Sono giorni di
lutto, dolore, indignazione. Sono giorni di rabbia verso le vite spezzate – troppe – di giovani donne il cui futuro è stato stroncato da quelli che avrebbero dovuto rappresentare “
gli uomini della loro vita”. Fidanzati, padri, mariti, ex… Comunque un uomo che invece di dimostrarsi un punto di riferimento ha finito col trasformarsi in un drammatico punto di approdo. E i nomi delle
giovani vite brutalmente interrotte dalla mano di chi diceva di amarle si sprecano nei titoli di giornale di questo periodo che ci separa dalla
Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, il prossimo 25 novembre.
Giulia Cecchettin – tra le ultime in termini temporali –
Michela Noli, Elisa Amato,
Saman Abbas e molte altre, andando neanche troppo indietro nel tempo. Anime che chiedono sia fatta giustizia, non solo rispetto ai propri carnefici, ma nell’esempio che loro malgrado hanno rappresentato, in una
società ancora impreparata, per molti aspetti e in certi suoi angoli bui ancora
troppo patriarcale. Una società che non ha saputo difenderle.
L'identikit dell'uomo violento: come riconoscere la possibile minaccia
Angelo Capasso, psicologo psicoterapeuta di Unobravo
Proprio nella speranza di apportare il nostro contributo alla causa contro la lotta alla violenza in ogni sua forma, oggi
Luce! propone un approfondimento insieme al dottor Angelo Capasso, psicologo psicoterapeuta a orientamento sistemico-relazionale del gruppo di Unobravo, per tracciare insieme a lui il
profilo psicologico dell'uomo violento - spesso impropriamente chiamato
uomo lupo, in un paragone non certo lusinghiero col povero animale - di cui è bene imparare a riconoscere i segni comportamentali.
Dottor Capasso, in base alla sua esperienza professionale, quale potrebbe essere l’identikit dell’uomo che rappresenta una minaccia? "La
violenza di genere è un fenomeno trasversale e permeante la società, ragione per cui diventa difficile delineare un profilo univoco e rintracciare caratteristiche condivise dagli autori di certe azioni. Nel lavoro terapeutico con i
perpetrator mi è capitato di ascoltare nelle loro storie di vita situazioni simili, come l’essere cresciuti in una
cultura patriarcale in cui si veicolano disparità di genere e ruoli di genere stereotipati, oppure ricordare - e ancora più spesso non ricordare - vissuti di violenza assistita e/o subita, oltre talvolta ad una mancanza di un contenimento emotivo. Dunque aspetti differenti che vanno dall’intra-psichico all’inter-personale, dal familiare al socio-culturale, perché la violenza non può essere riconducibile solo a un tratto o a un comportamento. Forse, a prescindere dall’estrazione sociale e dal profilo di personalità, un fattore che hanno in comune tutti questi uomini è il
diniego, meccanismo di difesa per cui l’autore di violenza nega a sé stesso prima ancora che agli altri l’atrocità delle azioni commesse, perché vivere con una consapevolezza simile risulterebbe così angosciante da mettere in discussione la sua stessa identità".
Secondo Capasso non esiste un profilo univoco dell'uomo violento, ma un fattore che hanno in comune tutti è il diniego (immagine di repertorio)
Perché questo tipo di individuo sente il bisogno di usare la violenza? “Più che un vero e proprio bisogno, quando un
perpetrator commette un comportamento violento contro la partner sta agendo una resa a emozioni insostenibili per lui. Alcuni uomini hanno necessità di
mantenere il controllo perché sentono che la loro autorità è messa in discussione; altri cercano di creare dipendenza perché
temono che movimenti di autonomia della partner possano sfociare in abbandono; altri ancora reagiscono con aggressività alle critiche, perché il loro costrutto identitario è messo in discussione; per alcuni i sentimenti provati generano una condizione così patologicamente fusionale e totalizzante che l’idea di perdere l’altra equivale a perdere sé stessi. Ci sono dunque dei nuclei di fragilità che non sono però giustificazioni per le loro azioni, nonostante siano spesso inconsapevolmente ammesse dalla cultura patriarcale, humus di questi comportamenti. Ecco perché, dopo la messa in sicurezza delle vittime, il non facile lavoro clinico con il perpetrator ha sempre come obiettivi il riconoscimento e la consapevolizzazione delle dinamiche agite e la conseguente assunzione della responsabilità dei gesti, frutto sempre delle scelte che essi compiono".
I campanelli d'allarme
Esistono degli atteggiamenti predittivi che possono allertare le donne e permettere loro di riconoscere preventivamente soggetti pericolosi? "Purtroppo non siamo abituati ed educati a riconoscere quegli elementi relazionali che sono prodromi di violenza. A volte camuffati da ideale romantico dell’amore, che nella realtà ha ben poco di romantico e ancor meno di amoroso, questi elementi sono piuttosto riconducibili a un sentimento di possesso.
Comportamenti gelosi che si vestono da piccole, lusinghiere, gelosie ma che via via diventano pretesa e controllo si possono rintracciare già in frasi che forse tutte hanno sentito almeno una volta: 'Perché non hai risposto al telefono? Con chi eri?', 'Io sono l’unico che ti capisce', 'Non troverai mai nessuno che ti ami quanto ti amo io', 'Vuoi davvero uscire vestita così?'".
Il comportamento geloso nasconde un bisogno di controllo sulla partner
Che tipo di vittima viene prediletta solitamente? "Come non esiste un prototipo del
perpetrator, è altrettanto difficile definire quello della vittima. Spesso si tratta di donne che all’interno di quella relazione sentono di non avere via d’uscita, come se avessero sviluppato la credenza che non ci fossero alternative. Frequentemente le dinamiche della violenza si innescano con gradualità e avvengono con un ritmo circolare, in spirali la cui gravità aumenta a ogni nuovo ciclo. La dinamica del ciclo della violenza prevede una prima fase crescente di tensione caratterizzata da conflitti verbali accessi, liti, minacce, ricatti. Una vera e propria escalation che porta alla fase del maltrattamento, con comportamenti gravi come spintoni e percosse che diventano più pericolosi a ogni nuovo ciclo. A questa fase segue la cosiddetta 'luna di miele', in cui i partner agiscono meccanismi riparativi: l’uomo promette di fare di tutto per cambiare e la donna accetta di perdonarlo, ridimensionando il problema della violenza e considerandolo un’eccezione: purtroppo questa situazione sarà solo il preludio a una nuova fase della tensione".