Quel prezzo pagato per pandemia, guerre e povertà

di GERALDINA FIECHTER
8 marzo 2022
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Le guerre non sono mai un buon affare. Lo sono ancora meno per le donne, che pagano sempre il prezzo più alto. Ma se a precipitare nel conflitto vero e proprio sono in queste ore le donne ucraine (a cui dovremmo aggiungere le madri e le mogli dei soldati russi mandati a combattere e a morire), i dati internazionali dimostrano come l’intero mondo femminile abbia subìto un brusco arresto sulla via della libertà e della emancipazione. Colpa dei 2 anni di pandemia, che, proprio come una lunga guerra, ha costretto molte donne del pianeta a lasciare il lavoro per stare dietro alla famiglia, in molti casi a raddoppiarlo, o a rinunciare alle cure, e in generale a subire i contraccolpi di un’emergenza che, come spesso accade, aumenta le disuguaglianze e la precarietà delle fasce di popolazione meno tutelate. Dal 2017 al 2019 l’indice che studia il benessere delle donne nel mondo era cresciuto del 7 per cento. Nei due anni successivi (2020-2021) il miglioramento si è fermato al 3 per cento (fonte: Woman, Peace and Security Index 2021/2022). Con enormi differenze, ovviamente. Restano ancorati ai primi posti i Paesi del nord Europa (Norvegia, Finlandia, Islanda, Danimarca, e non gli Stati Uniti, che si classificano al 21esimo posto), mentre in fondo alla lista troviamo i Paesi del sud est asiatico, del Medio Oriente e del Nord Africa, piegati da leggi discriminatorie (come l’Afghanistan, precipitato dopo il ritorno dei Talebani) e dai conflitti locali. E l’Italia? Fra 170 Paesi analizzati tenendo conto di tutti gli indicatori possibili e calcolabili (come sicurezza, salute, leggi, lavoro, scolarizzazione, partecipazione politica, violenza domestica), il nostro Paese si colloca al 28esimo posto, poco prima della Polonia. Un risultato non gratificante, soprattutto se paragonato agli altri Paesi europei, dovuto soprattutto ai dati sull’occupazione femminile, il più basso in Europa (il 31%), e a quelli sugli aiuti/flessibilità nella gestione dei figli.   Gli studi che ogni anno monitorano la situazione delle donne nel mondo sono numerosi. Uno dei più approfonditi è quello della Banca Mondiale. E sapete perché? Perché anche al più freddo economista è molto chiaro che solo i Paesi dove la parità fra uomo e donna è compiuta, possono ambire alla vetta non solo del progresso umano ma anche della ricchezza. E tutti i report concordano su un risultato: facendo la media mondiale, le donne hanno il 75% in meno dei diritti rispetto agli uomini. Se non bastano i dati sui matrimoni forzati, sulla mortalità materna, sui femminicidi, sugli abusi sessuali, sulle leggi discriminatorie e altre arretratezze del genere, ecco i numeri che forse non ci saremmo aspettati: dei 720 milioni di adulti analfabeti nel mondo, circa due terzi sono donne, una per centuale rimasta invariata per due decenni. Con una media di 10 anni di scuola (ma in Germania più di 13), in Italia possiamo ritenerci fortunate.

IL TERMOMETRO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA AL FEMMINILE Questo è il mondo diviso in colori secondo l’indice per la pace e la sicurezza delle donne (Wps) del 2021-2022. Sulla base dei numerosissimi indicatori, il rapporto sulla condizione femminile nel mondo viene aggiornato ogni anno. I 170 Paesi analizzati sono classificati su una scala 0-1 con un punteggio di 1 come risultato più alto possibile . Le tendenze mostrano che l’avanzamento globale delle donne ha rallentato e che le disparità sono cresciute

La difesa del lavoro. La libertà di scelta La storia ha voluto tramandare una straordinaria coincidenza. L’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, nel 2020 ha coinciso con l’introduzione del primo lockdown e dello stato d’emergenza che è tuttora in vigore. Lo scotto, dice l’Istat, l’hanno pagato soprattutto le donne: il 98% delle persone che ha perso o lasciato il lavoro nel primo anno di pandemia sono donne. Una situazione di svantaggio che richiama all’origine della ricorrenza. Ormai smentito che l’8 marzo 1908 sia scoppiato l’incendio nella fabbrica di camicie di New York da cui discenderebbe la scelta della data della celebrazione (qualcosa di simile successe, ma il 25 marzo 1911, con 123 vittime) resta il ricordo dei milioni di donne che hanno dovuto combattere per ottenere il minimo dei diritti. In una scalata non ancora finita.