Scrittrice, sceneggiatrice, insegnante di scrittura creativa. Sono solo alcuni dei modi in cui si può definire
Carolina Capria. Autrice di libri per bambini e ragazzi, ma molti di voi probabilmente la conosceranno per la pagina social di
“L’ha scritto una femmina”, dove parla di parità di genere nel campo della letteratura. Una tematica ancora tutta da scoprire, come quella del consenso. All'interno di questa pagina, poi, raccoglie da un po' di tempo le storie e le testimonianze di donne che hanno subito violenze, abusi, molestie. Sono migliaia e continuano ad arrivare. Sono diventate in questi mesi una specie di "manifesti" delle varie battaglie portate avanti da Non una di Meno,
usate per tappezzare le città come chiara e tangibile prova che tutte le donne, almeno una volta nella vita, subiscono o hanno subito molestie o violenze di varia natura e gravità.
Chi è Carolina Capria
Chi è Carolina Capria e perché fa quello che fa? "Sono una scrittrice. Mi occupo perlopiù di letteratura per bambini. Mi sono sempre interessata al tema della parità di genere anche solo relativo alla scrittura. La questione è sempre entrata nei miei libri e con il tempo ne ho parlato sempre di più, anche confrontandomi con i bambini. E' da lì che si deve partire per cambiare la società. Noi, invece, siamo spesso manchevoli di risposte e di strumenti e la cultura risente molto del gap culturale, le donne le leggiamo poco e le ascoltiamo poco"
Come si affrontano certi temi con i bambini? La difficoltà è forse più nostra, di noi adulti, che loro? "I bambini hanno il senso di giustizia, e quindi di ingiustizia, più sviluppato. Non esistono argomenti che non possono essere trattati e anzi loro li vedono molto più lucidamente di noi. Quando ho parlato con i bambini delle scuole elementari di discriminazione di genere, di
gap economico, sono insorti per questa ingiustizia, hanno chiesto a tutte le maestre se i loro stipendi erano più bassi. Alcune cose non le sanno, non sanno che mondo abitano, non gli sono state spiegate, ma poi si incuriosiscono. Non hanno
sovrastrutture e ci arrivano senza paura di mettersi in discussione".
L'educazione affettiva e il consenso nelle scuole
Perché non riusciamo a farlo in modo sistematico? "Perché abbiamo paura di creare
uomini e donne libere, sono gli adulti che hanno paura. Spesso a osteggiare sono proprio i genitori che non vogliano che si raccontino certe cose ai bambini, perché viviamo ancora in un paese che crede che alcune tematiche non debbano riguardare l'infanzia e che stare dentro ai margini sia la cosa giusta. Molti genitori preferiscono tarpare le ali, perché è molto più facile incasellare e far crescere i propri figli "dentro i limiti" prefissati, invece che farli vivere in un mondo dove possono essere tutto quello che vogliono. In realtà, e per fortuna, ci sono insegnanti che fanno già
educazione affettiva, quindi stiamo parlando di rendere istituzionale qualcosa che già esiste".
I volantini attaccati da Non Una di Meno per le vie di Firenze
Violenze, molestie, abusi: è capitato a tutte
Ad un certo punto la sua pagina Instagram è diventata una sorta di diario. Ha iniziato a raccogliere storie di donne vittime di violenze e molestie. Com'è nata questa cosa? "È successo per caso, come la maggior parte delle cose della mia vita. Credo dipenda dal fatto che la nostra coscienza sia diventata oggi più sensibile a certi temi, gli eventi di cronaca ci scuotono di più. Ce ne siamo accorti con il femminicidio di
Giulia Cecchettin e lo
stupro di Palermo. Sono partita, quindi, dal messaggio di una ragazza che mi raccontava che durante un viaggio in macchina con la nonna e la mamma, si erano trovate ad ammettere di aver subito tutte violenze o abusi almeno una volta nella vita, non ce n'era una che non l'avesse subita. Condividendo questa esperienza ho riflettuto a voce alta sul fatto che effettivamente anche io non conosco nessuna donna che non abbia subito una molestia o una violenza, di gravità diverse ovviamente. O donne che magari l'hanno riconosciuto a distanza di decenni. Dicendo questa cosa è come se avessi aperto una diga ed è successo che sono iniziati ad arrivarmi tantissimi messaggi e racconti, così tanti che ho fatto fatica a starci dietro. Così mi sono detta: io non posso non leggerle, non dare loro dignità. Quindi ogni domenica pubblico una
trentina di storie che mi arrivano. Continuano ad arrivare e ne ho tante in archivio. Ciò che ricorre è che per tutte è la prima volta che raccontano e questo mi fa sentire la responsabilità di prendermi cura di queste storie".
È riuscita a contarle? "No, so di aver pubblicato
1100 storie, ma ne ho ancora tante in archivio. Quello che ho notato, e che mi fa piacere, è che in tanti mi hanno scritto ammettendo di non sapere che fosse un fenomeno così diffuso, proprio perché le donne sono cresciute con la convinzione che fosse una loro responsabilità, per la quale vergognarsi. Tantissimi uomini mi hanno scritto dicendo di non aver idea che fosse realmente così, di fare fatica a riconoscere questo mondo. E questo fa riflettere: c'è un muro di silenzio che rende difficile la vita delle donne e la comunicazione di certe cose.
Se non ci vergognassimo, ci sentiremmo meno sole".
Di queste storie ne farà qualcosa? Un libro? "Ci sto pensando. Il tema del
consenso mi sta molto a cuore, anche perché non abbiamo ancora le idee chiarissime su questo concetto. Quindi mi piacerebbe per questo motivo. È evidente che è possibile ritrovare uno schema anche nelle molestie, perché c'è, ci sono cose che ricorrono: la maggior parte, ad esempio, viene molestata da bambina. Questo perché difficilmente si molesta una persona forte, capace di denunciare, si cerca quasi sempre la debolezza. Si ripete, poi, il peso della
vergogna, che coinvolge tutte. La maggior parte delle donne che mi hanno scritto, si sono tenute questo peso per decenni, senza parlarne neppure con le persone care".
Ma come si comporta di fronte a questi messaggi? Risponde a tutte? "A volte lo faccio, anche solo un cenno, un cuore, per far sapere che ho letto. Non sempre riesco a rispondere, a volte non so proprio cosa dire. L'unica cosa che farei sarebbe abbracciare la persona che in quel momento si sta scoprendo a me. Cosa potrei dirle? La mia voce non servirebbe a niente, se non per dire: ti sono vicina,
ti credo".
Ha detto che molte delle molestie si subiscono in età infantile. L'educazione affettiva, quindi, servirebbe anche a riconoscere la molestia "Certo. Il consenso va insegnato da bambini. In uno dei miei libri,
"Femmina non è una parolaccia", c'è un capitolo dedicato al consenso. Racconto di una bambina alla quale la panettiera tocca sempre i capelli, perché sono ricci e belli, e lei non sa come verbalizzare il suo fastidio perché le sembra brutto. Questo perché
dobbiamo imparare a dire di no a chi vogliamo bene. Dire di no a un compagno che vuole avere un rapporto, a un parente che ci tocca. Con i bambini mi è capitato di parlare tanto del consenso, cercando di far passare il messaggio che il loro corpo è il loro regno e chiunque voglia entrare deve prima chiedere il permesso. E se io non voglio dare il permesso sono legittimato a dire di no anche se ti voglio bene, non vuol dire che io te ne voglia di meno. Quindi si, bisogna partire dal consenso, insegnare a esprimerlo e a rispettarlo, insegnare ai bambini che quando ricevono un no non sono messi in discussione.
Non devono reagire male ai no, ma anzi accettarli".
L'onda travolgente del femminismo
Sabato scorso, nella Giornata contro la violenza sulle donne, abbiamo visto tantissima partecipazione nelle piazze. Si percepisce una rabbia più forte questa volta "SA volte succede che un evento diventi emblematico e si inserisca in un percorso. Il movimento femminista sta facendo un grande lavoro, Non una di Meno riesce a riempire le piazze da anni. Quest'anno di più perché il caso Cecchettin ci ha scosso tanto, abbiamo sentito l'esigenza di esserci, anche per merito della sorella. Sono ammirata dalla forza di Elena Cecchettin che ha trasformato un dolore enorme in un gesto politico, credo che questo possa essere uno scalino. Sono fiduciosa".
Oggi la parola "femminista" viene utilizzata da qualcuno in senso dispregiativo. Come mai secondo lei? Dov'è il fraintendimento? "È un fraintendimento che va avanti da tempo, un po' anche con dolo. L'idea che le femministe vogliano annientare gli uomini è evidentemente diffusa per far male alla causa, da chi appunto vuole sminuirla, delegittimarla. Basterebbe veramente poco per capire cos'è effettivamente il femminismo e cosa vuole. Vuole la parità".