Il film di Cortellesi parla di noi, ieri e oggi, ma per fortuna c'è ancora domani

Sorrisi amari, lacrime, rabbia, consapevolezza. Il film di Paola Cortellesi è una montagna russa di emozioni. Lo abbiamo visto anche noi, come potevamo non farlo. Ecco la nostra umile recensione

di CHIARA CARAVELLI -
12 novembre 2023
Paola Cortellesi in C'è ancora domani

Paola Cortellesi in C'è ancora domani

Un sonoro schiaffo in faccia. Comincia così "C’è ancora domani", primo film di Paola Cortellesi come regista, fresco del premio “Biglietto d’Oro” con 11 milioni di incassi a poco più di due settimane dalla sua uscita.
La mano che dà il ceffone è quella di Ivano, interpretato da Valerio Mastandrea, violento marito di Delia, che senza motivo "le ricorda qual è il suo posto" appena apre gli occhi. Il gesto, appunto senza senso e spietato, colpisce in faccia anche lo spettatore, che dal minuto 1 pensa: "Ma la Cortellesi non dovrebbe fare ridere?".
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“Biglietto d’Oro” con 7 milioni di incassi

La trama (spoiler leggero)

Siamo a Roma, quartiere Testaccio, nel maggio del ‘46. In città ci sono ancora truppe di Alleati che pattugliano le strade e nell’aria si respira l’aria di cambiamento. Tra pochi giorni è in programma il referendum istituzionale, dove gli italiani saranno chiamati alle urne per decidere tra Monarchia e Repubblica e si voterà l’Assemblea costituente.
La pellicola è in bianco e nero e la scelta di Cortellesi è perfetta per rendere bene l’ambientazione di quegli anni. La Delia della regista romana è sposata con Ivano e insieme hanno tre figli: l’adolescente Marcella e due figli piccoli, che dopo la scuola passano le giornate a rincorrersi, picchiarsi e dire parolacce.
Nei primi minuti in cui viene presentata la famiglia, si vede Marcella aiutare la madre con la colazione, lei che a scuola non è mai potuta andare perché obbligata dal padre a trovarsi un lavoro (e contribuire alle scarse entrate familiari che l'uomo si premura di sperperare, andando "a donnacce" come ricorda proprio la figlia in un passaggio del film).
In una stanza della casa, perennemente sdraiato a letto, c’è anche Ottorino, il burbero suocero di Delia a cui è costretta a fare da infermiera, tra un impegno e l’altro.

Delia (Paola Cortellesi) e Ivano (Valerio Mastandrea) in una scena del film

Per aiutare economicamente il marito, la protagonista svolge infatti tanti piccoli lavoretti. Delia si occupa della casa, dei figli e di Ivano. Esce la mattina dopo tutti i suoi familiari e la vediamo andare al mercato, dove l’amica Marisa, interpretata da una meravigliosa Emanuela Fanelli, le fa da unica confidente e amica sincera, tra un sedano regalato e un altro.
Durante la giornata, Delia fa la sarta e rammenda calze e reggiseni, lavora in un negozio di ombrelli (e viene pagata meno dell’apprendista maschio), fa l’infermiera a domicilio per ricchi borghesi. Poi torna a casa, dove consegna tutto ciò che ha guadagnato a Ivano che, neanche a dirlo, la rimprovera perché non si è procurata abbastanza denaro.
Nel tragitto verso la sua abitazione, però, la vediamo prendersi poche banconote dal portafoglio e mettersele da parte, per cosa ancora non lo sappiamo.

La bramata indipendenza economica

Oggi, 77 anni dopo, sappiamo che l’autonomia economica è uno degli elementi fondamentali che permettono alle donne di affermarsi e di vivere libere in un mondo di stampo patriarcale, dove il gender pay gap è ancora molto ampio.
E se da un lato lo spettatore si trova a ridere di dinamiche che oggi vengono considerate “assurde”, dall’altro rimane con l’amaro in bocca perché, in tante realtà, le cose non sono poi così cambiate. Le donne continuano a fare più lavori domestici degli uomini e a lasciare le carriere per dedicarsi ai figli.

Cortellesi parla a noi, di noi

In tutti i 118 minuti di film, che passano leggeri e senza intoppi, è impossibile non chiedersi "Ma sta parlando di noi?". A un certo punto, il suocero di Delia parla in privato con Ivano e gli dice: "Non puoi picchiarla tutti i giorni, se no quella si abitua. Devi farlo di tanto in tanto, ma forte, così impara a tenere la bocca chiusa". Anche perché dopotutto Delia "è una brava donna, ma ha un difetto: parla troppo"
La parola, esatto. Infastidisce, fa paura, può mettere nei guai, crea nemici, ma è puro potere, è libertà, è riconoscimento, è affermazione di sé. Lo dimostra la stessa Delia che, "zitta zitta", si riprende i suoi spazi, i suoi diritti. Lo dimostra il film, che silenziosamente si insinua in noi e ci rimane dentro.
E lo dice chiaramente la canzone di Daniele Silvestri in chiusura del film:
E senza scudi per proteggermi né armi per difendermi Né caschi per nascondermi o santi a cui rivolgermi Con solo questa lingua in bocca E se mi tagli pure questa Io non mi fermo, scusa Canto pure a bocca chiusa

Tratto da storie vere e ancora attuali

Delia viene picchiata per sciocchezze e giustifica il marito dicendo: "È molto stressato, ha fatto due guerre". La battuta, ripetuta diverse volte durante il film, ottiene lo scopo di far ridere per quanto è assurda, ma il messaggio che veicola è molto crudele e attuale.
Quante donne vivono tutti i giorni situazioni simili, non denunciando le violenze subite per paura di ripercussioni o per mancanza di fiducia nelle istituzioni.
Cortellesi alterna sapientemente momenti divertenti a scene drammatiche, che però paradossalmente fanno sorridere lo spettatore, scatenando un po’ il suo senso di colpa. Trattare di certi temi in modo così delicato non è da tutti e, forse, era l’unico modo per arrivare a un pubblico così vasto.
Come dice il titolo della pellicola, C’è ancora domani è un film di speranza, che però porta a una riflessione sulla nostra società, sulle battaglie che dobbiamo continuare a portare avanti e su tutte le Delia che ancora ci sono là fuori.