La Corte Suprema degli Stati Uniti, giovedì 13 giugno, ha bocciato il tentativo di restringere l'accesso alla pillola abortiva più comunemente usata negli Usa. La decisione della massima giuria americana è un’importante vittoria per le associazione pro-scelta, perché respinge il tentativo di gruppi anti-aborto e di medici conservatori, ritenuti non legittimati a contestare il processo di approvazione del mifepristone da parte della Food and Drug Administration.
Bocciato il ricorso dei medici anti-aborto
I giudici, infatti, hanno stabilito all'unanimità che il ricorso sulla decisione da parte dell’Agenzia di rendere più facile l'accesso alla pillola non ha fondamento legale. Rigettandolo come infondato, la Corte ha così evitato di doversi esprimere sul merito legale della decisione della Fda di eliminare una serie di restrizioni, rendendo tra l'altro possibile ottenere per posta il farmaco. Contromisure in risposta all'ondata di leggi che hanno ristretto o del tutto vietato l’interruzione volontaria di gravidanza in decine di Stati a guida repubblicana, dopo che la maggioranza conservatrice della stessa Corte, due anni fa, ha abolito il diritto costituzionale all'aborto, abrogando la storica sentenza Roe vs Wade.
Il tentativo di limitare l'accesso alla pillola abortiva, è uno degli ultimi fronti di scontro su questo diritto. Ma “Le corti federali sono il forum sbagliato per affrontare le preoccupazione sulla Food and Drug Administration. I timori e le preoccupazioni vanno espresse al presidente e alla Fda, o al Congresso”, ha scritto il giudice Brett Kavanaugh spiegando le motivazioni alla base del verdetto. “Concordo pienamente con l'opinione della Corte perché applica correttamente i nostri precedenti”, ha aggiunto il giudice Clarence Thomas.
Più di 170 mila donne emigrate per abortire
Mentre il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dal G7 in Puglia, commenta la sentenza della Corte Suprema (“La decisione di oggi non cambia il fatto che la battaglia per la libertà” di scelta delle donne “continua. E non cambia il fatto che la sentenza” che aveva legalizzato l'aborto negli Stati Uniti “è stata ribaltata dalla Corte Suprema due anni fa. Ma voglio essere chiaro: gli attacchi dei repubblicani ai medicinali per l’aborto rientrano nella loro agenda estrema e pericolosa di vietare le interruzioni di gravidanza a livello nazionale”), il New York Times pubblica un dato molto significativo sul tema: più di 170 mila donne negli Stati Uniti hanno attraversato il confine del proprio Stato, nel 2023, per abortire.
I dati del fenomeno migratorio al femminile
Lo studio pubblicato sul quotidiano ha utilizzato i dati del Guttmacher Institute, noprofit newyorkese che si occupa di tutelare i diritti riproduttivi delle donne. Più di 14 mila pazienti hanno lasciato il Texas, uno degli Stati più integralisti nel divieto di aborto, per sottoporsi a intervento in New Mexico. 16mila sono partite dal sud per andare in Illinois. Quasi 12mila sono andate in North Carolina, partendo da South Carolina e Georgia.
Da quando la Corte Suprema nel 2022 ha annullato il diritto federale all'interruzione di gravidanza si assiste sempre più al fenomeno dell'emigrazione temporanea in cerca di un intervento laddove, invece, l'interruzione di gravidanza è legale. Le 171 mila donne che si sono messe in viaggio rappresentano il doppio del numero registrato nel 2019.
Una interruzione di gravidanza su cinque ha riguardato una persona che proveniva da un altro Stato. In gran parte è bastato superare il confine per andare in quello vicino, ma per le donne che vivono al sud, dove tredici Stati hanno vietato o limitato l'aborto, è stato necessario affrontare un viaggio molto più lungo e costoso.
I viaggi, in effetti, restano il metodo preferito per aggirare i divieti. Il New York Times cita il caso di una ragazza di 24 anni, partita da Columbus per andare a New York e interrompere quella gravidanza indesiderata. Aveva scoperto di essere incinta quando ormai erano passate sei settimane, termine dopo il quale la Georgia, come molti altri Stati, vieta l’aborto. La ragazza ha deciso di viaggiare nel weekend, invece di gestire l'aborto con le pillole e di fare tutto a casa e in gran segreto: “Dovevo tornare al lavoro il lunedì – ha raccontato – non avevo molto tempo a disposizione”. In molti casi la procedura, oltre a rappresentare una ferita, comporta spese notevoli: le donne perdono ore di lavoro e, in alcuni casi, devono pagare qualcuno che si occupi dei cari lasciati a casa. In più vanno aggiunti i costi del viaggio. Possono andare via tra i mille e duemila dollari.
“L'aborto – ha dichiarato al Nyt Amy Hagstrom Miller, fondatrice di Whole Woman's Health, un gruppo che gestisce cliniche in Maryland, Minnesota, New Mexico e Virginia – è uno degli interventi più comuni in medicina. Ma noi bbiamo persone che si fanno centinaia di migliaia di chilometri per sottoporsi a interventi che in genere durano meno di dieci minuti, e che potrebbero essere fatti in uno studio medico. Nessuno – ha aggiunto – affronta una cosa simile per altri tipi di intervento”. Questo a conferma che l'America liberal e conservatrice si muove su due strade opposte, mentre migliaia di donne devono scegliere il loro percorso per mettere fine a una gravidanza non voluta.