“La richiesta di posticipare l’evento dal titolo “J’accuse: conferenza sulla questione palestinese” si colloca in un più generale clima sociale e politico di controllo e di preoccupazione che sembra voler censurare ogni forma di protesta, ogni forma di critica”.
Inizia così, senza mezzi termini, la lunga lettera aperta firmata dal ‘Comitato estensore antropologi per la Palestina’ e rivolta all’Università di Siena in merito alla conferenza organizzata dall’associazione studentesca Cravos in occasione del primo anniversario del 7 ottobre.
I professori portano avanti una lucida e puntuale analisi antropologica, che si pone in contrapposizione alla decisione, tutta istituzionale, dell’Università di spostare la data della conferenza, precedentemente non solo approvata ma anche finanziata da bando universitario.
L'Università tra censura e sostegno, un anno difficile
“Non sarà certo l’ultimo tentativo di silenziare una parte della comunità accademica che, come ricordano bene le studentesse e gli studenti di Cravos, è assai più ampia dei suoi organi istituzionali – continuano gli antropologi nella lettera -. Sappiamo al contempo quanto alcuni Atenei italiani (e tra questi quello di Siena) si stiano impegnando per attivare le risorse necessarie a sostenere una accademia palestinese ormai collassata, mettendo a disposizione opportunità per docenti, ricercatori e ricercatrici e tutta la componente studentesca di Gaza rimasta senza luoghi dove fare lezione”.
Su questo punto quindi c’è concordanza con quanto affermato dal rettore Roberto Di Pietra circa l’impegno dell’Università, ma è praticamente l’unica concessione fatta dai professori in due lunghe pagine: “In questo anno accademico è stato particolarmente faticoso organizzare dibattiti, seminari, conferenze, giornate di studio, laboratori, cicli di lezioni in cui fosse possibile analizzare l’impatto della sistematica violenza e delle politiche di disumanizzazione realizzate da quella che viene narrata dai media come la sola democrazia in Medio Oriente – è l’attacco -. E si vuole a forza iscrivere l’evento del 7 ottobre nella storia dell’antisemitismo o addirittura, in forme ancora più grottesche, dei pogrom, anziché in quello del colonialismo di insediamento. La strategia usata nelle Università per mettere in difficoltà i gruppi che organizzano simili eventi è sempre la stessa: autorizzare in prima battuta, per poi ritirare a ridosso dell’evento l’autorizzazione concessa, la disponibilità dell’aula. L’Ateneo di Siena, in questo caso, non si è distinto in originalità, nella consapevolezza che chiedere di posticipare un evento con ospiti internazionali significa di fatto rendere l’evento irrealizzabile in ragione degli impegni che i relatori e le relatrici avevano già preso”.
L’appello di Albanese e Pappè: contro la censura, per l'educazione critica
Dopo aver ricevuto la notizia erano infatti stati gli stessi relatori Francesca Albanese, inviata speciale dell’Onu nei territori occupati e Ilan Pappè, storico israeliano di fama internazionale, a chiedere formalmente al rettore di tornare sui suoi passi e concedere la conferenza, sottolineando “l’importanza di continuare a educarci, superando le mistificazioni della propaganda politica e le narrazioni disumanizzanti”.
“L’accenno alla mistificazione della propaganda politica è prezioso non solo perché ricorda quello che è in fondo la sola ragione invocata dal Senato accademico per revocare l’autorizzazione – fanno presente gli antropologi dell’Università di Siena -, ma soprattutto perché abbiamo già ascoltato sugli organi di stampa o in televisione alcuni politici ridurre l’evento a puro folklore, attaccando studentesse e studenti per aver immaginato un momento finale di “danze palestinesi”. È davvero inquietante, e triste, che il senso di questo incontro sia stato strumentalmente banalizzato a questo profilo”.
Ripristinare la libertà accademica: un invito al dialogo e alla riflessione
Di qui la necessità di ridare libertà agli studenti e la richiesta esplicita al rettore di tornare sui suoi passi e concedere la conferenza per il 7 ottobre, data simbolica in cui è più che necessario svolgere una riflessione sul conflitto israelo palestinese, specialmente nelle università.
“Sta a noi antropologhe e antropologi ricordare che i significati di un determinato comportamento o manifestazione culturale non possono essere attribuiti dall’esterno, a meno di non voler ridurre l’evento a un mero rapporto di forza – concludono i professori nella lettera. Auspichiamo che il Rettore dell’Ateneo di Siena ripensi a quanto è stato deciso dal Senato Accademico, restituendo all’Università la libertà di pensiero e di parola che ne dovrebbero definire la natura, e scelga la via del dialogo e del rispetto evitando strumentalizzazioni oltre modo rischiose in questo momento storico”.