Cpr paragonati ai lager: "Al di là di quella porta avvengono abusi e violenze"

L'inquietante fotografia che emerge dal report di Naga e della rete "No ai Cpr" racconta una raccapricciante sospensione dei diritti in questi centri. Eppure il governo vuole ampliarli

di CLAUDIA CANGEMI -
11 novembre 2023
>>>ANSA/ PER I CPR PROCEDURE D'URGENZA, 'OPERE DI SICUREZZA NAZIONALE'

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Il governo Meloni vuole moltiplicarli: almeno uno per ogni regione. Non solo: è di questi giorni la notizia dell'accordo con il premier albanese per realizzarne uno o due nel Paese balcanico. Sono i Centri di permanenza per il rimpatrio dei migranti, in sigla Cpr. Più che di permanenza, però, si tratta di detenzione, e delle più severe.  Per molti versi in condizioni assai peggiori rispetto alle carceri, più regolamentate e trasparenti. È quanto emerge dallo studio intitolato “Al di là di quella porta – Un anno di osservazione dal buco della serratura del Centro di permanenza per il rimpatrio di Milano”, un report-denuncia realizzato da Naga in collaborazione con la rete “Mai più lager – No ai Cpr” in un anno di paziente e difficile lavoro di raccolta delle informazioni, “ostacolato in ogni modo dalle autorità competenti”, tanto che in diverse occasioni è stato necessario ricorrere al Tar per ottenere il rispetto dei diritti garantiti dalla legge.
 
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Chi finisce nei Cpr?

“La classica raccolta dati da analizzare si è rivelata impossibile a fronte della sostanziale inesistenza di dati ufficiali disponibili, e del rifiuto delle autorità a fornire quanto richiesto”, hanno spiegato le attiviste in occasione della conferenza stampa di presentazione dello studio, un volume di 220 pagine. “Dati, testimonianze, ricerche, cartelle cliniche, accessi agli atti, accessi civici generalizzati, sopralluoghi, verifiche ci hanno permesso di intravedere ciò che avviene in un Cpr e che rendiamo oggi pubblico. Abbiamo rilevato abusi, violenze e discriminazioni in tutti gli ambiti che abbiamo investigato”. Ma chi sono le persone che finiscono in questi “gironi danteschi”? Non pericolosi criminali bensì persone che hanno pagato migliaia di euro e affrontato ogni sorta di rischio e sofferenza per il lungo viaggio attraverso il deserto, le torture in Libia e la traversata del Mediterraneo per fuggire da guerra, persecuzioni e miseria e cercare una vita migliore per sé e i propri figli. Va sottolineato infatti che “le persone che vengono portate in un Cpr non hanno commesso reati, ma solo un illecito amministrativo, ovvero essere irregolari sul territorio. Già di per sé il trattenimento, ossia la limitazione della libertà personale, risulta essere una misura sproporzionata, ma tutto ciò che ne consegue rende questa misura intollerabile, inaccettabile e disumana”.

Storie di abusi e violenze

cpr-abusi-diritti-naga “Abbiamo raccolto testimonianze che attestano una sistematica violazione del diritto alle cure; la visita di idoneità al trattenimento o non è svolta o è svolta senza strumenti diagnostici adeguati; la ‘visita medica’ di formale presa in carico da parte dell’ente gestore comprende umiliazioni e abusi quali, per esempio, la denudazione delle persone appena arrivate alla presenza del personale medico e di agenti di polizia e l’obbligo di fare flessioni per espellere eventuali oggetti nascosti nell’ano. Trattamento che ha la funzione di stabilire fin da subito la gerarchia e le regole del Cpr. Una volta spogliati della loro umanità, ai trattenuti viene assegnato un numero identificativo, con il quale saranno chiamati, da allora, fino al giorno in cui usciranno di là, segnati per sempre. Abbiamo verificato poi il trattenimento di persone con malattie gravi e croniche, come un tumore cerebrale e gravi problemi di salute mentale; frequente è la mancanza di personale medico e la sommarietà della gestione delle cartelle cliniche costituisce la regola, come pure costante è una sovrabbondante elargizione di psicofarmaci senza alcuna prescrizione specialistica”.

Violazione dei diritti

A ciò si aggiunge la violazione del diritto all'assistenza legale: al migrante viene assegnato un avvocato d'ufficio “monouso” che assiste all'udienza di convalida del trattenimento, fatta in 5 minuti attraverso pessime connessioni online. Dopo di che la persona si trova sola. Agli avvocati di fiducia non viene consentito alcun colloquio con il proprio assistito, e neppure la possibilità di recarsi nel Cpr o comunicare con lui. Neppure la documentazione medica viene fornita né le informazioni relative alla stato della pratica di richiesta di asilo o di rimpatrio. Non è difficile immaginarre cosa potrebbe accadere in un Cpr in Albania in termini di isolamento o di impossibilità di far valere diritti civili e umani. “Evanescenti sono anche le figure che si occupano di mediazione linguistica, interpretariato e assistenza psicologica, che pure dovrebbero essere presenti e, per contro, è debordante la presenza di agenti delle forze dell’ordine”. Accade così che il “trattenuto” si ritrovi in una situazione di sospensione dei diritti, tra cibo immangiabile a volte addirittura con i vermi, temperature tropicali d'estate e rigide d'inverno in stanze dalle condizioni igieniche molto precarie, cure scarse o inesistenti se si ammala, nulla da fare giorno dopo giorno e mese dopo mese se non attendere nell'angoscia il verdetto sul futuro: rimpatrio, con tutto ciò che comporta in termini di ritorno in condizioni spesso ancor più disumane, o (raramente) accoglimento del diritto d'asilo e rilascio, qualche volta con trattenimento delle somme sequestrate al migrante al momento dell'arrivo.

L'autolesionismo come gesto disperato di ribellione: 14 morti

Un lungo inferno, senza possibilità di ribellarsi se non con gesti disperati. “Numerosissime sono le testimonianze di diffusi episodi di autolesionismo, labbra cucite, lamette ingoiate, tentativi di suicidio – soprattutto per impiccagione – e di percosse. 14 sono i morti, dal 2018 al 2022, nei Cpr d’Italia, con un’età media di 33 anni. Persone nelle mani dello Stato che sono state dichiarate in condizioni di salute compatibili con il trattenimento. A queste morti abbiamo provato a dare un’identità, ma 5 deceduti su 14 sono morti senza nome. Per 4 di loro non si sa nulla, né della loro identità né delle cause e circostanze del decesso”.
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Migranti all'interno dell'hotspot di Lampedusa (ANSA / CIRO FUSCO)

Come avviene il rimpatrio

Quando viene deciso il rimpatrio, l'interessato non solo non viene informato in anticipo, ma addirittura, per evitare qualsiasi reazione, viene spesso ingannato. “Di solito tre agenti, che non sanno nulla delle condizioni di salute del migrante, entrano di notte nella stanza e lo colgono nel sonno. C'è chi resta sveglio o si addormenta sul pavimento sotto il letto per il terrore che ciò avvenga. Per indurlo a seguirli viene detto al malcapitato che non di rimpatrio si tratta ma di trasferimento in un altro Cpr o addirittura di rilascio. Appena nel cortile l'uomo viene ammanettato mani e piedi come il più pericoloso dei criminali, caricato sul cellulare e sedato con alte dosi di valium, senza neppure lasciargli la possibilità di chiamare l'avvocato o un familiare. In questo stato catatonico viene caricato sull'aereo e deportato in un Paese che non necessariamente è davvero il suo d'origine”.

Sono 9, 619 posti in totale. Meloni vuole aumentarli

Nei programmi del governo Meloni, come si diceva, questi luoghi “di sofferenza e ingiustizia” sono destinati a moltiplicarsi. Al momento i Centri di permanenza per il rimpatrio sono 9, distribuiti in 7 regioni (Puglia, Sicilia, Lazio, Basilicata, Friuli Venezia-Giulia, Sardegna e Lombardia), e hanno una capacità di 619 posti: Bari, Brindisi, Caltanissetta, Roma, Palazzo San Gervasio, Trapani, Gradisca, Macomer e Milano. Il decimo, a Torino, è chiuso per ristrutturazione dopo i danneggiamenti. Secondo i dati forniti dal Garante dei detenuti, al momento i “trattenuti” in totale sono 592, di cui 587 uomini e 5 donne (tutte nel centro di Ponte Galeria a Roma, che è l'unico con una sezione femminile). L'ultima finanziaria ha stanziato 42,5 milioni di euro per i prossimi tre anni proprio per l'ampliamento della rete. I Cpr, in base al decreto Sud approvato il 19 settembre, entrano a far parte delle "opere destinate alla difesa nazionale a fini determinati", al pari - ad esempio - di aeroporti, basi missilistiche, depositi di munizioni, caserme, basi navali. Al ministero della Difesa è stato dato mandato di realizzare le nuove strutture “nel più breve tempo possibile”: se ne occuperà il genio militare, che potrà adottare le procedure "in caso di somma urgenza e di protezione civile", previste dal nuovo Codice degli appalti. I siti saranno considerati di interesse nazionale per la sicurezza e verranno scelti tra caserme, aree militari dismesse o altri edifici che dovranno essere ristrutturati dai genieri militari. Le strutture dovrebbero essere in posti "a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili", senza creare "ulteriore disagio e insicurezza nelle città italiane". I tempi massimi di permanenza passano dagli attuali 9 a 12 mesi, prorogabili di altri 6 se, "nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento sia durata più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte dello straniero o dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi".
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Giorgia Meloni con il primo ministro albanese Edi Rama (Ansa)

Cinquemila euro per evitare la detenzione

Secondo il decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, inoltre, per non essere rinchiuso in un Cpr fino all'esito dell'esame del proprio ricorso contro il rigetto della domanda di asilo, il migrante deve fornire una “garanzia finanziaria” di 4.938 euro che servirà per il periodo massimo di trattenimento, cioè quattro settimane, a garantire "la disponibilità di un alloggio adeguato sul territorio nazionale; della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi". Nel testo si legge anche che questa garanzia deve essere versata "in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi". E dovrà arrivare "entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico". Il decreto prevede inoltre che nel caso in cui la persona in questione "si allontani indebitamente, il prefetto del luogo ove è stata prestata la garanzia finanziaria procede all'escussione della stessa". “Il nostro parere su questi provvedimenti – concludono le attiviste di Naga e Rete – che non può non essere di censura totale, è che le due funzioni reali che tentano di assolvere sono differenti da quanto annunciato. Da una parte, propaganda politica che fa leva sul tema della sicurezza e della criminalizzazione dell’immigrazione; dall’altra, deterrenza verso l’immigrazione definita irregolare. Il primo effetto potrebbe anche essere raggiunto. Il secondo, come sempre avvenuto negli ultimi 25 anni di legislazione sull’immigrazione, ignora la realtà di un fenomeno che non è mai stato frenato da nessun inter vento finalizzato alla sua repressione”.