Assistente materna? "Quando ho letto la notizia ci sono rimasta malissimo, come tutte noi. Leggere che si vogliono stanziare dei fondi per una nuova figura è veramente assurdo". A parlare è Carmen, ostetrica della Campania.
Come lei tante altre professioniste sanitarie, allarmate dall'annuncio del governo di voler finanziare, a partire dal 2024, una nuova professione, deputata ad accompagnare le madri nei primi sei mesi di vita del neonato, rispondendo al telefono, in videocall, o direttamente a domicilio alle loro necessità. "I compiti di questa nuova figura sono quelli previsti per un ruolo che già esiste. Garantito gratuitamente dal servizio nazionale. Ruolo che si assume dopo anni di studi e tirocinio, quindi non con un semplice corso di formazione", le fa eco la collega toscana Agnese.La protesta delle ostetriche
"Non capisco perché creare una nuova figura quando ce n’è una valida che non viene sfruttata e valorizzata al meglio delle sue competenze. Che non si utilizzano solo al momento della gravidanza e del parto ma anche prima e dopo, nel puerperio, per la neo mamma e per il neonato nei primi mesi di vita". Proposte come quella avanzata in questi giorni dal governo Meloni, però, non sono nuove. Qualche anno fa c’era la Doula, anch'essa figura che accompagnava a domicilio la donna. Le professioniste sanitarie, nella loro protesta, non si dicono contrarie però alla novità, piuttosto si richiamano ai problemi esistenti. "Io posso anche avviare un professione nuova – dice Carmen – ma solo quando ho una rete sanitaria che funziona benissimo e voglio integrarla con un approccio domestico. Ma qui il problema è alla base: la donna ha un vuoto assistenziale incredibile, a volte viene persino definita ‘un serbatoio’ dopo il parto. Non c’è supporto sanitario in puerperio, c’è solo il pediatria che si dovrebbe occupare della patologia, mentre al piano psicologico dovrebbe pensare l’ostetrica. Siamo arrabbiate, è assurdo". Un diritto che molte future mamme non sanno di avere quando vanno in ospedale, in una casa maternità, in una clinica per partorire o comunque per essere seguite in gravidanza. E spesso sono costrette a cercare una rete di supporto, dopo il parto, che il sistema non riesce a garantire loro.Più che una lamentela, quella delle due ostetriche portavoci di una protesta comune vuole essere uno stimolo ad agire diversamente: "Iniziamo a creare una rete territorio-ospedale, iniziamo a fare iniziative locali, ad assistere la donna in allattamento, ad ascoltare attivamente i bisogni di mamme e papà.
Dobbiamo lottare affinché questi soldi vengano dati alle figure competenti. Altrimenti la donna non si sentirà mai supportata".
I fondi: "Andrebbero indirizzati a colmare i vuoti esistenti"
Il senso del messaggio che lanciano è chiaro: se già c'è una figura incaricata, perché il governo vuole finanziare la creazione di una nuova? Soprattutto perché non si tratta di poche migliaia di euro: si si parla di 100/150 milioni di euro… "Non ha senso spendere soldi così. Potenziamo piuttosto i consultori, diamo una reale assistenza a madri e figli anche dopo il parto – spiega ancora Agnese–. Ci sono dei corsi per diventare ostetrica di famiglia e di comunità, che corrisponde in pratica al nuovo ruolo che il governo vuole istituire. Purtroppo le assunzioni sono poche, già è difficile coprire i turni per chi lavora e con i tagli si è andati a ridurre ulteriormente la presente sul territorio". Un problema ben noto, quello della carenza di personale negli ospedali, che si accentua ancora di più nei presidi territoriali. "È chiaro che se io faccio 12 notti in un mese quell’assistenza non la riesco a garantire con tutte le mie forze, come avrebbe invece il sacrosanto diritto di ricevere – aggiunge la collega campana –. Il supporto one-to-one andrebbe sempre fornito, ma purtroppo la figura ostetrica è carente su tanti fronti. Dovrebbe andare anche nelle scuole, per parlare di educazione sessuale invece di lasciarla 'ad personam'; dovrebbe spiegare ai più giovani delle prime esperienze, del rapporto con il proprio corpo, dell’interazione con l’altro, della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili".Il codice deontologico
Assistere la donna durante tutto il periodo della gravidanza, "stando al nostro codice deontologico, secondo la legge 42/1999 (Disposizioni in materia delle professioni sanitarie) insieme al profilo professionale (legge 740/1994), fa parte della nostra prestazione", afferma ancora Carmen.
Si parla di leggi, dunque, non di pensiero personale della singola operatrice.
"Il punto 2 del codice, sui principi generali, definisce proprio i rapporti con la persona assistita: l’ostetrica garantisce la continuità assistenziale, accompagnando e prendendosi cura della donna, della coppia e del nascituro durante gravidanza, travaglio, parto e puerperio, al fine di garantire la salute globale.
L’assistenza da parte delle ostetriche in questo periodo così delicato (l’esogestazione – nella fattispecie i 9 mesi dopo il parto, anche se il periodo fissato dal governo si ferma a sei) dovrebbe essere garantita a tutte le donne.
"Qui c’è un’altra cosa che non mi è piaciuta, che si parla sempre dell’assistenza alla madre, ma in realtà attorno al bambino c’è una rete bio-psico sociale, e con lui nascono una mamma, un papà, uno zio, una nonna… ruoli sociali che a loro volta devono avere un supporto.
È importante parlare di sostegno al nuovo nucleo familiare, alla rete che gravita intorno alla famiglia stretta".
La depressione post partum
Stando all'annuncio dell'esecutivo l'assistente materna dovrebbe anche supportare le madri nella depressione post partum, secondo Agnese "una scelta sbagliatissima perché questa condizione va affrontata con dei professionisti formati.
In consultorio c’è un team di psicologi adibito a questo tipo di problematiche, non ha senso che se ne occupi una persona che non ha le competenze adeguate”.
“Considera che il primo trimestre, nell’esogestazione, è definito caos. Così come il primo trimestre della gravidanza. Non è un caso, ci sono squilibri biochimici, relazionali, sociali programmati affinché si possa creare una nuova figura", prosegue Carmen.
"Questo caos è biologicamente previsto perché si attivino delle risorse, degli strumenti di empowerment nella donna. Nel momento in cui questo non è supportato da una figura competente, in grado di riconoscere e far emergere le potenzialità della donna, del papà e del bambino, il caos diventa depressione.
Ma spesso c’è una carenza gravissima: la donna è tenuta in una campana di vetro quando è incinta, dopo la priorità diventa il bambino, ci si dimentica di lei, dei suoi bisogni, dei suoi timori e della necessità di riprendersi da questo vissuto.
Per questo, secondo me, va prima di tutto colmata l’assenza di figure di sanitarie riferimento deputate a questo compito, non istituita un’altra professione”.