Monaco è solo l’ultima tappa dell’operazione trasparenza sulla pedofilia nella Chiesa. Prima del report voluto dall’arcidiocesi bavarese, che ha gettato ombre sul ministero di Joseph Ratzinger, è stata la volta delle comunità ecclesiali irlandese, di Colonia e francese. Tutte iniziative promosse dai corrispettivi vescovi anche a costo di suscitare scandali e scossoni interni. Solo in Italia e Spagna tutto tace. Gli episcopati si mostrano ancora piuttosto contrari a un’ipotesi d’indagine puntuale sull’infamia degli abusi. Come se le 227 diocesi italiane fossero immuni da una piaga su cui il Papa non vuole insabbiamenti al punto da prescrivere la rimozione di vescovi negligenti nella gestione dei casi di pedofilia (motu proprio Come una madre amorevole, 2016).
"Serpeggia nell’episcopato, da un lato, l’idea sempre più infondata che l’Italia sia al riparo dal problema, grazie a un’identità cattolica del Paese, per la verità ormai solo di facciata, e, dall’altro, si avverte il timore per le possibili conseguenze derivanti dal portare a galla gli abusi – spiega Paola Lazzarini, sociologa e promotrice del network cattolico Donne per la Chiesa, che ha raccolto circa 2mila firme per chiedere un dossier sul modello francese –. Far emergere i casi non solo crea difficoltà sul piano dei rapporti con la magistratura civile, anche se oggi i chierici hanno l’obbligo morale di denuncia, ma riaccende interrogativi sulla formazione, il celibato e la sessualità dei preti". Non a caso Jean-Claude Hollerich, arcivescovo del Lussemburgo e presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Ue, in risposta al report di Monaco, afferma che "la formazione del clero deve cambiare" e che "bisogna mutare il nostro modo di vedere la sessualità". Resta il fatto che la Conferenza episcopale italiana resiste nel suo 'no' a un’inchiesta interna. Fanno testo le recenti parole del presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti: "È pericoloso affrontare la piaga della pedofilia con delle statistiche". Tuttavia, il pressing sull’episcopato per un’indagine, con successivo dossier, si fa sempre più incalzante. Da ultimo è intervenuto padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Gregoriana, che stima un 3-5% di preti pedofili.
Il fatto che ad oggi non ci sia un’esplicita volontà della Cei a fornire i numeri dei casi di pedofilia non significa che nell’episcopato non sussista un dibattito interno anche alla luce di due appuntamenti chiave: le prossime elezioni del nuovo presidente, previste per l’assemblea generale di maggio (tra i favoriti ci sono l’arcivescovo di Modena, Erio Castellucci, e il cardinale Paolo Lojudice di Siena, entrambi molto sensibili al tema), e l’inedito cammino sinodale intrapreso l’ottobre scorso dalla Chiesa italiana, teso a favorire un dialogo anche coi lontani, ma che, partito in sordina nelle diocesi, rischia di pagare dazio proprio alla voce credibilità. Nel consiglio permanente, il parlamentino della Cei, qualcosa si sta muovendo in tema di pedofilia. Crescono i favorevoli a un’indagine. "Credo e auspico che in futuro si possa arrivare, sulla base di un coordinamento della presidenza, alla stesura di report su base diocesana – dichiara il vescovo Derio Olivero, ordinario di Pinerolo e ministro della Cei per il Dialogo –. È vero, in passato ci sono state tra i presuli delle resistenze, ma ora sta maturando sempre più la consapevolezza di una necessaria trasparenza. Ogni diocesi oggi ha una sua commissione preposta alla prevenzione degli abusi, alla formazione del personale e alla raccolta delle denunce. Andiamo avanti con questo lavoro, partiamo da qui soprattutto per prevenire le violenze".