“Parliamo tutti tanto ma dobbiamo agire. È questo il messaggio da veicolare”. Raffaella Giugni, Segretario generale di Marevivo, associazione ambientalista impegnata nella tutela delle del mare e delle sue risorse, pone l’accento sull’urgenza di un’azione concreta, collettiva a contrasto della crisi climatica. Se l’attenzione cresce, se finalmente si sta riconoscendo – negazionisti a parte – che il cambiamento climatico è reale, lo sono i suoi effetti disastrosi su ambiente e esseri umani, da questa consapevolezza è necessario partire subito per agire, per invertire una tendenza di fatto auto distruttiva.
Partendo magari proprio dal mare, che è regolatore della vita sul Pianeta. Inoltre è importante ribadire che la crisi degli oceani, legata a fenomeni come il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, l’overfishing e l’inquinamento, hanno conseguenze globali che colpiscono soprattutto le comunità più vulnerabili, sottolineando quanto la tutela ambientale sia anche una questione di equità e giustizia. Un concetto che Giugni ha ribadito anche durante il Women Economic Forum, alla seconda edizione dal 20 al 22 novembre a Roma, che ha rappresentato un’occasione di confronto con esperte internazionali sulle sfide delle donne nell’economia globale con sette sessioni plenarie dedicate a temi di attualità, dall'IA e cybersecurity, alla giustizia climatica e alla longevità.
Dottoressa cosa si intende per giustizia climatica?
“Il cambiamento climatico non è solo una questione ambientale, ma anche sociale ed etica. Gli effetti colpiscono tutti noi ma non sono distribuiti equamente sul Pianeta: ci sono infatti comunità più vulnerabili che sono poi spesso quelle che hanno contribuito meno all’emissione di gas serra. Pensiamo al Sud del mondo, piuttosto che ai Paesi che hanno minore capacità economica. Quindi la giustizia climatica implica l’integrazione dei diritti umani nelle strategie da intraprendere per affrontare la crisi climatica.
Una disparità che è dovuta al basso reddito ma, nell’impatto che il cambiamento climatico ha sul mare, le comunità costiere o insulari sono maggiormente e più rapidamente colpite rispetto ad altre. Pensiamo alle Maldive o alle Fiji: intanto hanno il problema dell’innalzamento delle acque e poi l’impoverimento dell’oceano dovuto alla crisi climatica impatta anche sulle condizioni di vita. Ci sono Paesi che dipendono esclusivamente dalla pesca per la loro economia e per poter sopravvivere, quindi si creano problemi di sussistenza.
La cosa fondamentale è garantire alle società più colpite, e che hanno meno responsabilità e colpe, un supporto maggiore rispetto a quelle che sono più ricche, più colpevoli e meno colpite, per il momento. Perché nessuno è esente dalla crisi climatica”.
Si è appena chiusa la COP29 a Baku: queste conferenze hanno un senso, hanno effetto reale o sono solo pronunce di intenti?
“Credo che queste conferenze siano importanti perché è l’unico strumento che abbiamo per riunire tanti Paesi diversi su un problema. Il cambiamento climatico riguarda tutti, impatta tutti, quindi l’unico modo per affrontarlo è tutti insieme. Le Cop, che riuniscono 200 Paesi, sono fondamentali. Sul risultato, invece, il discorso è diverso: ci sono poche azioni concrete e molte dichiarazioni d’intenti, e questo è un problema. Sull’utilità non vi è alcun dubbio, sull’outcome bisognerebbe invece lavorare di più.
L’accordo di Parigi del 2015 aveva rappresentato un traguardo significativo, perché 196 Stati avevano concordato di limitare l’aumento della temperatura globale sotto il grado e mezzo. Poi, però, al dunque vediamo che i risultati oggi non sono stati affatto raggiunti, anzi, stiamo quasi aumentando le emissioni. L’intento c’era, ma quando si deve calare nelle politiche nazionali chiaramente cambia la situazione. Le Cop sono utili, perché si affronta il problema, se ne parla, ci si confronta, e questo non è affatto banale, ma non è sufficiente. Alla prova dei fatti le Cop non sono abbastanza efficaci, come dimostra la COP29 che si è appena conclusa a Baku”.
Cosa significa il superamento degli 1.5°C di riscaldamento globale, che molti scienziati danno ormai per effettivo?
“Praticamente ci siamo, ne stiamo vedendo i primi drammatici effetti. Tra l’altro siamo la prima generazione che vede le conseguenze dei cambiamenti climatici ma anche la prima che può fare qualcosa per invertire la rotta e invece stiamo perdendo tanto tempo. Oramai ci siamo arrivati a questo 1.5°C e la cosa importante è che le persone pensano che non sia così grave, e alcune addirittura negano che ci siano i cambiamenti climatici. Ma proviamo a pensare alla temperatura media del nostro corpo, 36.5 gradi, se aggiungiamo 1.5 gradi ci viene la febbre. La stessa cosa sta accadendo al Pianeta, che è malato e il suo equilibrio è alterato. Non sono numeri è una realtà”.
Lei è Segretario Generale dell’associazione Marevivo. Come stanno mari e oceani?
“Nel 2025 Marevivo compie 40 anni, 40 anni di lotta per la protezione dei mari e degli oceani. Nessuno avrebbe mai pensato quarant’anni fa quello che è successo: il mare è in grandissima difficoltà prima di tutto per la crisi climatica, che causa il riscaldamento delle acque, che provoca l’alterazione di un sistema delicatissimo che ha raggiunto un equilibrio in 4 miliardi di anni. Dal mare dipende la vita sulla Terra. Esso ha un ruolo fondamentale. Il riscaldamento sta alterando tutto, a partire dalle correnti. La corrente del Golfo, quella più conosciuta, che mitiga il clima in Europa e Nord America, è in grave stress. Se dovesse smettere di funzionare o alterarsi le temperature improvvisamente cambierebbero in maniera talmente drastica che il Mediterraneo non avrà più la temperatura adatta al clima che attualmente conosciamo e il Nord America subirebbe un calo della temperatura di 10 gradi”.
Quindi solo un problema di temperature?
“No poi c’è l’azione umana, con l’inquinamento da plastiche e tutti i tipi di inquinanti che finiscono nel nostro mare, che lo stanno alterando, distruggendo l’intero ecosistema, altro elemento fondamentale che stiamo completamente trasformando. E poi c’è la pesca eccessiva: i nostri mari si stanno svuotando, abbiamo il 56% di pesci in meno rispetto all’inizio del secolo. Oltre ad avere un impatto sulle persone - i Paesi che dipendono dal pesce per alimentarsi non hanno più la fonte primaria di sussistenza - si crea un disequilibrio che ha un impatto su tutto il sistema. Marevivo ha lanciato una campagna l’anno scorso, che si chiama ‘Only One - One Planet, One Ocean, One Health’, proprio per spiegare che è tutto interconnesso: noi, la natura, l’oceano, e se uno di questi elementi perde il suo equilibrio e si ammala di conseguenza stanno male anche gli altri. Quindi c’è l’esigenza di attuare una transizione ecologica e passare davvero all’azione”.
La plastica ha un enorme impatto sul Pianeta: le iniziative messe in campo per il contrasto non funzionano?
“Le leggi iniziano ad esserci, ad esempio la direttiva europea contro la plastica monouso che è molto importante e sicuramente porterà a un miglioramento. Il problema è che l’applicazione di queste leggi è molto lenta e invece non c’è più tempo da perdere. Le politiche portano a fare magari più riciclo, più recupero, ma è sempre tutto troppo poco rispetto alla quantità di plastica che immettiamo sul mercato. Poi abbiamo un altro problema, con le microplastiche che derivano dalle macro, e con le microfibre che derivano da vestiti e tessuti: ogni capo di abbigliamento le rilascia quando viene lavato.
Ora si sta lavorando a un trattato mondiale per ridurre la plastica ma anche questo è molto indietro, tutti i Paesi dovrebbero aderire ma purtroppo non lo fanno. Per parte nostra, Marevivo cerca da sempre di far conoscere l’uso sbagliato della plastica, perché è un materiale fondamentale di cui nessuno vuole fare a meno, però andrebbe gestito in maniera diversa. Una delle nostre ultime campagne si chiama #BastaVaschette, per dire basta alle confezioni in plastica monouso che hanno invaso i nostri supermercati. Vogliamo riuscire a convincere le persone che le nostre azioni sono importanti, che le nostre scelte fanno la differenza e che ognuno di noi ha il potere di incidere in modo concreto”.
Che effetto ha sui mari?
“Ci finisce dentro e da lì va recuperata. Noi abbiamo lavorato alla ‘Legge Salvamare’, che prevede che i pescatori possano riportare a terra la plastica finita nelle loro reti, i famosi ‘pescatori-spazzini’. La legge c’è ma non il decreto attuativo, quindi i pescatori che vorrebbero collaborare non possono farlo. L’altra cosa importante di questa legge è lo sbarramento alle foci dei fiumi: lì abbiamo il decreto attuativo ma di sbarramenti ancora non se ne sono visti. Ogni giorno che passa i nostri fiumi portano centinaia di rifiuti nel mare e dove finiscono? Non sono recuperabili. Ma non è tutto, l’inquinamento da plastica crea problemi alla salute umana. Sempre più studi scientifici dimostrano che la plastica è presente nel nostro corpo, con quali conseguenze ancora non si sa, ma sono corpi estranei che rilasciano sostanze nel nostro organismo, è impossibile non abbiano un impatto”.
C’è un progetto o un’iniziativa di Marevivo di cui ci vuole parlare?
“Abbiamo lanciato quest’anno il progetto ‘Il mare a scuola’. Tutto quello che ci siamo dette rientra sotto un cappello: cambiare la nostra cultura. Se non capiamo l’importanza del mare, della natura, l’interconnessione tra noi e il Pianeta, non possiamo agire in maniera virtuosa. Quello che Marevivo chiede con questa campagna è che l’educazione al mare, al rispetto dell’ambiente, sia presente in maniera strutturale all’interno delle scuole, non un problema di cui si parli per caso.
Deve essere inserita nei programmi scolastici di tutti, dai bambini più piccoli agli studenti universitari, perché solo capendo quello che accade attorno a noi e quali conseguenze hanno le nostre azioni possiamo fare la differenza, in maniera attiva, riconquistando il rapporto uomo-natura, che negli ultimi decenni abbiamo completamente perso. La nostra campagna si inserisce inoltre nel progetto dell’Unesco ‘Il decennio degli oceani’, in cui loro stessi spingono perché sia fatta una Ocean literacy all’interno delle scuole”.