sono fatti uccidere perché hanno abbandonato una donna? Quanti? Può capitare a la proporzione è insostenibile. Quel fatto di credere che una donna appartiene a un maschio, che sia il babbo, il nonno, il marito, il fidanzato deve essere assolutamente superato. Per questo ribadisco: non dire a tua figlia di non mettere la minigonna, dì a tuo figlio di comportarsi bene”.
Essere donna in Turchia e in Italia: c’è differenza?
“Non vedo differenze purtroppo. Le donne turche hanno conquistato senza lottare il diritto di voto ben prima delle italiane; il divorzio è esistito in Turchia ben prima che in Italia, l’aborto esisteva prima che qui. Le cose non sono come appaiono, c’è sempre il pregiudizio per cui in Occidente si sta meglio, ma non è proprio questo il caso”.
Come definirebbe quindi l’identità della donna turca, che abbiamo capito essere un esempio per noi italiane?
“Nel libro ‘Una donna turchese’ una mia amica ha raccontato della mia vita ma anche delle condizioni delle donne turche. Ad esempio in questo momento ci sono due donne turche che sono a livelli molto alti dell’amministrazione di due ditte farmaceutiche internazionali; le donne in Turchia sono molto più presenti come proporzione ai vertici dell’amministrazione e della direzione di aziende, ma anche a livello accademico. Da 20 anni abbiamo però a che fare con poteri che vogliono riportare il buio ovunque ma le donne, in questo, sono sempre in prima linea per lottare contro il patriarcato. Una donna per arrivare in cima deve lavorare molto di più che un maschio, per non parlare della disparità a livello salariale. La Turchia per queste cose può essere anche molto sorprendente: siamo dinamiche, non rinunciamo facilmente ai nostri diritti”.
Cosa direbbe oggi ai giovani?
“Io il consiglio che do ai giovani è di essere sempre se stessi e devono essere giusti. Credo nel concetto dei giusti, come sono esistiti nella Seconda Guerra Mondiale coloro che erano per la giustizia, che volevano proteggere i diritti della persona senza nessuna distinzione di razza, di religione e provenienza. È ancora più importante oggi perché stiamo tornando agli orrori del passato ed è molto triste. Conto molto sui giovani, ho tanta fiducia e spero che loro creino un mondo migliore del nostro”.