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Aborto Usa, chi è 'Baby Roe' la figlia della donna che ha dato il nome alla storica sentenza

La donna texana che vinse la causa contro lo stato per l'interruzione di gravidanza fu costretta a partorire e la bimba venne adottata, ignorando la sua identità per anni

di MARIANNA GRAZI -
25 giugno 2022
Shelley Lynn Thornton Abc

Shelley Lynn Thornton Abc

Oggi ha 52 anni, vive in Arizona e ieri il suo nome, o meglio quell'identità che per anni ha ignorato di avere, è tornata prepotentemente alla ribalta. Lei è 'Baby Roe', e per quasi due decenni non ha saputo di essere la figlia della donna che nel 1973, con la storica sentenza Roe contro Wade, divenne il simbolo del diritto di aborto negli Stati Uniti. e che il 24 giugno 2022 è stata rovesciata, abolendo di fatto qualsiasi tutela a questa libertà fondamentale a livello nazionale.

La causa Roe v. Wade

L'ormai nota Roe v. Wade, sentenza che dal 1973 legalizzava l'aborto negli Stati Uniti, ha preso il suo nome da 'Jane Roe', pseudonimo della donna texana – che in seguito fu identificata come Norma McCorvey – che nel 1969 voleva interrompere la gravidanza del suo terzo figlio, sfidando la legge dello Stato che vietava l'aborto, tranne nei casi in cui fosse in pericolo la vita della madre. A rappresentare invece il Texas c'era invece l'allora attorney general Henry Wade, come si evince dal nome dato alla sentenza dalla Corte Suprema, dove il caso arrivò nel 1972. I nove giudici, il 27 gennaio 1973, decisero a larga maggioranza (sette contro due) in favore di Jane Roe, alias Norma McCorvey, che intanto aveva comunque avuto la sua terza figlia – stabilendo che, sebbene la Costituzione non affronti direttamente la questione del diritto all'aborto, questo viene tutelato dal diritto alla privacy, in particolare con il nono e 14esimo emendamento. Nell'opinione della maggioranza, inoltre, il giudice Harry Blackmun argomentò che negare l'accesso all'aborto avrebbe provocato dei danni gravissimi, che comprendono la minaccia alla salute fisica e mentale delle donne, costi finanziari e stigma sociale. "Quindi noi concludiamo che il diritto alla privacy personale comprende la decisione di abortire" scrisse Blackmun, sostenendo che questo diritto deve "prevalere sugli interessi regolatori degli Stati".
usa corte suprema aborto

Manifestanti anti aborto esultano fuori dalla Corte Suprema a Washington dopo l'abolizione della Roe v. Wade

Nella bozza della decisione attuale della Corte Suprema, che già il 3 maggio scorso era trapelata dal tribunale e rivelata da Politico, si afferma che la sentenza del 1973 deve essere "ribaltata" perché "clamorosamente sbagliata sin dall'inizio", fondata su "un'argomentazione eccezionalmente debole che ha avuto conseguenze negative" con il risultato di "infiammare il dibattito ed aumentare le divisioni: è arrivato il momento di tornare alla Costituzione e restituire la questione dell'aborto ai rappresentati del popolo". Il che significa restituire il potere di decidere sui diritti riproduttivi delle donne ai singoli Stati, ai legislatori federali, come accadeva fino a cinquant'anni fa. Anche se estremamente rara, la decisione della Corte Suprema di ribaltare e annullare un suo precedente è possibile.

Chi è Baby Roe

Tra appelli e controappelli la causa, iniziata nel 1970, si chiuse solo quattro anni dopo – McCorvey aveva dovuto dare alla luce la bambina che avrebbe voluto abortire. Quella che oggi è conosciuta con il nome di Shelley Lynn Thornton, 52n anni, fu adottata alla nascita da una famiglia del Texas, ma per quasi vent'anni era rimasta all'oscuro di chi fosse la madre biologica. Shelley ne aveva infatti 19 quando, su richiesta di Norma, alcuni giornalisti del tabloid National Enquirer la rintracciarono a Seattle, dove la famiglia adottiva si era trasferita, per informarla della verità sulla sua nascita. L'obiettivo era di pubblicare uno scoop con tanto di riconciliazione tra madre e figlia.
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Shelley Lynn Thornton è la "Baby Roe", figlia della donna che dà il nome alla sentenza che legalizzò l'aborto negli Usa

Il National Enquirer, dopo le proteste condite da minacce legali della ragazza e della sua famiglia, accettò di pubblicare l'articolo senza identificare 'Baby Roe' per nome. L'assenza di questo dettaglio fece sì che la storia, salvo marginali eccezioni, non ebbe diffusione. Per il pubblico americano l'identità di Shelley rimase così un mistero fino a pochi mesi fa, quando una giornalista dell'Atlantic, durante un approfondimento sull'aspetto umano della Roe contro Wade, l'aveva rintracciata e, col suo consenso, aveva scritto un profilo pubblicato sul numero di settembre della rivista. Shelley sapeva di essere stata adottata: i genitori adottivi infatti ci tenevano a farle capire fin da bambina di essere stata "scelta". Con la madre biologica Shelley aveva invece parlato per la prima volta dopo l'imboscata del National Enquirer: "Capii subito che l'unica ragione per cui mi aveva cercato era per farsi pubblicità", ha detto la donna in una intervista alla Abc andata in onda subito dopo il profilo dell'Atlantic. Shelley non ha mai accettato di incontrare Norma e non ha rimpianti per questo: "Non mi meritava. Non ha mai fatto nulla per riacquistare i suoi privilegi materni. Non ha mai espresso sinceri sentimenti per me o sincero rimorso per le cose che ha fatto e le cose che ha detto. Non era dispiaciuta di avermi data via".