
Sofia Pasotto, attivista e divulgatrice italiana di 24 anni
Il tarlo ha cominciato a rosicchiare nella sua testa già da bambina. Una voce quasi, che la chiamava a fare la sua parte. È cominciata con i fogli sporchi e le agende vecchie. Tutta roba a cui restituire seconda vita. Poi sono arrivati gli anni delle medie, la tesina dedicata alle energie rinnovabili, i primi passi nei Fridays for Future, la creazione della sezione locale di quel movimento nella sua città, Mantova. E poi è arrivata l’Europa con l’attribuzione del titolo “Ambasciatrice del Patto Europeo per il clima” e infine il Senato italiano per il quale svolge il ruolo di consulente sulle policy per l’ambiente. Nel mezzo quella costante e quotidiana opera d’informazione social che passa attraverso i canali social Instagram e Tik Tok col nome di @telospiegasofia. Linguaggio semplice e diretto, Sofia Pasotto – 24 anni, laureata e con un master in Climate Change alla Copenaghen University – può passare a spiegare il perché dei 17 gradi centigradi la mattina di Natale a raccontare del primato nero (tutto italiano) per le morti da inquinamento atmosferico, sorvolando con piglio e cura temi quali lo smog, le bombe d’acqua d’agosto, le banche e i combustibili fossili, la politica e il voto.
Faccende che per un verso o per l’altro, quasi fosse il gioco della matrioska russa, sono strettamente legate alla crisi climatica. Sofia Pasotto è una delle voci protagoniste del festival di Pistoia Climate Fiction Days, seconda edizione della rassegna che parla inevitabilmente di noi a partire dai libri e da tutto ciò che è narrazione climatica. Dopo un incontro rivolto agli studenti e alle studentesse, Sofia terrà una lectio magistralis aperta a tutti (venerdì 21 marzo alle 16.30 alla Biblioteca San Giorgio di Pistoia) sui temi dell’attivismo climatico e delle emergenze in atto.
Quand’è che ha cominciato a interessarsi alle questioni climatiche?
“Direi da sempre. Ho cominciato con piccoli gesti: utilizzare fogli sporchi, riutilizzare le agende. Poi, al momento della tesina di terza media, mi sono dedicata ai temi delle energie rinnovabili. Alle superiori, intorno al 2018, ho conosciuto i Fridays for Future e ho sentito l’esigenza di fondare il movimento locale nella mia città, a Mantova”.
Attraverso quali canali si informa e come distingue le fake news dalle notizie vere?
“Seleziono fonti il più autorevoli possibili. No influencers, sì portali di informazione, giornali, magazine, testate in genere. Scelgo il long form, meglio di altri capaci di inquadrare il contesto. Contemplo anche lo sbaglio, nessuno è infallibile. Duegradi.eu è uno dei miei riferimenti più ricorrenti: è il risultato del lavoro di un gruppo di under 35 che scrivono del cambiamento climatico sotto tanti punti di vista, la scienza, la politica, la letteratura”.
La bufala climatica più grossa?
“Che essere ambientalisti significa accedere all’ideologia green. Ma essere ambientalisti significa semplicemente essere una persona che ci tiene. Ci sono persone che credono che la tutela del paesaggio e del territorio insieme all’adattamento al cambiamento climatico siano strategie volte a distruggere l’economia e le imprese italiane. Quelle ci pensano già le alluvioni a distruggerle, semmai. La distruzione totale dell’economia non è causata certo dal clima o dagli attivisti. È colpa del sistema capitalista che ci sfrutta, ci mette gli uni contro gli altri, distraendoci dall’esistenza di miliardari e multinazionali che accumulano ricchezza a danno delle risorse naturali e del benessere delle altre persone. Le responsabilità della crisi climatica sono evidentemente in capo a una casta di intoccabili”.
Quanta consapevolezza c’è tra i suoi coetanei sui temi climatici?
“Siamo un gruppo molto eterogeneo eppure ci chiamano indistintamente ‘giovani’. Siamo da una parte più sensibili all’argomento, dall’altra coscienti di non poter cambiare le cose. Lo conferma la politica, incapace di far spazio ai giovani, di dar valore alle comunità. Questo crea angoscia e frustrazione. Sentimenti che io condivido. Quante persone ci dicono cosa dobbiamo fare, quanti ci richiamano ad esempio al voto come strumento di cambiamento? E mai nessuno che poi, dopo, si schiodi dalla propria posizione. Tutti capaci a redarguirci restando seduti sulle poltrone. Serve un ripensamento della politica in ottica comunitaria, per dare valore e potere all’insieme”.
Ambasciatrice in contesto europeo, consulente al Senato: che effetto le fa affiancare i “big” e di cosa si occupa in queste sedi?
“Senza presunzione dico che i big sanno meno di me e di tante altre persone che come me fanno e hanno fatto attivismo ambientale. Quelle di ambasciatrice e consulente sono cariche simboliche che riconoscono in qualche modo la bontà della mia comunicazione e la incentivano, offrendo più strumenti. Per dare la spinta a continuare”. Che vuol dire oggi essere attivista?
“Avere un po’ di sale nella zucca. Ognuna e ognuno può qualcosa nel proprio piccolo. Essere attivista significa riconoscere il ruolo della collettività nel cambiare le cose: unendoci possiamo far pressione su alcune istituzioni affinché alcune situazioni cambino”.
Da Greta Thunberg a oggi la bolla dell’attenzione sulla protesta sembra essersi sgonfiata. È così?
“Sì, un po’ è accaduto per la pandemia che si è scatenata subito dopo, un po’ perché le richieste fatte non solo non sono state ascoltate ma sono state strumentalizzate e quindi è venuta meno la voglia di mettersi in gioco”.
C’è adesso un’emergenza più emergenza di altre?
“Sicuramente quella climatica. Anche perché dentro ce ne stanno altre: quella abitativa, sanitaria, economica. È una crisi sistemica. Serve ripensare il tutto in un’ottica di cura generale”.