Autismo, cosa deve e non deve fare un insegnante: "Serve impegno e passione"

Rosaria Molteni, insegnante di scuola media, racconta la sua esperienza con il disagio, la disabilità e l'autismo. Sul suo lavoro ha le idee chiare: "Solo chi ha competenze relazionali può considerarsi un vero insegnante"

di CLAUDIA CANGEMI -
14 ottobre 2023
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L'esperienza scolastica di Alma, ragazza con una severa forma di autismo di cui si è parlato su Luce!, alle scuola media è diventata un libro. La sua insegnante di Lettere, Rosaria Molteni, ha infatti pubblicato nel 2008 “Aprire la porta”, un “diario di bordo” di tre anni scolastici “per dimostrare che la diversità può essere per tutti una risorsa e non un limite”.

A distanza di 15 anni, Rosaria non ha certo rinunciato a impegnarsi per “fare la differenza”. Andata in pensione nel 2017, continua a collaborare all'interno della scuola e al di fuori per aiutare gli studenti stranieri o con disagio sociale a superare le difficoltà linguistiche e relazionali.

Ha scritto anche altri due libri, “Il cielo racconta…” i cui proventi sono andati a favore di un progetto per adolescenti attuato dall’ospedale Bassini e “Sono nata con gli occhi a stella”, biografia a 4 mani di una ragazza con la sindrome di Williams. Se non bastasse, tiene corsi di letteratura all'Università della terza età di Cinisello Balsamo (Milano). E sulla scuola ha parecchio da raccontare.

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Rosaria Molteni, insegnante di Lettere in provincia di Milano

Disabilità e integrazione scolastica

Partiamo da Alma: perché ha voluto scrivere un libro su quella esperienza?

Non volevo cadesse nel silenzio un'esperienza scolastica o meglio di vita così significativa, ma ne rimanesse una traccia scritta, a testimonianza che è possibile realizzare l'integrazione sociale delle persone diversamente abili. Una sfida vissuta nello stillicidio della quotidianità scolastica, tra dubbi e certezze, delusioni e speranze, difficoltà e conquiste, ma con l'impegno costante ad andare avanti esplorando nuove strade.

Alma è riuscita, nei limiti delle sue possibilità e nonostante la gravità del suo handicap, a integrarsi con i compagni, a imparare, a partecipare a uscite didattiche e a gite di più giorni. E credo che i nostri sforzi abbiano migliorato la qualità della sua vita. Conoscerla e relazionarsi con lei (sotto la guida attenta degli insegnanti) ha anche arricchito i suoi compagni, rendendoli più sensibili e consapevoli”.

Cosa pensa serva per realizzare l'integrazione dei ragazzi disabili?

“Prima di tutto impegno e passione. Nella mia lunga vita professionale, di fronte al disagio grave ho visto tanti colleghi reagire con atteggiamenti di paura o peggio di resa. Ebbene, è troppo facile lavorare con quelli bravi. Io credo invece che chi sceglie questo mestiere debba accettare la sfida contenuta nell'articolo 3 della Costituzione:

'Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese'”.

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Sono diverse migliaia ogni anno i bambini dell’asilo nido e della scuola dell’infanzia con disturbi dello spettro autistico (ASD)

Pari diritti e pari dignità

E non c'è solo la disabilità a creare disagio sociale...

“Infatti. Ci sono ragazzi che arrivano nel nostro Paese senza sapere una parola di italiano, magari dalla Cina o dai Paesi arabi. E non si possono trascurare traumi e malesseri dovuti alle esperienze vissute e alle difficoltà familiari. Anni fa ho avuto un alunno marocchino. Era pieno di rabbia per essere stato costretto dai genitori a lasciare il suo Paese e venire in Italia e ben presto il suo disagio si era trasformato in devianza.

Non è stato facile, ma siamo riusciti a stabilire un'alleanza tra dirigente, insegnanti, servizi sociali e famiglia: quel ragazzo che sembrava una 'causa persa' è invece riuscito a inserirsi con soddisfazione in un percorso professionale dai Salesiani di Arese. Suo padre, che all'inizio non nascondeva la sua diffidenza e ostilità nei nostri confronti, alla fine mi ha detto: 'Tu per me sei come una sorella'. Queste sono soddisfazioni che non si dimenticano”.

La repressione non basta, serve educazione

Che cosa pensa di come si sta affrontando l'emergenza educativa di Caivano?

“Credo che la repressione non basti e non sia efficace nel medio periodo. Bisogna agire sull'educazione. Il mio faro come insegnante è sempre stato don Milani. Nelle situazioni più gravi e difficili devono essere messe in campo le risorse migliori: gli insegnanti più validi, preparati e motivati. Sono quelli a poter fare la differenza, cambiando la prospettiva anche rispetto alle famiglie. L'alleanza educativa per il benessere dei ragazzi dev'essere l'obiettivo”.

E come si può migliorare la qualità professionale dei docenti?

“Attraverso la formazione psicopedagogica (ancora troppo spesso considerata un aspetto secondario) e la formazione continua. Solo chi ha competenze relazionali e sa trasmettere la passione per la sua materia e la conoscenza in genere può considerarsi un vero insegnante.

Troppi sono invece quelli che non hanno scelto questo lavoro, e lo fanno per ripiego in mancanza d'altro. Queste persone non sono solo inutili ma fanno danni, e dovrebbero essere allontanate. Ho sentito tante volte la frase: “Ha avuto (o più spesso non ha avuto) la fortuna di trovare un buon insegnante'. Non dovrebbe trattarsi di una questione di fortuna, ma piuttosto di un diritto per tutti, nella scuola pubblica”.

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Cosa risponde a quanti affermano che l'inserimento di alunni disabili rischia di frenare l'intera classe?

“Che non è vero: io ho avuto alunni disabili nelle mie classi, che si sono spesso classificate ai primi posti nelle prove Invalsi. Io sono sempre stata rigorosa e non ho mai trascurato i programmi. Certo è importante anche avere un valido e preparato insegnante di sostegno, che non cambi tutti gli anni. E poi ci vuole un confronto costante e una vera alleanza educativa tra i dirigenti, il gruppo degli insegnanti e le famiglie, tutti dalla stessa parte della barricata.

Un insegnante deve essere in grado di lavorare su diversi livelli: preparare adeguatamente i ragazzi che vogliono andare al liceo, senza trascurare o lasciare indietro quelli che invece pensano a un percorso professionale. E aiutare chi ha maggiori difficoltà (per disabilità o disturbi dell'apprendimento o disagio sociale) a trovare ed esprimere il meglio di sé. È un lavoro impegnativo?

Eccome! Ma offre grandi soddisfazioni in cambio. Inoltre, come ho già accennato il rapporto con un compagno disabile è un elemento di maturazione importante per i ragazzi. Date e nozioni si scordano in fretta, ma un'amicizia speciale no”.