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Aggressione in India a studenti musulmani, figlia della politica dell’intolleranza

Durante la preghiera notturna del Ramadan alcuni giovani studenti sono stati violentemente aggrediti. Per gli aggressori avrebbero dovuto pregare in moschea e non all’interno del college. Il caso non è isolato. La contromisura è drastica ma non risolutiva: i ragazzi saranno trasferiti.

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
19 marzo 2024
RAMADAN (foto di archivio)

RAMADAN (foto di archivio)

Quando si tratta di integrazione, tutto il mondo - evidentemente - è Paese. Dall’India arriva l’ennesima dimostrazione di quanto l’intero impianto culturale mondiale sia costruito su basi fragilissime e votate a particolarismi che difficilmente riescono a lasciare spazio a integrazioni o reciproci riconoscimenti. Lo scorso venerdì, la polizia del Gujarat ha arrestato due uomini ritenuti responsabili di aver organizzato un’aggressione in piena regola a un gruppo di studenti stranieri provenienti da Uzbekistan, Afghanistan, Tagikistan, Sudafrica e Sri Lanka che stavano svolgendo il rito del Taraweeh, la tradizionale preghiera notturna del Ramadan. Teatro delle violenze il college di Ahmedabad.

L’aggressione durante il momento di preghiera

Stando alle ricostruzioni delle forze dell’ordine, i quasi 300 ragazzi - in India grazie a borse di studio dell'Indian Council for Cultural Relations - sono stati aggrediti da persone che sostenevano che avrebbero dovuto andare a pregare nella moschea. A scatenare l’inferno è stato il rifiuto da parte dei ragazzi. Le conseguenze sono state gravi ferite, l’intervento dei sanitari e il riaccendersi di un dibattito sul fronte dell’integrazione che difficilmente troverà vie d’uscita pacifiche.

La vice-rettrice del college, Neerja A Gupta, non ha tardato a far sapere che le ostilità nei confronti degli studenti musulmani erano percepibili da tempo. La contromisura, però, pare non essere perfettamente in linea con le politiche di inclusione: i ragazzi, in via precauzionale, saranno spostati in un'altra università. A dire la sua è stato anche il leader del partito All India Majlis-e-Ittehadul Muslimeen (Aimim), Asaduddin Owaisi, che ha preso nettamente le distanze dalla violenza anti-islamica, denunciando il clima di “radicalizzazione di massa” in cui il Paese pare essere scivolato. Il portavoce del ministero degli esteri, Randhir Jaiswal, ha poi dichiarato che il dicastero è in contatto con il governo locale che sembra stia adottando misure severe contro gli autori del reato.

Gli episodi precedenti

Il punto è che la faccenda pare essere ben più grave e di certo non isolata. Aggressioni più o meno violente nei confronti di persone in preghiera sono avvenute in tutta l'India. Solo nel 2021, sono stati registrati casi di gruppi di estremisti indù che hanno ripetutamente disturbato le preghiere del venerdì nelle piazze di Gurugram, città satellite di Delhi. Non molti giorni fa, a Delhi un agente di polizia è stato addirittura sospeso per avere picchiato un musulmano che pregava prostrandosi a terra su un marciapiede.

Alla luce di ciò, appare chiaro un fatto: il problema è tutt’altro che Occidentale. L’altro, il diverso, fa paura e deve essere respinto, marginalizzato e, se possibile, annientato, senza prendere mai pienamente coscienza del fatto che l’altro non è che il riflesso di un sé nato in qualche altra parte del mondo e, dunque, portatore sanissimo di culture e tradizioni diverse.

Come distruggere l’ormai atavico “casa mia, regole mie” è cosa assai ardua e, a ben vedere, pare che i governi mondiali non se ne stiano curando. Al contrario, l’impressione è che, negli ultimi tempi, il vento stia strumentalmente soffiando sul fuoco delle divisioni perché, si sa, un mondo diviso e in guerra è più facile da governare. 

Eppure, basterebbe guardarci da poco lontano, tutte e tutti, su questa sfera che galleggia nel vuoto chiamata convenzionalmente Terra, per capire che i Vannacci del mondo sono sulla strada ostinatamente sbagliata.